Che cos’è il genio? È Diego Armando Maradona e compie 60 anni

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Diego Armando Maradona compie 60 primavere. Esattamente vent’anni e 7 giorni dopo Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelè, che settimana scorsa ha infatti spento le 80 candeline. I due miti, apparentemente vicini, ma sempre alla giusta distanza, per differenziarsi l’uno dall’altro. Di Maradona sappiamo, sapete praticamente tutto. Anche che fu oggetto di discussioni tra l’Avvocato Agnelli e l’allora presidente della Juventus, Giampiero Boniperti. Sì, perché al Mondiale Under 20 disputato in Giappone nel 1979 e vinto proprio dall’Argentina, Gianni Di Marzio consigliò subito quel giovane talento alla Vecchia Signora. Le frontiere della Serie A erano ancora chiuse, però, e lo stesso Platini promesso all’Inter (sarà poi solo promesso), infatti, giocava ancora in Francia. Così anche Maradona, gioiello già ambitissimo, andava prenotato all’Argentinos Juniors e parcheggiato in attesa di poter sbarcare nel nostro Paese. Il presidente della FIGC, Artemio Franchi, non aveva ancora dato il via libera agli stranieri, ma ci stava già pensando. Ci voleva, allora, un grosso esborso economico e Boniperti non si azzardò a rischiare, non fidandosi della statura “ridotta” del calciatore. Quando poi esplose e, anni dopo, qualche giornalista arguto ebbe a chiedere all’Avvocato del Pibe de Oro, palese fu il fastidio nel dover rispondere.

In realtà, un anno prima dell’U20, nel 1978 Gianni Di Marzio era ancora sulla panchina del Napoli e chiese a Corrado Ferlaino l’acquisto di Diego Armando Maradona, segnalatogli da chi lo aveva seguito dal vivo. Tutto saltò, però, perchè per sbaglio il nome Maradona fu trascritto erroneamente sul contratto in “Mariconda”. La sessione di mercato si chiuse e l’affare saltò. Non sappiamo chi fu il colpevole, ma, di sicuro, la storia del Napoli avrebbe potuto avere un corso differente. Anche se, nel 1984, quel matrimonio alla fine si celebrò e diede il via ad un’epopea indimenticabile che la città di Napoli e l’Italia intera ancora possono vantare come un’eccellenza della storia del calcio.

Imanol Alguacil, allenatore della Real Sociedad avversaria del Napoli in Europa League ieri sera (29 Ottobre 2020, ndr), in un raptus di superbia che non gli rende certo onore, alla vigilia della sfida ha osato dire: “Non sono sicuro che Maradona sarebbe stato titolare in questa Real Sociedad. Per giocare nella mia squadra servono sacrificio e grande voglia di lavorare. Lui aveva tanta qualità, ma nel resto non eccelleva”. Ora, a parte il fatto che la cifra tecnica del suo talento sfiorava i confini della nostra galassia e già solo per questo sarebbe indispensabile in qualsiasi squadra, Alguacil sbaglia, perché sì, Maradona era un personaggio ingombrante e difficile da tenere negli schemi di disciplina, ma era un leader nato che per i propri compagni ha sempre dato l’anima, in campo e fuori. Quando c’era da raggiungere un obiettivo sportivo, ci si immergeva. Quel che ne è stato, ne è e ne sarà della sua vita privata è un’altra storia che chiunque può giudicare come meglio crede.

Moltissimi sono stati gli acuti tecnici e polemici della sua carriera, ne possiamo citare alcuni che sono rimasti incisi come sonetti nel libro di poesie del calcio. Dai primi calci per strada ai primi gol ufficiali con la maglia dell’Argentinos Juniors, fino ad approdare in quella che sarà per sempre la squadra del suo cuore, il Boca Juniors. Nel Superclàsico del 1981, alla Bombonera, in una serata fredda e con il campo pesante, Diego dribblò con nonchalance il portiere del River e della nazionale Fillol, per poi depositare comodamente il pallone in rete. Poi l’Europa, Barcellona, il “sudaca” (dispregiativo di sudamericano) disprezzato dai catalani, che alternava giocate da sogno a liti furibonde in mezzo al campo, come quella nella partita del Camp Nou del 1984 contro l’Athletic Bilbao (non certo delle signorine, storicamente), segnale definitivo del suo imminente addio e approdo alle sponde del Vesuvio.

A Napoli il punto focale della sua vita, calcistica e umana. I primi due anni a lottare per emergere, il gol a Tacconi su punizione a due in area “lateralissima”, in una domenica di pioggia, poi un Campionato del Mondo vinto praticamente da solo in Messico. Condito dalla “Mano de Dios” e dal gol più bello di tutta la storia del calcio contro l’Inghilterra ai quarti di finale. Seguito da un altro acuto, in semifinale contro il Belgio, entrato anch’esso di diritto nella classifica dei dieci migliori gol della storia della Coppa del Mondo. Galvanizzato, torna a Napoli per regalare alla città il suo primo, storico Scudetto e duelli di livello elevatissimo contro le big della Serie A: Juventus, Inter, Milan, gli squadroni del Nord. Molto spesso, dovevano inchinarsi al Re di Napoli, a Diego. Pallonetti, dribbling, punizioni, gol da metà campo, giocate geniali, assist impossibili. Nel repertorio del Dièz c’era tutto e in Serie A lo abbiamo visto tutto. Nel 1989 la Coppa UEFA e la promessa “tradita” sul campo di Stoccarda, e con la coppa ancora in mano, del presidente Ferlaino al suo pupillo: “Non ti cedo più, te l’avevo promesso per motivarti”. “Ah, si? E io vado in Argentina e non torno più”, la risposta del Pibe. Un’estate di tormenti, con il Marsiglia dietro l’angolo e tante accuse reciproche. Maradona voleva staccarsi dal suo regno, per troppo amore e anche “troppa pressione” di certe frequentazioni sbagliate, come quella con Giuliano, il boss di Forcella, che lo usava per i suoi fini privati di consolidamento del consenso. Italia ’90, il rigore al San Paolo perfetto, i fischi all’inno argentino nella finale di Roma. “Hijos de puta”, disse, non trattenendo lacrime di rabbia e delusione alla fine, con la Coppa del mondo in mano ai tedeschi.

Nel marzo del ’91, contro il Bari, la sua ultima apparizione in azzurro, prima della squalifica per doping fino alla fine del campionato e la fuga in Argentina, braccato dalle telecamere e dalla Polizia. Un ritorno pallido a Siviglia, poi la città del pallone, Rosario, e il Newell’s Old Boys che è tatuato sulla pelle anche di Marcelo “El Loco” Bielsa e Leo Messi, quindi il mondiale negli Stati Uniti. Voluto a tutti i costi per far lievitare la scarsa vendita dei biglietti ad un popolo che si ciba di Baseball, Football e Basket e ancora non si è affezionato a 22 uomini in calzoncini che corrono dietro ad una palla a spicchi. E dire che avevano avuto testimonial di calibro nell’allora NASL (poi MLS), come Pelè, Cruijff, Beckenbauer, Giorgione Chinaglia e tanti altri. L’inganno perfetto di Havelange era compiuto. L’efedrina fece il resto e Diego, alla vigilia degli ottavi di finale contro la Romania, venne nuovamente squalificato per doping, in un momento di forma assoluta ritrovata e certificata da un super-gol all’incrocio dei pali contro la Grecia. Fu la fine calcistica di uno degli dei del calcio scesi in Terra a farci divertire e innamorare. Tornò sì al Boca per altre due stagioni, ma fu solo amore e non più pallone.

Da allenatore, fin qui, i successi non hanno parificato la sua “prima” carriera, ma, anche in questo caso, ha trovato il modo di lasciare il segno. Non in modo molto “edificante” sia detto, ma sicuramente “maradoniano”. “Que me lo chupen, que me lo sigan chupando”, disse ai giornalisti critici, dopo una soffertissima qualificazione ai mondiali in Sudafrica dell’Argentina (di cui era Ct) all’ultima giornata, in trasferta contro l’Uruguay. Anche lì, in una notte di pioggia. Come Schumacher con la Ferrari, Diego sul bagnato andava a nozze evidentemente. Al mondiale vinse le prime quattro partite, ma fu poi battuto nettamente ed eliminato dalla Germania, che pose fine alla sua esperienza al timone dell’Albiceleste.

Non è facile riassumere in poche righe la carriera e la vita di Diego Armando Maradona e sorvoliamo sulla sua vita amorosa, sulle sue esperienze televisive, sulle sue frequentazioni politiche. L’unica parola che lo racchiude, senza troppe sfumature e con la dovuta ammirazione, è semplicemente “genio”, perché, come dice il Perozzi in quel capolavoro che è “Amici Miei” di Mario Monicelli: “Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione”. Diego Armando Maradona dovrebbe essere la figura accanto a questa didascalia in tutti i dizionari. Ci vorrebbe un romanzo intero per descriverlo, perché è lui stesso, il Pibe de Oro, un romanzo calcistico che resterà eterno. Buon compleanno!

Roberto Tortora
Roberto Tortora
Laureato in Scienze della Comunicazione, a Salerno. Master in Giornalismo IULM, a Milano; Giornalista professionista.

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