DeMorattizzazione

-

Prima o poi sarebbe successo: è nella storia delle cose, nel fluire della vita, e anche nella natura umana. Le cose cambiano, le persone mutano, i rapporti di potere evolvono. Ci si sbatte, a volte si viene battuti. E prima o poi si batte in ritirata. Talvolta alla chetichella, talvolta all’improvviso. Di quando in quanto, sorprendentemente, alla chetichella e all’improvviso.

Messa così, sembra comunque normale amministrazione: finisce un’epoca, ne inizia un’altra. E invece la rinuncia di Massimo Moratti al ruolo di presidente onorario dell’Inter ha il sapore di una rivoluzione.

Non si tratta del primo allontanamento: l’ultima volta, nel 2004, aveva rinunciato alla carica di presidente (rimanendo proprietario) in favore di Giacinto Facchetti; due anni dopo, alla morte dell’indimenticato capitano, tornò in sella per vincere, pur non senza scelte complesse e non sempre lineari. Scommesse vinte e scommesse perse, come con l’assunzione di un tecnico come Marcello Lippi. L’esonero di Mancini, prima fortemente voluto e poi cacciato due giorni dopo la vittoria del campionato. Arrivò Mourinho, il Triplete è storia.

Una storia che pare quantomai lontana, se dopo il tecnico portoghese (autodefinitosi lo Special One: un motivo ci sarà) si sono alternati Benítez, Leonardo e anche Stramaccioni, prima dell’attuale Mazzarri. Quello che ha poi dichiarato di non avere tempo per rispondere a Moratti, quando aveva detto che il calcio «è pragmatico, dipende dai risultati e dai miglioramenti» e «finché rimane il pensiero o il progetto di crescita va bene. Se questa situazione dovesse decrescere allora lo vedo nei guai».

In un certo senso, Mazzarri ha esonerato Moratti: ha reso evidente il suo peso effettivo nell’Inter di marca indonesiana. Se anche l’ultimo anello della catena può permettersi di non rendergli conto di nulla (come proprietario di minoranza, come istituzione nerazzurra, come “padre” della sua scelta), non c’è più motivo per rimanere sull’ultima poltrona offerta dai nuovi proprietari.

È (almeno) la storia a concedere l’onore delle armi: Moratti ha speso tanto, ha portato Ronaldo a “sprecare” gli anni migliori in una squadra che avrebbe vinto poco e niente, ma di sicuro ha dato tutto il possibile alla causa. Adesso deve sentirsi dire che i bilanci sono in dissesto per colpa della gestione precedente (diciamoci la verità: ai tifosi quanto importa dei bilanci, e quanto importa della Champions vinta?), o che l’allenatore non deve rendergli conto.

Difficile, oggi, accettare di vedere un’Inter così. Difficile accettarlo mettendoci ancora la faccia, per Moratti e per i suoi: a uscire di scena, infatti, anche il figlio, che era l’ideale trait d’union tra vecchia e nuova società, Manzonetto e Ghelfi. Tutti i suoi uomini lasciano ufficialmente la scena, slegando la famiglia Moratti da ogni responsabilità futura, e liberando anche Thohir da qualsiasi ombrello, paravento o protezione. Il messaggio è forte e chiaro.

Facile adesso pensare che la causa sia stato Mazzarri (inviso alla tifoseria, quindi bersaglio facile), ma più che altro è stata la goccia che fa traboccare il vaso: ci sono forme e consuetudini da rispettare, nei confronti di chi tanto ha dato. A uno che si è speso (e che ha speso) per la propria società si dovrebbe rispetto, non arroganza. Anche quando è scomodo, anche quando è difficile. Anche e soprattutto perché non si sa quanto difficile possa essere anche per l’“altro”.

Thohir e Moratti hanno due approcci radicalmente diversi: imprenditore il primo, tifoso (con tutti i suoi limiti) il secondo. Laddove già a inizio esperienza l’indonesiano vuole pareggiare i conti, l’italiano acquistava giocatori anche solo per la soddisfazione di vederli indossare la propria maglia, viziando il proprio “figlio” con troppi giocattoli. Mentalità differenti.

Complesso per il proprietario uscente sopportare la mancanza di risultati, e anche il fatto che la “colpa” sia addossata alla sua gestione; complessi anche gli scenari futuri. Siamo di fronte a un bivio: o Moratti fa l’opposizione interna, erigendosi a paladino dei veri interisti; oppure infila la porta e chiude per sempre la propria esperienza nerazzurra. Difficile prevedere la scelta: per amore dell’Inter si può infliggerle una guerra di logoramento? Si vuole più bene a un figlio tenendolo legato o lasciandolo libero di andare via? Fuori dal campo, il futuro è tutto qui.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

MondoPallone Racconta… Deco, il futebol sotto due bandiere

Il talentuoso Deco, indimenticato creatore di gioco ex Porto e Barcellona, ha appeso le scarpe al chiodo. Brasiliano naturalizzato portoghese, è stato anche un...
error: Content is protected !!