La prima volta, dal lato sbagliato della storia

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Sarà derby di Madrid, per la finale di Champions League: la vittoria blanca sul Manchester City porta a Real-Atlético, la rivincita della Décima. Ma, visto che di tempo per parlare di Champions ce ne sarà ancora, vogliamo parlarvi di un altro derby e in un altro sport. Derby emiliano, pallacanestro.

Ieri alla Virtus Bologna ha detto tutto male: si sarebbe salvata con una vittoria nello scontro con la Reggiana, oppure con la sconfitta di una tra Torino e Caserta. E proprio il campo della Terra di Lavoro era quello più incerto: ospite era una Trento che aveva bisogno della vittoria per mettere il bollo sui playoff, calcolando invece che una eventuale vittoria di Varese a Cantù avrebbe potuto estrometterla dalla lotta scudetto, in caso di sconfitta.

Difficile pensare a un esito differente, peraltro: Reggio era in piena corsa per il secondo posto, ed è reduce da 31 vittorie nelle ultime 33 partite giocate in casa, in stagione regolare; di contro, la Virtus aveva vinto solo una trasferta in un anno intero. Era scritto, si dirà.

E lo spunto viene proprio da qui: il destino di una squadra, una persona, una disciplina, può mai dirsi scritto in partenza? Una facile retorica fa dire di no; una risposta molto pragmatica sostiene invece il contrario. Dati causa e pretesto, direbbe Guccini, il percorso è uno e uno solo. Nel caso di specie, è la prima retrocessione sul campo per la Virtus Bologna, in 87 anni di storia.

Una volta di più, è un fatto culturale: a fare una brutta fine, per tanti motivi, sono squadre gloriose: penso al destino delle varie Treviso, Siena, Fortitudo Bologna, Verona, Roma. Proprietà che si stancano e non trovano ricambi, fallimenti più o meno fraudolenti, mancanza di idee e di mezzi. Dopotutto, anche Milano (la squadra più titolata d’Italia) ha rischiato di retrocedere (aprile 2002, Milano-Imola 76-75, diretta televisiva con i giocatori che sul finale devono tirare a non fare canestro).

Un fatto culturale, perché se non riusciamo a difendere la nostra memoria e la cultura che abbiamo ereditato, allora non ne siamo degni, ho scritto in passato, su eventi extra-sportivi. Ma, a un livello più basso, vale anche per le tradizioni sportive. Se piazze che hanno vinto scudetti, entusiasmato a livello europeo, o anche soltanto vivacchiato tra alterne fortune in serie A per un decenni – se squadre del genere si fermano, è la dimostrazione di come questo paese voglia solo essere fermo.

Non mi piace un paese in cui l’unico progetto è speriamo che qualcun altro faccia peggio di me (altro non è che la forma mentis della scuola italiana: se sono terzultimo, vado avanti). Peggio: in cui si parla di progetti, e poi ci si riduce così. Quando comincia la nostra fine, quando inizia la catena di errori che ci porta giù? Nel caso della Virtus Bologna, inizia quando il giocatore centrale del proprio progetto, Allan Ray, si infortuna e non viene sostituito per mesi. O forse prima, proprio in fase di costruzione societaria, e della squadra.

Tutti parlano (comprensibilmente) della prima volta del Leicester City. Un vanto italiano in terra d’Albione, diciamo. Ma a volte, a prescindere, bisognerebbe pensare alle nostre stesse cecità: quante volte entriamo nella storia, facciamo la storia, scegliendo e perseguendo la parte sbagliata. Per tigna, per sbadatezza, per superbia – o per tutt’e tre. Quelle volte che rifiutiamo di guardare in faccia la realtà.

Che a Bologna non ci sia stato nessuno in grado di impedire si finisse così, è indicativo; ed è la lezione più dura. Quella di chi, non guardando in faccia la realtà, si trova a sbatterci contro quando è troppo tardi. E al risveglio sa che può ancora guardarsi in faccia, perché alla fine la memoria è corta. E questa autoindulgenza è uno degli altri mali di questo Paese.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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