L’Arsenal sta continuando a commettere errori clamorosi con la costruzione dal basso

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L’efficacia della costruzione del gioco dal basso è ormai il tema dominante del dibattito calcistico e, come tanti altri precedenti avvenuti nel passato, sta creando divisioni evidenti tra sostenitori e aspri critici. Una volta era la questione del tiki-taka o del “falso nove”, oggi la discussione si è spostata sull’analisi di benefici e svantaggi di far partire l’azione nei pressi dei primi 20-25 metri di campo. Per stavolta non ci uniremo a una o l’altra filosofia di gioco lanciandoci in pensieri e riflessioni più o meno teoriche, perché la nostra attenzione si sposta su un caso pratico che riassume alla perfezione tutte le sfumature e i contrasti insiti nella costruzione dal basso: l’Arsenal di Mikel Arteta.

Sin dal suo arrivo in panchina, il tecnico basco ha cercato di applicare questo stile di gioco ai Gunners, rendendolo un vero e proprio marchio di fabbrica del suo stile tattico. All’Arsenal sono cambiati in questi mesi tanti aspetti negli schemi e nelle posizioni dei giocatori in campo, ma la costruzione dal basso è rimasta una delle poche certezze: far partire l’azione da dietro, attirare la pressione degli avversari e poi scavalcare la prima linea di pressione per innescare i giocatori offensivi (nel caso dei Gunners, il tridente nel 3-4-3 e poi esterni, trequartista e punta nel 4-2-3-1). Una scelta che si è fondata nella sostanza sull’idea della buona capacità del portiere (per la gran parte dei casi, Bernd Leno), dei difensori e dei centrocampisti (in particolare Xhaka, che in fase di costruzione quasi si abbassa all’altezza della difesa, riprendendo una mossa appresa nell’esperienza con Guardiola) di giocare correttamente e con precisione il pallone con i piedi. Come ormai comunemente accertato, si tratta di uno stile di gioco senza dubbio rischioso, che ammette la possibilità di errore, ma che prova a far passare in secondo piano il margine di errore per esaltarne i benefici.

Partiamo da un presupposto fondamentale: non ci sono dubbi che la mano di Arteta nello stile di gioco dei nord londinesi sia evidente e che la squadra sta continuamente crescendo in termini di qualità, sebbene non sia stata ricompensata ancora da ciò che alla fine conta più di tutto, ossia i risultati. Allo stesso tempo, però, nell’Arsenal si sta assistendo a un aumento preoccupante di quel margine di errore reso tollerabile a livello teorico e forse qualche domanda sull’efficacia di questo gioco, con l’attuale rosa, è lecito porsela.

La sfida di ieri sera contro l’Olympiakos è stata l’enigma di questa contraddizione. I Gunners hanno provato ripetutamente a costruire dal basso, ma gli errori in fase d’impostazione sono stati così tanti e gravi da aver finito persino per minare le sicurezze di una squadra per buona parte in controllo della gara. Sono stati almeno tre gli episodi gravi che i londinesi hanno concesso ai greci, che tutto sommato poco sono riusciti a creare di propria mano. Spicca quello clamoroso che ha portato El Arabi a segnare praticamente a porta sguarnita, con Leno che decide di appoggiare troppo corto e centralmente per Ceballos, circondato da tutti i lati da quattro avversari e che, a quel punto, non riesce più a liberarsi del pallone quel secondo prima di farselo strappare dai piedi.

Ma già nel primo tempo, l’Olympiakos aveva altre due occasioni incredibili su errori in fase di costruzione dell’Arsenal: prima un retropassaggio corto e centrale di Odegaard finito direttamente sui piedi di Bruma, poco cattivo nel trasformare; poi, un altro scambio in area tra Leno e David Luiz ha mandato praticamente in porta Masouras, a sua volta impreciso a calciare. Il risultato finale per 3-1 ha poi fatto passare in secondo piano questi errori, ma Arteta in conferenza stampa non ha fatto finta di niente: nessuna rinuncia alla propria filosofia, come prevedibile, ma ha espressamente fatto capire di aver bisogno di vedere un miglioramento nelle tempistiche delle giocate, perché in questo sistema d’impostazione un secondo prima o dopo fa la differenza.

Le falle di questo gioco erano emerse ancora soltanto qualche giorno fa contro il Burnley: altro passaggio partito da Leno per Xhaka (autore di ben 8 errori che hanno portato direttamente a un gol dal 2016/2017, più di ogni altro giocatore di movimento della Premier League), lo svizzero si ritrova a dover correre verso il pallone spalle alla porta avversaria, con l’avversario in pressione alle spalle e, nel tentativo di aprire con il destro per il centrale di difesa, sbaglia la misura del tocco e fa carambolare il pallone, finito poi in rete, contro Wood, che aveva bloccato la linea di passaggio. In quel caso l’errore era costato eccome: i Gunners hanno pareggiato per 1-1 una gara che era quasi in controllo e che invece si è trasformata nell’ennesima occasione mancata della stagione. Ma di imprecisioni figlie di questo sistema di gioco se ne sono visti a più riprese nel corso dell’anno.

Un altro caso piuttosto curioso era avvenuto in Rapid Vienna-Arsenal dello scorso 22 ottobre: Luiz serve indietro Leno, che prova a giocare il pallone con i piedi centralmente Elneny o Thomas, ma si fa intercettare il passaggio da pochi metri da Kara, trasformandolo in un assist per il diagonale di Fountas.

Tutti questi gol concessi hanno in comune le stesse caratteristiche: scarsa capacità di lettura dei posizionamenti dei compagni e di gioco del pallone con i piedi, altissimo pressing degli avversari ormai pronti a mettere sistematicamente 3-4 uomini a provare a chiudere le linee di passaggio da dietro e poca prontezza nel liberarsi del pallone a ogni costo pur di non farselo rubare. Queste gravi imprecisioni sono a tutti gli effetti frutto del gioco voluto da Arteta: nel caso del gol di El Arabi, un’impostazione migliore da parte di Leno e Ceballos avrebbe permesso ai Gunners di saltare la linea di pressione di ben 4 giocatori, aprendo poi il campo agli elementi offensivi.

La questione più “filosofica” è tutta qui: i giocatori dell’Arsenal sono adatti per questo gioco? E l’impostazione da dietro è meritevole di essere perseguita, al punto di dover cambiare gli interpreti se necessario? Sono le questioni con cui Arteta dovrà fare ripetutamente i conti. Perché i benefici del suo lavoro sono evidenti, ma negli ultimi mesi la stragrande maggioranza dei gol subiti dai Gunners sono nati da errori individuali, pur essendo in parte legati a questo sistema di gioco. Il basco sa che è un azzardo, ma la sua indole e idea di calcio lo stanno portando a perseguire questa strada a tutti i costi. È una scommessa che riguarda tanto l’allenatore quanto la società, chiamata ad accontentarlo in estate sul mercato per avere finalmente interpreti adeguati al suo stile di gioco. Arteta è stato una scommessa fin dagli inizi, a questo punto non resta che provarla fino in fondo seguendo le sue indicazioni nel reclutamento di nuovi elementi anche per il prossimo anno. Ma le insicurezze emerse in queste settimane difficilmente spariranno all’improvviso negli ultimi mesi dell’attuale stagione.

Francesco Moria
Francesco Moria
Nato a Monza nel '95, ha tre grandi passioni: Mark Knopfler, la letteratura e il calcio inglese. Sogna di diventare giornalista d'inchiesta, andando a studiare il complesso rapporto tra calcio e politica.

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