Lugano, si vede già la mano della nuova proprietà

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Dal nostro inviato a Lugano (CH)

Va bene la coppa, certo. Ma non è un mistero che, in Svizzera, il campionato, con la sua formula da 10 partecipanti con una relegazione e mezza (lo spareggio), sia una trappola. E che, prima di tutto, la cosa più importante sia il mantenimento della categoria, mai scontato oltre confine. Per questo motivo, ieri, serviva vincere, dopo le due sconfitte rimediate oltre Gottardo. Missione compiuta e anche bene, come vi abbiamo raccontato, ieri, dallo stadio.

In conferenza stampa, il Crus ha detto che aveva chiesto flessibilità alla squadra, prima della partita, contro un’avversaria che vanta individualità di livello. Il tecnico di Vacallo ha schierato una formazione a elevato tasso offensivo, e ha dovuto fare i conti con un Servette guardingo, bravo a pressare, a chiudere gli spazi, a ripartire con efficacia. Chiudere in parità la prima frazione è stato importante, per l’economia dell’incontro.

Nella ripresa, i cambi hanno fatto la differenza, come ha detto l’allenatore dei sottocenerini nel dopopartita: la panchina bianconera ha potuto infatti schierare giocatori in grado d’incidere, anche se l’azione del gol della vittoria è stata confezionata da due giocatori in campo dal primo minuto. Però, sicuramente, negli ultimi 20′ la squadra ticinese ci ha messo qualcosa in più; e, a differenza di altre occasioni, è riuscita a concretizzare.

Certo: c’è ancora molto lavoro da fare, per tutti. Per la società, perché la coperta a centrocampo è corta e, probabilmente, servirà un intervento mirato a gennaio. Per il tecnico, che deve ancora registrare qualcosa, soprattutto quando è la sua squadra a dover fare la partita, giocando più alta e lasciando dello spazio dietro. E, infine, per diversi elementi, che hanno ancora margini di crescita individuale, che potranno raggiungere con l’allenamento, migliorando soprattutto l’intesa con i compagni.

Il calcio è infatti sport di squadra. Vero, ci sono stati, ci sono fuoriclasse in grado di vincere la partita da soli: ma si tratta, appunto, di eccezioni. La normalità è un insieme di 11 giocatori che si completano, che si muovono con movimenti di gruppo armoniosi, e che coprono gli errori dei compagni quando necessario. Tutto ciò, ovviamente, non nasce dal nulla, ma è frutto del lavoro, dell’impegno, del tempo e di rapporti che non si consolidano dall’oggi al domani: il tempo, appunto.

E qua entra in gioco la proprietà. La quale, per ora, di tempo ne ha avuto poco. E, proprio per questo motivo, non sta parlando molto. Joe Mansueto, per ora, tace con i media: ma, pensiamo, parlerà non poco con i propri plenipotenziari elvetici. I quali, a dire il vero, non sono dei gran chiacchieroni: Da Silva, che ha in mano la gestione sportiva, non appare mai davanti a una telecamera, ma è una presenza costante. Blaser finge di capire poco di calcio: però, non si perde una partita, per dire. E ha sempre una parola per tutti, in tribuna, anche semplici tifosi, pur non essendo ticinese e vecchia conoscenza dell’ambiente. Entrambi fanno la cosa che può apparire più ovvia: guardano e prendono nota.

Intanto si godono i frutti della scelta di dare una possibilità al Crus. Che la sta sfruttando nel modo che gli è più congeniale: lavorando. La dirigenza ha capito, per esempio, che il gruppo era riuscito a rimanere impermeabile all’estate pazzesca appena trascorsa, con i giocatori del Sona che si allenavano con la Prima squadra, con gli annunci giornalieri dei nuovi azionisti (loro sì molto presenti a favore di taccuini e telecamere), con Braga paracadutato dal Brasile, Renzetti tornato di corsa a salvare il suo club.

Giocatori e staff, in quelle settimane, avevano poche certezze: il calendario della stagione, lo spogliatoio, il campo per allenarsi, e qualcuno che li guidasse nel lavoro quotidiano, in attesa di decisioni da parte della dirigenza. Croci-Torti, bene o male, faceva parte di quelle certezze. Qualsiasi allenatore proveniente dalla Svizzera interna non avrebbe avuto il carisma di Abelão, per dire. Tanto valeva dare fiducia a chi fa parte del gruppo da anni e, tra l’altro, è ticinese (che non guasta, pur essendo assolutamente secondario).

Il Crus sta convincendo anche i più scettici. Al di là delle scelte tattiche, ha saputo gestire con molta intelligenza il caso Lungoyi, mettendo a tacere chi pensava che, essendo l’ex allenatore in seconda, non sarebbe stato in grado di scindere il ruolo di “amico dei giocatori” da quello dell’allenatore che, nel calcio di oggi, con 20 e passa titolari, deve fare delle scelte, anche lasciando fuori personaggi di spessore all’interno dello spogliatoio.

Il tecnico è in ottimi rapporti con la stampa, chiama tutti per nome, ma ha (e chiede, ovviamente) rispetto per i ruoli di ognuno. Certo, i risultati aiutano: ma, in fondo, si veniva da due sconfitte consecutive con una, tra l’altro (a Zurigo), maturata dopo una prestazione non di buon livello. Tuttavia, anche qua non c’è mai stata una fuga dalle proprie responsabilità. Segno che, dietro, c’è una società che non ragiona partita per partita, ma che ha prospettive più ampie.

In definitiva, il campo sta dando delle ottime risposte. E la sensazione, tra l’altro, è che questa squadra abbia la possibilità di crescere ancora. Complimenti, quindi, a chi gioca e a chi allena. Ma la mano della nuova proprietà si sente, eccome: le scelte strategiche, per ora, stanno dando i loro frutti. E i nuovi arrivati, sul campo, stanno facendo vedere buone cose.

Ora, a fine mese, la vera scadenza spartiacque sarà il referendum per il PSE, che sta monopolizzando il dibattito politico luganese. Qua parliamo di sport e, tra l’altro, non essendo luganesi, non dovremo votare. Questa volta, quindi, saremo noi a essere neutrali. Tuttavia, siamo persone che fanno informazione, e dobbiamo essere a nostra volta informati per farlo bene. Ed è un dato di fatto che stiamo facendo una fatica pazzesca a trovare, in rete e (soprattutto) sul territorio, le ragioni articolate di chi si oppone.

Ciò che è sicuro è che, se il progetto dovesse naufragare, per scelta popolare, il FC Lugano dovrebbe abbandonare la massima serie. E, da uomini di sport, seppure neutrali, una relagazione dovuta a fattori esterni al campo ci amareggerebbe parecchio. Il resto è conseguenza.

Silvano Pulga
Silvano Pulga
Da bambino si innamorò del calcio vedendo giocare a San Siro Rivera e Prati. Milanese per nascita e necessità, sogna di vivere in Svezia, e nel frattempo sopporta una figlia tifosa del Bayern Monaco.

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