Il Liverpool può vincere la Premier League?

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Quando manca poco all’inizio della Premier League, è giunto agli sgoccioli il calcio della preseason, delle amichevoli e delle tournée. Le squadre d’oltremanica si sono confermate, affluenze agli stati alla mano, fra le più popolari al mondo, in particolare negli Stati Uniti, dove spicca il dato delle oltre 100 mila presenze al Michigan Stadium di Ann Arbor per l’amichevole tra Manchester United e Liverpool lo scorso 28 luglio. È interessante parlare proprio dei Reds, reduci da un’annata frizzante conclusa con la raggiungimento della finale di Champions League, persa col Real Madrid a Kiev.

Nonostante il fascino esercitato dalla International Champions Cup sui mercati in espansione e le interessanti sfide al Napoli e al Torino sabato e martedì a Dublino e Anfield, l’attesa dei tifosi Reds è tutta sulla Premier League, sinora mai messa in bacheca. L’ultimo titolo portato a casa da quella che resta comunque una delle squadre più titolate d’Inghilterra e d’Europa risale infatti al 1989-1990, precedentemente dunque alla scissione dalla Football League e alla nascita della Premier. Era, effettivamente, un’altra epoca: i 9 punti di vantaggio sull’Aston Villa consegnare alla squadra allora guidata da Kenny Dalglish il diciottesimo titolo di campione nazionale.

Se è passata tantissima acqua sotto i ponti e in diverse occasioni – parallelamente ai successi in FA Cup, Coppa di League, Coppa Uefa e Champions League – in questi 28 anni il Liverpool è andato effettivamente vicino al suo agognato Graal, è mancata sempre qualcosa: la continuità di rendimento sulle 38 partite (sotto Rafael Benítez), la fortuna (chiedete a Steven Gerrard e Brendan Rodgers, stagione 2013-2014) o la maturità di saper gestire e vincere anche le partite contro i club medio-piccoli, le classiche bucce di banana (sotto Jürgen Klopp).
Si tratta adesso, mercato alla mano e sulla base di pregi e difetti emersi in un brillante ma inconcludente 2017-2018, di capire se i trasferimenti portati a compimento sono quelli giusti, se può arrivare per davvero il cambio di mentalità e se oltre al cammino nelle coppe – importantissime, a certe latitudini – la Kop può sognare davvero di ritrovare una gioia che manca quasi da 30 anni.

Tenendo sottomano i trasferimenti in uscita, spicca senz’altro la partenza di Emre Can, destinazione Juventus, a parametro zero. Un vero e proprio dramma, dato che – acquistato da Rodgers a 20 anni nel 2014 – è diventato, anno dopo anno e specialmente grazie al lavoro di Klopp, uno dei migliori al mondo nel ruolo di centrocampista difensivo. Il pregio del nazionale tedesco è l’adattabilità a più posizioni in campo e, conoscendo ormai a memoria meccanismi e ritmi della Premier, mancherà.
Trascurabili, non ce ne vogliano i calciatori coinvolti, pur generosi, gli altri movimenti in uscita: il terzino destro Jon Flanagan, titolare nella fantastica ma beffarda cavalcata del 2013-2014, non si è mai ripreso dagli infortuni patiti e ha raggiunto l’ex compagno di squadra e capitano Steven Gerrard, ora tecnico dei Rangers. Se certamente si tratta di un club storico e blasonato, il livello del calcio scozzese attuale non vale la prima e forse neppure la seconda serie inglese, ed è la testimonianza di come questo giocatore, pur legato alla causa e in passato apprezzato per sforzo e abnegazione, fosse inadatto a dove il Liverpool vuole stare. Idem dicasi per il passaggio del gallese Jordan Williams al Rochdale, mentre è curioso il caso del connazionale Danny Ward, estremo difensore classe 1993: solo 2 presenze in maglia Liverpool tra 2012 e 2018, in una marea di prestiti in Scozia (Aberdeen) e nelle serie minori della Football League. Per qualche giorno, prima del colpo Alisson, si era addirittura parlato di lui come possibile titolare, ma poi è arrivato il trasferimento definitivo al Leicester per 12 milioni di sterline. 4 presente in nazionale col Galles, troverà probabilmente la sua dimensione e, nonostante si tratti di un portiere di tutto rispetto, difficilmente avrebbe avuto talento, nervi e personalità per raccogliere l’eredità di Loris Karius e Simon Mignolet.

Un’eredità, sia chiaro, pesante in senso negativo. Si può voler loro tutto il bene del mondo, ma di essere inadeguati alle ambizioni di una società come il Liverpool i portieri tedesco e belga hanno dato ampia dimostrazione sul campo. In particolare dopo la figuraccia di Kiev, pur con le attenuanti del caso, troppo grande sarebbe stato il carico di pressione sulle spalle del povero Karius in un’altra stagione da titolare mentre Mignolet, pur abile tra i pali e in certi riflessi, non ha mai confermato ad Anfield quanto di buono mostrato negli anni di Sunderland. Oppure, semplicemente, non è bravo e affidabile abbastanza. Il posto di questa strana coppia sarà ora quello di secondo e terzo portiere e certo si tratta di un lusso, a pensarci bene. Ma è un trend ormai affermatosi tra i top club europei quello di avere estremi difensori importanti anche tra le riserve.
In questo contesto, l’arrivo di Alisson dalla Roma – seppure la cifra record di 65 milioni di sterline impressioni ed effettivamente spaventi – ha rassicurato tifosi e addetti ai lavori. Certo c’è da valutarlo in azione in un campionato a ritmo forsennato e il cui disordine espone spesso i portieri agli errori delle difese, ma tanta della brillante stagione della Roma è passata per le sue mani (e per i suoi piedi): difficile dire quanti punti vale il n. 1 del Brasile, ma è un upgrade come pochi al mondo.
Il calcio praticato da Klopp resta spavaldo e offensivo e sarà impossibile per l’ex Internacional mantenere lo standard del 2017-2018 con relativi numeri, e l’unico rischio resta la pressione, il cosiddetto price tag: al primo errore – arriverà, siamo umani – ecco che questi 73 milioni di euro si faranno sentire tutti. Lì starà al tecnico difendere il suo acquisto oppure ad Alisson stesso restare operativo e performante nonostante tutto.

Naby Keïta, guineano classe 1995, è stato a lungo un “promesso sposo” del Liverpool. Ma anche qui si può dire che Fenway Sports Group non ha badato a spese: i quasi 53 milioni di sterline investiti testimoniano della qualità del ragazzo nelle prestazioni fornite con la maglia del Lipsia e della voglia che Klopp ha di metterlo al centro del progetto. Rassicura, da questo punto di vista, sapere che avrà un compagno di reparto e capitano Jordan Henderson: esperienza, carisma, umiltà e voglia di trascinare i compagni.

Sempre nel settore nevralgico agirà Fabinho, nazionale brasiliano prelevato dal Monaco. Anche qui una spesa pesante (43 milioni di £) ma talento e prontezza da vendere.
Completa poi il pacchetto dei nuovi arrivi l’usato garantito di Xherdan Shaqiri. L’ala destra svizzera ex Basilea e Bayern – passata per una non indimenticabile metà di stagione all’Inter nel 2015 – era stata più volte sul punto di passare al Liverpool e col Liverpool s’era a lungo inseguita. Ora, dopo gli anni a Stoke-on-Trent, è pronto a riprendersi le luci della ribalta nel “calcio che conta”. Certo dovrà giocarsi il posto da titolare ma proprio il suo arrivo rende atomico l’arsenale offensivo a disposizione di Klopp.

Mandati in prestito Ádám Bogdán (Hibernian), Harry Wilson (Derby County), Ben Woodburn (Sheffield United), spediti Ovie Ejaria e Ryan Kent ai Gers di Gerrard, Taiwo Awoniyi in Belgio (Gent) e Allan in Germania (Eintracht Frankfurt), la rosa appare ampia e completa.

I giocatori a disposizione di tecnico e staff non sono troppi né troppo pochi e, diversamente da quanto fatto nel 2017-2018, è auspicabile una cavalcata su più fronti: Champions League (il quarto posto di 2 mesi fa è valso direttamente l’accesso ai gironi, con l’ultima riforma), FA Cup, Coppa di Lega e soprattutto Premier League. Dove la concorrenza sarà forte e mette paura soprattutto l’oliato e perfetto – sull’arco dei 38 match – Manchester City di Guardiola, ma acquisti, esperienza accumulata (anche gli errori commessi) e un’inevitabile fase di transizione per le nuove gestioni di Chelsea e Arsenal, autorizzano i tifosi Reds a sognare: la Premier è possibile, per la prima volta dopo tanti anni. Al rettangolo di gioco, come sempre, la sentenza: lì contano talento e coraggio, mica i soldi spesi in estate.

Matteo Portoghese
Matteo Portoghese
Sardo classe 1987, ama il rugby, il calcio e i supplementari punto a punto. Già redattore di Isolabasket.it e della rivista cagliaritana Vulcano, si è laureato in Lettere con una tesi su Woody Allen.

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