Conte, tanto da lavorare

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Calcio tutti i giorni.

Lunedì-martedì-mercoledì-giovedì-venerdì-sabato-domenica.

Posticipi di campionato, Champions ed Europa League; anticipi del venerdì: scorpacciata.

E se a volte sembra anche troppo, stavolta non mi sento di dirlo: ci siamo divertiti per davvero, tifosi e addetti ai lavori hanno avuto pane per i loro denti.

Dal principio: i posticipi del lunedì sera faranno storcere il naso a chi dopo una giornata di lavoro deve fare le corse per andare allo stadio. Ma regalano un po’ di visibilità anche internazionale a chi è solitamente oscurato dalle grandi; teniamo a mente questo e auguriamoci tanti (altri) Sunderland-Everton ed Empoli-Crotone.

Nelle coppe europee, luci e ombre da chi aveva il compito di rappresentare la Serie A: se il Napoli è sceso all’inferno per poi tornare in superficie, la Juventus è rimasta impantanata in una partita scomoda e viscida. Ingabbiata dal Siviglia e da un match poco spettacolare e troppo bloccato, la formazione campione d’Italia ha pareggiato in casa e di per sé nel girone di Champions League non è una bella notizia. Né è da sottovalutare il compito la attende ora: vincere il girone resta la priorità, dato che qualificarsi col secondo posto ha riservato a grandi e meno grandi sorprese sgradite e scogli parecchio difficili da superare agli ottavi di finale.

A questo chiaroscuro s’è aggiunta l’Europa League: per un Sassuolo tutt’altro che a disagio nel ruolo di matricola terribile (spazzato via l’Athletic: 3-0 in carrozza) c’è una Roma incapace di andare oltre l’1-1 alla Doosan Arena di Plzeň (Repubblica Ceca). Avversario non irresistibile e il paradosso lo rappresenta chi ha passato gli ultimi anni a sentirsi una grande ma continua a faticare a livello continentale; ancora, ambiente troppo carico quando si vince, mercato rinviato al dopo preliminare e poi naturalmente ridimensionato, una corsa scudetto (forse) mai nata: salvano la Roma la mancata crescita – per il momento – delle milanesi, o una Fiorentina che manca sempre del centesimo per fare la lira.

Gli stessi viola, che l’Europa del giovedì la conoscono bene, possono dirsi non per forza insoddisfatti dello 0-0 di Salonicco, ma torniamo sempre lì: urge decidere cosa si vuole fare da grandi. L’Inter, poi, si commenta da sé: va bene il cantiere in corso ma la gente di San Siro certe cose non se le merita. Né forse se le merita la (le?) proprietà: tanta ambizione e poi Biabiany, Palacio, Ranocchia e Felipe Melo nell’XI titolare.

Ed eccoci a chi in Europa non ci gioca. Si dice sia un vantaggio ma vorrei chiederlo a loro e soprattutto ai loro tifosi; abituati a coppe, trofei, bacheche ricche e serate internazionali. Della storia continentale del Milan non c’è bisogno di parlare, la Samp ha un passato glorioso ma s’è vista recentemente sbattere la porta dell’Europa League in faccia, Chelsea e Liverpool hanno vinto in epoche diverse: a Stamford Bridge soprattutto s’è visto un anticipo di campionato ricco di spunti, con l’atmosfera delle grandi occasioni.

Non sono un fan dell’introduzione stile-NBA ma nulla toglie a ciò che s’è visto sul prato in zona Fulham Broadway: Antonio Conte contro Jürgen Klopp, la nuova generazione della scuola italiana contro quella tedesca. Legati rispettivamente a Juventus e Borussia Dortmund da un legame non solo tecnico ma anche affettivo, sono due tecnici carismatici: amano progettare e passare anche per errori. Guardano al breve ma soprattutto al lungo periodo: vincere ma passando per la costruzione.

Non solo coi dollari pesanti, nonostante le battute sugli euro di Conte al ristorante o le spernacchiate per l’acquisto di Georginio Wijnaldum a 27 milioni: ognuno con la sua identità e voglia di lasciare il segno, si sono inseriti benissimo nell’ambiente e nel contesto di una Premier League priva di routine tattica predeterminata ma proprio per questo laboratorio per i Guardiola, i Mourinho, i Wenger o i Ranieri.

Nettamente meglio il tedesco, ieri sera: è un Liverpool discontinuo con le piccole ma grande con le grandi.

I Reds sbranano la seconda metà di campo e indecoroso è stato il confronto tra gli statici centrali di Conte e i veloci avanti a disposizione di Klopp: Mané conferma di essersi inserito benissimo e di sentire poco la pressione del passaggio da Southampton alla casacca dei 5 volte campioni d’Europa, Henderson s’è preso il proscenio con un gol che anni fa avremmo visto fare solo a Steven Gerrard, suo predecessore nel ruolo di capitano. La difesa del Chelsea è ancora poco contiana, commette errori banali; è andata in tilt di fronte all’assalto dell’avvolgente gioco del Liverpool e ha bisogno di tempo per sistemarsi.

L’ex tecnico della Nazionale è parso, ai microfoni della tv italiana, parecchio seccato e ne ha ben donde: ha avuto forse la sfortuna di affrontare, dopo la tre giorni europea, proprio l’unica altra grande inglese che a metà settimana può riposare.

Primo set a Klopp – che probabilmente butterà via tutto alla prossima trasferta in provincia – e tanto da lavorare per Conte: se la Premier League è una maratona, uno stop si può anche sopportare.

Se diventa occasione per correggersi.

Matteo Portoghese
Matteo Portoghese
Sardo classe 1987, ama il rugby, il calcio e i supplementari punto a punto. Già redattore di Isolabasket.it e della rivista cagliaritana Vulcano, si è laureato in Lettere con una tesi su Woody Allen.

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