VERSO #Euro2020 – Euro 1996, “Das golden gol”: la Germania riunificata ai piedi di Bierhoff, sotto il cielo di Wembley

-

Il 5 maggio 1992, la Football Association apprende che l’Inghilterra è stata scelta per ospitare le finali dei Campionati Europei di calcio del 1996. Una sorpresa, se si considera che proprio il calcio di Sua Maestà la Regina era stato di nuovo ammesso nelle coppe europee da 2 anni appena (provvedimento in vigore dal 1985 al 1990), dopo esserne stato estromesso, a causa dei fattacci dell’Heysel e di Hillsborough, cui fece seguito la solita politica severa di Margareth Thatcher. 

Diverse le novità della decima edizione: innanzitutto, si passa dalle 8 squadre qualificate del 1992 alle 16 della rassegna inglese. Divise in quattro gironi da quattro squadre. Per ogni vittoria, non più due punti assegnati, bensì tre, come era già accaduto ai campionati mondiali di calcio negli Stati Uniti due anni prima, novità poi inglobata in tutti i campionati europei, compresa la Serie A, dalla stagione ‘94/’95. Se al 90’ si è in parità, si va ai supplementari e qui c’è un’altra novità: l’introduzione del golden gol o, come vuole l’originale nome di questa regola, la “sudden death”. La morte improvvisa. Quest’etichetta così agghiacciante esprime l’esatto effetto sportivo della regola: in pratica, vince chi per primo segna un gol. E la partita termina all’istante. Pensata, anche questa, per aumentare lo spettacolo, finirà invece soltanto per impaurire le squadre e durerà appena 11 anni, dal 1993 al 2004, quando verrà abolita. Eppure, riuscirà ad essere determinante in tutte le edizioni di europei e mondiali nel mezzo. Alla fine, però, se il risultato non si sblocca, si va sempre ai calci di rigore. 

Il sorteggio dei gironi avviene il 22 gennaio a Manchester, le 16 finaliste vengono ripartite piuttosto equamente. Nel girone A si affrontano proprio i padroni di casa e l’Olanda, nazioni rivali come candidate ad essere le ospitanti. Gli inglesi sono allenati da Terry Venables, che ha raccolto le redini di Graham Taylor dopo il disastroso europeo svedese. Il capitale umano non è niente male, il baffuto David Seaman è il vero dopo-Shilton, il suo compagno “gunner” Tony Adams guida la difesa, l’interista Paul Ince in cabina di regia, coadiuvato da McManaman e Anderton, elementi importanti di Liverpool e Tottenham, due che con il pallone hanno molta confidenza. Giova l’esperienza e tutta la versatilità del veterano David Platt. Trequartista è la variabile impazzita e imprevedibile Paul “Gazza” Gascoigne. Dopo l’opaco triennio laziale, è tornato protagonista in Scozia con i protestanti Glasgow Rangers ed è al massimo della forma per la competizione continentale. Davanti due puledri di razza: Teddy Sheringham, futuro campione d’Europa con il Manchester United e, fin lì, stella del Tottenham; Alan Shearer, il miglior numero 9 della storia calcistica dei tre leoni, capace di portare con i suoi gol il Blackburn sul trono d’Inghilterra nel ’95 e ancora affamato di gol nella stagione che porta all’europeo: ben 31 gol in 35 partite. L’Olanda, dal canto suo, è in un periodo di rinnovamento. Dato il malinconico addio a Marco Van Basten, la cui caviglia è martoriata da infortuni e interventi chirurgici non sempre efficaci, non ci sono più nemmeno Gullit e Rijkaard. I tre olandesi che, con il Milan e la casacca arancio, hanno vinto tutto a cavallo tra gli ’80 e i ’90, sono tre pilastri che mancano e la struttura traballa. Manca anche Ronald Koeman. Non uno qualunque. C’è una “nouvelle vague”, però, quella plasmata dal santone Louis Van Gaal. Ha conquistato tre Eredivisie consecutive, è finito in finale di Champions League per due stagioni di fila. Ha battuto il Milan di Capello nella prima con l’acuto di Kluivert, si è piegato l’anno dopo a Roma soltanto ai rigori contro la Juventus. I suoi alfieri, che sono anche i nuovi soldati oranje, sono il portiere Van der Sar, Reiziger, Blind, Frank de Boer, Davids, Kluivert. Completano la pattuglia Stam, Seedorf, Cocu, Winter, Bergkamp, van Bronckhorst, Makaay. Tutta gente destinata a riempire di trofei le proprie bacheche personali con le maglie di club. C’è la Svizzera di Chapuisat, Türkyilmaz, Sforza e Sutter, allenata da Arthur Jorge, e si prospetta un succulento derby britannico tra Inghilterra e Scozia. Nel girone B, oltre a Spagna e Francia (finaliste nell’’84), ci sono le nazionali dell’Est, Bulgaria e Romania. Sono entrambe al “canto del cigno”: la prima semifinalista e la seconda tra le migliori otto a USA ’94, vivono gli ultimi fuochi di un periodo dorato. I galletti d’Oltralpe hanno una grande infornata multi-etnica, voluta dal ct Aimé Jaquet, in netto contrasto con la destra sovranista di Jean-Marie Le Pen, in forte ascesa in Francia: fuori le stelle Papin, Cantona e Ginola. In porta c’è Bernard Lama, originario della Guyana francese; il terzino destro è Jocelyn Angloma, viene dalla Guadalupa; difende Marcel Desailly, nato ad Accra, in Ghana; a centrocampo c’è Cristian Karembeu, della Nuova Caledonia. Dietro l’unica punta Patrice Loko, spazio all’armeno Yuri Djorkaeff e al fantasista di grande talento, mezzo francese e mezzo algerino, che farà tanto parlare di sé: si chiama Zinedine Zidane. Nel girone C eccoci noi, l’Italia vice-campione del mondo, contro i rivali storici di sempre: la Germania. C’è ancora Arrigo Sacchi, non c’è più Roberto Baggio, che ha lasciato il cuore sul dischetto del Rose Bowl di Pasadena. Tornerà in Francia due anni dopo. Non ci sono nemmeno Gianluca Vialli e Beppe Signori. Un infortunio occorso a Ciro Ferrara costringe Sacchi a promuovere titolare Apolloni, Panucci e Benarrivo, quest’ultimo motore perpetuo negli Stati Uniti, restano a guardare. C’è Alessandro Del Piero, il nuovo che avanza e che ha dato il proprio marchio al calcio di punizione, mortifero su tutti i campi della Champions League appena disputata e vinta. Purtroppo per lui, Sacchi gli affibbia un ruolo di centrocampista esterno che, praticamente, vanificherà ogni sua possibilità di incidere seriamente. C’è anche Gianfranco Zola, che di fatto raccoglie l’eredità del Divin Codino ed ha i conti in sospeso con l’azzurro.

L’espulsione di Boston contro la Nigeria, per mano dello scellerato Brizio Carter, fa ancora malissimo. “Magic Box” (come verrà ribattezzato dai tifosi del Chelsea) ha tanta voglia di dimostrare di essere un leader con il tricolore sul petto. Ravanelli, Chiesa e Casiraghi completano il pacchetto avanzato, Donadoni è sempre l’ispiratore pronto all’occorrenza, Albertini staziona in regia, dietro comandano sempre i milanisti Maldini e Costacurta; tra i pali non più Pagliuca, ma un solido pilastro: il fresco campione d’Europa Angelo Peruzzi. I tedeschi sono privi di Lothar Matthäus e ripongono le loro speranze in giovani come Ziege, Babbel, Scholl, Bobic; davanti, Berti Vogts si affida a Oliver Bierhoff e farà non bene, benissimo. La squadra è compatta, i leader trainano il gruppo. Klinsmann è il capitano, Sammer il libero. Anche lui raccoglierà qualche discreto “alloro”. Completano il raggruppamento la Repubblica Ceca e la Russia. I cechi si presentano per la prima volta distaccati dalla Slovacchia. Una separazione pacifica, avvenuta appena tre anni prima, nel 1993. La nuova Russia (non più URSS né CSI) nata nel 1992, invece, è già stata vista al mondiale americano, dove ha fornito addirittura il capocannoniere del torneo, tal Oleg Salenko. Capace di segnare 6 gol in sole 3 partite disputate e nemmeno per intero (solo 215 i minuti effettivi di gioco). Per di più, 5 vennero realizzati soltanto nell’ultima partita del girone contro il Camerun. Un record che resta imbattuto ancora oggi. Salenko chiuse proprio lì la sua esperienza internazionale con la Russia, come una scintillante meteora passata troppo in fretta. In Inghilterra già non c’è più. Nel gruppo D, infine, c’è la Danimarca campione in carica, il Portogallo, la Turchia e la neonata Croazia. I campioni uscenti sono ancora guidati da Richard Møller Nielsen, da mal sopportato a Dio in terra, dopo il trionfo del 1992. Ed è tornato anche Michael Laudrup che, evidentemente, ancora oggi rosica per quell’assenza in Svezia.

La Croazia, invece, è figlia dell’indipendenza e della sanguinosa guerra in quella che è ormai l’ex-Jugoslavia, concepita nel 1990 e affiliatasi alla FIFA nel 1992. La prima competizione ufficiale alla quale partecipa è proprio la qualificazione a Euro ’96, centrata subito. E con una vittoria di prestigio, quella di Palermo – allo stadio La Favorita – il 16 Novembre 1994 ai nostri danni. Una doppietta di Davor Šuker ci mette k.o. e a nulla serve il punto dell’1-2 di Dino Baggio al 90’. Al City Stadium in Poljud di Spalato, al ritorno l’8 Ottobre 1995, strappiamo l’1-1 di grinta, in dieci per l’espulsione di Bucci, in vantaggio con una punizione di Albertini e puniti su rigore dal solito Šuker. D’altra parte, in rosa ci sono giocatori di livello europeo assoluto come Jarni, Prosinečki, il suddetto Šuker, Boban, Bokšić, Stanić, Vlaović e allenati da Miroslav Blažević, curiosamente chiamato in patria dagli amici “Ciro”.

Nel teatro ancora antico di Wembley (verrà demolito e ricostruito a partire dal 2003), l’8 Giugno il coro “Football Is Coming Home” risuona come un inno nazionale. La gara inaugurale è quella tra i padroni di casa e la Svizzera, che sfoggiano per l’occasione le loro divise tradizionali. Al 23’ Alan Shearer interrompe un digiuno che dura da 12 partite e sblocca il punteggio, facendo impazzire i tifosi sugli spalti. Ince trova il corridoio giusto e il bomber del Blackburn infila di prepotenza il destro sotto la traversa. Gli elvetici non ci stanno, colgono una traversa clamorosa con Grassi e nella ripresa, all’’83’, trovano il fallo di mano di Stuart Pearce che vale il calcio di rigore: dal dischetto Türkyilmaz trasforma di sinistro, spiazzando Seaman. Il girone gli inglesi riusciranno a vincerlo ugualmente, gara-chiave il derby con la Scozia. Gascoigne regala un gol spettacolare ai suoi tifosi per il 2-0 finale, con un sombrero d’esterno destro all’avversario ed un tiro imparabile. Con l’Olanda è passerella, la gara termina 4-1 per gli inglesi, doppiette di Sheringham e Shearer, sempre più capocannoniere del torneo. Kluivert regala il punto d’onore agli oranje, letteralmente surclassati. 

Nel girone B Francia e Spagna non si fanno male nello scontro diretto, finisce 1-1 con reti di Djorkaeff e Caminero. I galletti vinceranno il girone, in virtù dei successi su Romania e Bulgaria, mentre gli iberici si accontenteranno della seconda piazza, a causa del pari dell’esordio contro Stoichkov e compagni e, soprattutto, grazie al gol decisivo di Amor, nell’ultima sfida contro la Romania, giunto all’’84 sul risultato di 1-1 e che avrebbe consentito, invece, ai bulgari di passare. 

Girone C, quello dell’Italia: una doppietta di Casiraghi, scalfita appena dal punto di Cymbalar’, ci fa partire con il piede giusto. Stesso dicasi per la Germania, che si libera della Repubblica Ceca per 2-0, con i gol di Ziege e Möller. Il primo vestirà, senza molta fortuna, la casacca del Milan, il secondo è stato bianconero per due anni fino al 1994, vincendo una Coppa UEFA contro quel Borussia Dortmund che poi diventerà la sua casa fino al 2000 e con cui vincerà una Champions League, a Monaco di Baviera, proprio contro la Juventus nel 1997.

Il 14 Giugno, a Liverpool, Anfield Road ospita la gara del secondo turno tra Repubblica Ceca e Italia. Per i mitteleuropei è una partita da dentro o fuori, perdere significa andare a casa. Gli azzurri, invece, forti del loro blasone e della prima vittoria, approcciano al match con quel filo di superbia che, prima o poi, coglie come una jattura le grandi squadre quando meno te lo aspetti. Il Ct fa turnover: fuori Alessandro Del Piero, Angelo Di Livio, Gianfranco Zola e Pierluigi Casiraghi, nonostante una doppietta già all’attivo; in campo Fabrizio Ravanelli, Enrico Chiesa, Roberto Donadoni e Dino Baggio. Mossa azzardata cambiare così tanto gli equilibri di una squadra che cerca il feeling… infatti, arriva il capitombolo: Apolloni se lo perde e Pavel Nedvěd porta subito in vantaggio i cechi su un cross dalla destra di Poborsky. È il minuto numero 4. Per il biondo è il primo gol con la nazionale. Sarà una stella del firmamento europeo, con le maglie di Lazio e Juventus. Vincerà il Pallone d’Oro nel 2003. Enrico Chiesa detta e chiude il triangolo con Diego Fuser e pareggia per gli Azzurri al 18’, ma, con l’espulsione di Apolloni, la squadra di Arrigo Sacchi va in difficoltà e Radek Bejbl al 35’ la punisce nuovamente, su un altro cross dalla destra, questa volta di Kuka. Nel secondo tempo l’Italia non riesce a raddrizzare le cose, al 90’ è 2-1 e qualificazione di nuovo in discussione, si deciderà tutto all’ultima giornata.

La serenità del torneo viene minata seriamente la mattina di sabato 15 Giugno, intorno alle 11:00: l’IRA piazza una bomba ai Granada Studios di Quay Street, in pieno centro di Manchester. L’annuncio avviene telefonicamente, circa un’ora e mezza prima dello scoppio e questo permette alle forze dell’ordine di sgombrare circa 75.000 persone presenti in quell’area. L’ordigno salta lo stesso, vengono ferite 200 persone. Per fortuna, nessuno perde la vita. Un attentato da ingenti danni, che poteva valere una strage. Il giorno dopo, all’Old Trafford, la gara del secondo turno del girone C tra Russia e Germania viene regolarmente disputata. I tedeschi asfaltano gli avversari con un sonoro 3-0, firmato da Sammer e dalla doppietta di Jürgen Klinsmann. 

Per passare il turno, bisogna battere la Germania, già sicura della qualificazione. Alla Repubblica Ceca basta un punto, se noi non vinciamo, perché è in vantaggio nello scontro diretto. A Old Trafford, Manchester, il 19 Giugno, va in scena una delle classiche del calcio mondiale. Il palcoscenico è il “Theatre Of Dreams”, gli attori scelti da Sacchi sono: Peruzzi; Mussi, Costacurta, Maldini, Carboni; Fuser, Albertini, Di Matteo, Donadoni; Casiraghi, Zola. Un 4-4-2 classico, in cui Donadoni deve fare il surplus e innescare i due fucilieri lì davanti, un mix di classe e determinazione che, in ogni caso, ci fa ben sperare. Berti Vogts, invece, più comodo, sceglie di attendere l’avversario con: Köpke in porta, poi Strunz, Freund, Sammer, Helmer e Ziege dietro; Hässler, Eilts, Möller in mezzo; davanti Klinsmann e Bobic. L’arbitro è il belga Guy Goethals, figlio di Raymond, l’allenatore giramondo che ha vinto la prima – e fin qui unica – Champions League con una squadra francese, l’Olympique Marsiglia. Nel 1993, sempre a Monaco di Baviera (sede che ricorre), contro il Milan di Fabio Capello. Sembrava imbattibile, un colpo di testa di Bolì dimostrò il contrario. Ironia della sorte, Goethals aveva sostituito un mito del calcio tedesco come Franz Beckenbauer, addirittura esonerato da campione del mondo con la sua Germania a Italia ’90. La partita è bella aggressiva, le due squadre non si risparmiano. Un bel destro al volo in diagonale impegna il portiere tedesco. Siamo in palla, ce la giochiamo. Dopo 8 minuti, Mathias Sammer perde la palla in modo dilettantistico, gliela ruba Casiraghi che fugge da solo verso la porta. Superato in dribbling Köpke, viene steso a terra: calcio di rigore! È l’episodio che aspettiamo, può mettere in discesa partita ed europeo. Perché battere i tedeschi è sempre un’impresa. E a chi tocca? Ma a lui ovviamente, “Magic Box” Gianfranco Zola, l’occasione attesa due anni e finalmente è tra i suoi piedi. La rincorsa è giusta, Zola parte, piazza il destro… e ne esce una conclusione debole, rasoterra, sulla sinistra del portiere teutonico che intuisce e para senza troppa difficoltà. Siamo ancora 0-0. Zola ha sbagliato il rigore contro la Germania, lui che, da attaccante di classe, è abituato a calciare dal dischetto. Eppure, la sorte non gli è amica e la tensione deve averlo paralizzato come se un fulmine lo avesse trapassato da capo a piedi. Non c’è da disperarsi, comunque, c’è tutta una partita da giocare e non è certo il primo italiano a fallire un penalty contro i tedeschi. C’era riuscito pure Cabrini, al Bernabeu, l’11 Luglio 1982. E sappiamo tutti come andò a finire. Continuiamo, perciò, ad attaccare: Sacchi fa cenno con la mano di star su. Ancora Fuser impegna in diagonale Köpke, in serata di grazia dopo il rigore respinto. Ci prova anche Donadoni, assalto rispedito al mittente. All’ora di gioco siamo anche in superiorità numerica: ha lasciato il campo Thomas Strunz, espulso. Deriso per una vita dal calcio italiano per quel suo sfortunato cognome, oggetto della furia di Giovanni Trapattoni in una conferenza stampa che farà parte della storia del XX Secolo. Ma gli assalti azzurri non sono incisivi, la stanchezza e la tensione hanno il loro peso. I tedeschi, ordinati, si difendono e basta. I minuti scorrono. Anche troppo, arriva il 90’ e il risultato non cambia. Siamo fuori. È il preludio della fine anche per il CT Arrigo Sacchi che, benchè confermato, sa di non avere più le redini del gruppo. Il 6 novembre, dopo la sconfitta per 2-1 in amichevole a Sarajevo contro la Bosnia, chiude il sipario sulla sua esperienza azzurra e riabbraccerà il Milan per questioni di “cuore”, anche se la sua seconda esperienza in rossonero sarà fallimentare e si chiuderà a fine campionato. Sempre a Liverpool, va in scena un biscottone facile con una Russia che non ha più nulla da chiedere e la Repubblica Ceca ringrazia. 

Nel Girone D assistiamo al crollo dei campioni uscenti. La Danimarca crolla contro la Croazia, che si conferma tra le formazioni più temibili del torneo.

I quarti di finale sono apparecchiati: l’Inghilterra padrona di casa se la vede con la Spagna, la Francia affronta l’Olanda, la Germania incontra la debuttante Croazia e, infine, la Repubblica Ceca si oppone al Portogallo. Come due pugili sul ring, inglesi e spagnoli si studiano e si colpiscono qua e là, ma nessuna delle due riesce a mandare knockout l’altra. Dopo una battaglia di 120 minuti, si arriva ai calci di rigore e qui i protagonisti diventano tre: lo spagnolo Fernando Hierro in negativo, dopo aver giocato una gran partita. Il suo tiro, infatti, sbatte sulla traversa. Stuart Pearce, invece, dopo aver fallito dal dischetto uno dei rigori della semifinale a Italia ’90 contro la Germania, stavolta si rifà e batte Zubizarreta alla sua sinistra. Il terzo protagonista è David Seaman, che intuisce la direzione di una non impeccabile conclusione di Nadal e compie la parata decisiva, che porta la selezione dei tre leoni dritta in semifinale. Poco dopo la fine della partita di Wembley, a Liverpool scendono in campo Francia e Olanda. Anche in questo caso, il copione non cambia. Si lotta e si continua a lottare, fino ai calci di rigore. I primi sei vanno tutti a segno, tre per parte ovviamente: De Cock, de Boer e Kluivert per gli oranje; Zidane, Djorkaeff e Lizarazu per i transalpini. Al settimo penalty, Clarence Seedorf viene colto da tremarella ed il suo destro debole e centrale viene respinto senza problemi da Bernard Lama. È la svolta, Guerin non si fa tradire dalla tensione, Blind tiene in vita i suoi, ma Laurent Blanc spiazza nettamente van der Sar e porta la Francia in semifinale. A fine gara, pianto a dirotto per Seedorf, solitamente uno che di personalità non difetta affatto. 

Il giorno dopo è la volta di Germania e Croazia: all’Old Trafford si affrontano un habituè del calcio mondiale e una debuttante assoluta. Al 20’, su un affondo di Sammer in area, Jerkan la prende con la mano e l’arbitro concede il penalty. Dal dischetto si presenta Klinsmann, uno che non si fa intimidire facilmente e infatti porta in vantaggio la Germania. Si va al riposo, ma nella ripresa la Croazia entra battagliera e perviene al pareggio. Freund, che aveva rilevato Klinsmann per un infortunio, patisce la pressione avversaria e perde un pallone sanguinoso al limite dell’area, Šuker ci si avventa come un falco, dribbla elegantemente Köpke in uscita e deposita il pallone in porta, dimostrando tutta la sua classe, la sua scaltrezza ed il suo essere uno dei migliori bomber in circolazione degli anni ’90. Partita riaperta? Ci pensa Stimac a ri-complicare le cose, beccandosi al 59’ il secondo giallo e, quindi, il rosso che lo manda veloce a fare la doccia. Gli effetti, disastrosi, si vedono subito perché la Germania si riversa in avanti, Babbel da destra mette un bel pallone al centro dove c’è Sammer. Il primo tentato colpo di testa rimpalla su un avversario, dopodichè il numero 6 tedesco si trova con il pallone da solo davanti a Ladic. L’unico effetto che ne può scaturire è il facile diagonale con un si realizza il 2-1, la Germania è in semifinale, Croazia a casa. A testa alta, a dimostrazione che qualcosa bolle già in pentola e lo vedremo dopo appena due anni, in Francia, dove gli uomini di Blazevic si vendicheranno con gli interessi dei tedeschi e sfioreranno addirittura la finale mondiale.

L’ultimo atto è a Birmingham, tra Repubblica Ceca e Portogallo. Dopo un primo tempo equilibrato, al 53’ Karel Poborský prende la scena. Gli arriva la palla sulla trequarti, è solo e ha ben 4 portoghesi davanti. Supera il primo e, grazie ad un rimpallo incredibile, sguscia via tra Hélder e Fernando Couto. Arriva al limite dell’area, gli si fa incontro Océano che, intuendo la possibile conclusione, interviene in scivolata alla disperata. Vìtor Baia è fuori dai pali e allora Poborský ha il colpo di genio: un lob elegante e morbido che si libra in cielo, passa sopra la testa dell’incredulo portiere del Porto e si deposita in rete, facendo letteralmente impazzire i tifosi di una neonata nazione intera. Un capolavoro d’arte moderna del calcio.

Le semifinali sono stuzzicanti, da una parte la rivincita di Italia ’90 tra Inghilterra e Germania, dall’altra Repubblica Ceca e Francia in un incontro che, apparentemente, sembra scontato. Si parte da Manchester, gli uomini di Aimé Jacquet contro quelli di Dušan Uhrin. Le squalifiche di Suchopárek, Látal, Kuka e Bejbl sembrano un ostacolo insormontabile per i cechi, ma anche i francesi devono fare i conti con le assenze di Deschamps e Karembeu. Caldo, stanchezza e paura portano la partita ai calci di rigore. La prima serie di 10 penalties è perfetta: segnano tutti. Zidane prima, Kubík poi. Djorkaeff prima, Nedvěd poi. Lizarazu e Berger, entrambi. Guérin e Poborský, entrambi. Blanc e Rada, gol. Si va ad oltranza. Tocca a Reynald Pedros, che intravedremo in Italia in 8 presenze appena tra Parma e Napoli. Senza lasciare traccia. Quel pomeriggio di Manchester, invece, il solco lo griffa eccome: il suo sinistro è lento e centrale, Kouba lo respinge addirittura con i piedi. Sui piedi di Kadlec c’è la storia. E la storia viene mandata con un destro secco all’incrocio dei pali: la Repubblica Ceca, trent’anni dopo gli europei in Jugoslavia del 1976, anche se non c’è più Panenka e nemmeno più la Cecoslovacchia unita, è di nuovo in finale! È l’ennesima di queste storie meravigliose dei campionati europei, che non tradiscono mai e che rendono questo viaggio un’avventura imprevedibile.

A Wembley, dopo una mezz’ora abbondante, scendono in campo Inghilterra e Germania. La vigilia è avvolta dalle solite provocazioni dei tabloid inglesi e tedeschi. Sono i padroni di casa a partire con sprint, sospinti dal pubblico rumorosissimo. Köpke alza sopra la traversa un bolide dalla distanza di Ince e, sul corner che ne segue, c’è già il gol: lo batte Gascoigne, spizza la palla di testa Tony Adams e nell’area piccola sbuca rapido Alan Shearer, che di testa realizza il suo quinto gol personale. Braccia al cielo e titolo di capocannoniere del torneo blindato. Mai dare per morti i tedeschi, però, perché si ricompattano senza timore. E al 16’ trovano il pari: Möller pesca l’inserimento di Helmer in area, cross rasoterra tagliato di quest’ultimo e deviazione vincente in spaccata di Kuntz, che sfugge alla marcatura di Pearce. 1-1 e palla al centro. La partita si gioca sui nervi, Shearer con un bel colpo di testa sfiora il 2-1, nella ripresa Helmer prova lo stesso brivido, ma invano. Nei supplementari Wembley sta per cadere giù tutto intero quando McManaman pesca Anderton in area, ma il destro di quest’ultimo si stampa sul palo a portiere battuto. La Germania soffre, ma resiste e porta la partita ai calci di rigore. I fantasmi di Italia ’90 riaffiorano pesanti, l’aria sul cielo di Londra si fa pesante. La prima serie è impeccabile, vanno a segno tutti. Quando si va ad oltranza, il destino si compie: Möller segna, Southgate prende una rincorsa chilometrica, ma non angola abbastanza il tiro e Köpke intuisce. L’Inghilterra è nuovamente eliminata, ad un passo dal traguardo. La Germania è di nuovo in finale, per la quinta volta. E può giocarsi la rivincita del ’76, dopo trent’anni quindi, contro la Repubblica Ceca.

Wembley, il tempio del calcio britannico, lacrima ancora per la mancata presenza dell’Inghilterra, ma si veste a festa ugualmente per la finale del campionato europeo: la sera del 30 Giugno 1996 alle otto c’è ancora la luce del sole ad illuminare gli spalti gremiti da ben 73611 persone. Tra queste, Sua Maestà la Regina Elisabetta II. Come sempre, negli eventi che fanno la storia, lei c’è e non solo: scende in campo per fare il saluto alle due squadre, già schierate in linea per gli inni nazionali. Dopodichè, raggiunge sugli spalti il cancelliere Helmut Kohl. C’è anche un pizzico di Italia nella finale, perché a dirigere l’incontro è l’arbitro Pierluigi Pairetto. Avremmo preferito undici azzurri e nessun uomo nero, ma questo ci tocca. Dopo essersi affrontate nel girone, lo stesso dell’Italia, Germania e Repubblica Ceca si ritrovano dunque per l’ultimo atto. A Manchester sono stati Ziege e Möller i castigatori dei cechi, ma ora l’esito è tutt’altro che scontato. I tedeschi, infatti, sono decimati da infortuni e squalifiche (tra cui Reuter, Freund e Möller compreso), Klinsmann è costretto a giocare con un ginocchio dolorante accanto a Kuntz. Berti Vogts schiera la difesa a 5 con questi uomini: Köpke; Ziege, Helmer, Sammer, Babbel, Strunz; Hässler, Eilts (Bode 46′), Scholl (Bierhoff 69′); Klinsmann (c), Kuntz. Il Ct Uhrin, invece, recupera Patrik Berger, uno degli uomini di maggior talento di quella selezione. Questo lo schieramento iniziale: Kouba; Suchopárek, Kadlec (c), Horňák; Nĕmec, Rada, Bejbl, Nĕdved, Poborský (Šmicer 88′); Berger; Kuka.

La prima frazione di gioco è – come si dice in gergo – “tattica”, le due squadre si studiano con i tedeschi a far gioco e i cechi a ripartire. Un paio di volte Kuntz e una volta Kuka hanno delle buone chances, non sfruttate. La festa si movimenta nella ripresa, dopo un quarto d’ora la prima svolta: Poborský fugge via in contropiede e viene falciato in corsa da Sammer all’ingresso in area dal vertice destro, per Pairetto è calcio di rigore. Il sospetto che il contatto sia avvenuto fuori area è più che fondato. Sul dischetto, comunque, va Berger che prende una lunga rincorsa e di sinistro riesce a trafiggere Köpke che, pur intuendo la direzione, non riesce ad agguantare il pallone che gli passa praticamente sotto la pancia. Dopo Panenka, che sia un altro penalty a condannare la Germania contro i cechi? Berti Vogts si gioca, allora, la carta Bierhoff e con grande coraggio, perché toglie un centrocampista, Scholl. La mossa ripaga quasi subito, perché dopo 4’ dal suo ingresso in campo, il bomber dell’Udinese di Zaccheroni sbuca alle spalle della difesa su una punizione di Ziege e di testa trafigge Kouba sul primo palo, 1-1 e si ricomincia daccapo. Passano i minuti, la stanchezza si fa sentire, al 90’ il punteggio è di parità. Ci aveva provato poco prima Smicer a tentare il colpaccio da fuori area, ma Köpke in tuffo gli ha negato la gioia. Peccato, avrebbe festeggiato degnamente il suo matrimonio, avvenuto esattamente 48 ore prima grazie ad un permesso speciale della federazione per tornare in patria a dire sì alla donna della sua vita. Occorreranno, dunque, nuovi supplementari. Aumenta la paura e, nonostante un’occasione per Berger (sinistro a lato di poco), sono i tedeschi a prendere in mano la situazione. Non ci vorrà molto, perché al 95’ il destino di questo europeo si compie: Klinsmann raccoglie una spizzata fuori area di Bierhoff, si gira e crossa nuovamente per il biondo partner d’attacco. Quest’ultimo, spalle alla porta, è tallonato da Rada e niente fa pensare che qualcosa di eccezionale stia per accadere. Invece Bierhoff controlla elegantemente con il destro, se la sposta d’esterno per girarsi a favore di porta e calcia. Il suo tiro viene deviato letteralmente da un gluteo di Horňák (dicesi colpo di culo) e sorprende Kouba, leggermente fuori dai pali. Il portiere ceco, invece di respingere con i pugni, tenta una presa d’istinto, ma il pallone gli scivola dalle mani come una saponetta e, beffardo come un finale inaspettato, lentamente e inesorabilmente si dirige placido sul secondo palo, fino a insaccarsi mentre Kouba lo guarda come un’amante perduta. La beffa è atroce, la morte è “improvvisa”. È il primo golden gol a decidere una finale, se l’aggiudica la Germania con la doppietta del più inaspettato e in Friuli più d’uno ha stappato quella sera una bottiglia di Refosco. I giocatori si abbracciano sul campo e sono pazzi di gioia, per Berti Vogts una rivincita pazzesca, dopo esser stato beffato da un’altra outsider quattro anni prima. Da giocatore, aveva conquistato anche il primo europeo per la Germania Ovest nel 1972, ora si è ripetuto in panchina. Berger è a terra in lacrime, Kouba è inconsolabile. I tedeschi salgono i 39 gradini della tribuna centrale di Wembley, capitan Klinsmann solleva il trofeo nel cielo d’Inghilterra. Se ai mondiali comanda il Brasile, agli europei i leader sono loro, con tre successi storici.

Quel successo varrà il pallone d’oro a Matthias Sammer, tutt’altro che un libero indimenticabile. Assolutamente concreto, però, nel suo anno di grazia che concluderà, dodici mesi dopo, con la conquista in patria della Champions League (e la conseguente Coppa Intercontinentale) con la maglia del Borussia Dortmund e ai danni della Juventus. Vincerà il prestigioso premio di France Football per un solo voto in più su Ronaldo (144 vs 143), già fenomeno con il PSV Eindhoven. Terzo Alan Shearer, capocannoniere del torneo con 5 gol. Ne segnerà altri due nell’edizione successiva e diventerà il terzo miglior marcatore della storia del torneo continentale, dietro Platini e Cristiano Ronaldo. Un’altra piccola consolazione per l’Italia, infine, ci fu con la Top 11 dell’UEFA, in cui venne inserito un solo italiano: Paolo Maldini, a dimostrazione che il suo valore era tale da travalicare sempre i successi di gruppo.

Questa la formazione, non dominata dalla Germania come si potrebbe immaginare, a dimostrazione di quanto equilibrato fu quell’europeo: Köpke (Germania); Blanc (Francia), Desailly (Francia), Sammer (Germania), Maldini (Italia); Gascoigne (Inghilterra), Poborský (Repubblica Ceca), Dieter Eilts (Germania); Shearer (Inghilterra), Stoichkov (Bulgaria), Šuker (Croazia).

Roberto Tortora
Roberto Tortora
Laureato in Scienze della Comunicazione, a Salerno. Master in Giornalismo IULM, a Milano; Giornalista professionista.

MondoPallone Racconta… Cruyff dalla A alla Z

Johan Cruyff (anche se la grafia corretta è Cruijff) ha lasciato questa terra lo scorso 24 marzo all'età di 68 anni. Un personaggio incredibile,...
error: Content is protected !!