Juve, un sabato sera nero a Verona. Che, forse, fa alzare bandiera bianca

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Il 24/o turno di Campionato, ancora in corso di svolgimento, rischia di essere uno di quelli da cerchiare in rosso sul calendario della Serie A 2020/2021; di quelli che, inevitabilmente, finiscono per caratterizzare enormemente lo storytelling della stagione e che quindi a pieno titolo finirebbero nel film di un Campionato di cui da qui alle prossime settimane ci appresteremo a vivere il rush finale.

Si, perché nell’anticipo di sabato al Bentegodi di Verona la Juventus di Andrea Pirlo è stoppata sull’1-1 dagli imprevedibili scaligeri di Ivan Jurić; un passo falso che, per tempi e modi in cui matura, ha un inevitabile sapore di resa da parte della squadra capace di cannibalizzare l’ultimo decennio di calcio tricolore.

Eppure, tra mille difficoltà e pur non impressionando per qualità di gioco, la Juventus al Bentegodi stava “compiendo il suo lavoro” in una partita a dir poco scorbutica. Con una formazione così raffazzonata, con un calendario ingolfato di impegni e alla luce dei brutti k.o. con Napoli e Porto, la trasferta in casa dell’Hellas Verona era forse la più scomoda possibile per i Campioni d’Italia; mai come in questa circostanza, probabilmente, l’obiettivo della serata per Cristiano Ronaldo e co. era rendere onore alla “mission aziendale” (vincere) senza troppo preoccuparsi degli altri aspetti di contorno.

Lo scialbo primo tempo aveva lasciato il posto a una ripresa nella quale la Juventus, trovato il vantaggio con (il solito) Cristiano Ronaldo, aveva infatti con successo messo la museruola al Verona con l’unica pecca però di mancare nell’assestare il colpo del k.o. agli scaligeri. Diventa quindi sufficiente che Demiral al 77′ rinvii maldestramente un pallone, che innesca l’azione che porta al gol di Barak che priva all’improvviso i bianconeri di due punti di platino per la difficoltà della partita; partita che, in realtà, nel finale sono più i locali che non i bianconeri ad andare vicino a vincere.

Dovesse l’Inter centrare i 3 punti con il Genoa, come da pronostico, il pari di Verona rischia di lasciare Pirlo e i suoi ragazzi a un distacco che si aggira tra i 7 e 10 punti di ritardo dalla vetta; a distanza di 9 Campionati, mai come oggi la Juventus sembra vicina a ad essere spodestata.  Passaggio, questo, che in casa Juventus (dirigenza e tifoseria) era noto dovesse arrivare prima o poi ma aldilà della logica voglia di vederlo concretizzarsi più lontano possibile nel futuro, ciò che renderebbe ancora più indigesto l’insuccesso al mondo bianconero sarebbe una combo davvero difficile da sopportare: Inter+Antonio Conte, stante un Milan che la matematica tiene in lotta per il titolo ma che sembra rallentare il passo.

Ma dove nasce, se dovesse trovare conferma, la mancata vittoria del 10/o scudetto consecutivo da parte dei bianconeri? Era veramente quello bianconero il club favorito per la conquista del titolo? Che Juventus sta nascendo in capo alla società torinese, e nella testa di Andrea Pirlo?

La figura di Andrea Pirlo, inevitabilmente, è oggetto di discussioni: è evidente, però, che per un profilo passato in un amen da ex-calciatore a tecnico della squadra Campione d’Italia transitando anche per un virtuale intermezzo a capo dell’Under-23, le responsabilità non possano che essere limitate.

L’idea di calcio del neo-tecnico juventino, per certi versi intrigante e molto vicina ad alcuni degli standard europei del moderno calcio d’élite, non si è vista se non a sprazzi in alcuni determinati momenti della stagione in corso (Barcellona-Juventus 0-3 ne è stata forse la massima espressione, pur se la stagione attuale dei blaugrana implica qualche riflessione sulla reale entità di quel successo); più di frequente si è vista una Juventus meno convincente, con uno spettro di prestazioni che ha avuto in uno sterile dominio territoriale sul campo un estremo e nella Juventus “catenacciara” vista con Roma e Inter in Coppa Italia l’estremo opposto.

Logico immaginare che, nel concreto, Pirlo sia stato costretto a un compromesso tra la sua idea di calcio, l’assenza di esperienza e le folli tempistiche della seconda stagione inevitabilmente stravolta dal Covid-19. La sommatoria di questi elementi porta, a parere di chi scrive, a “scagionare” Andrea Pirlo da gran parte delle accuse piovute nel corso della stagione, rendendo doverosa in favore del tecnico bresciano la concessione del tempo necessario per poter costruire “la sua Juve”; o, perlomeno, di provarci.

Pirlo assolto, dunque. Questo perché, in realtà, le lacune dell’attuale roster juventino sono strutturali e, quindi, per buona parte ascrivibili a una dirigenza che, come già scrivemmo su queste pagine nei giorni successivi all’esonero di Maurizio Sarri, nell’estate del 2018 decise di investire sul calciatore migliore del mondo (o, perlomeno, uno dei calciatori migliori del mondo) non preoccupandosi però di garantirgli un contorno adeguato.

Aldilà dell’esorbitante investimento richiesto da Cristiano Ronaldo, infatti, all’indomani dell’addio di Giuseppe Marotta la Juventus si è mossa spesso e volentieri non mancando di sollevare qualche perplessità; ad esempio, per i rinnovi milionari e la gestione di alcuni calciatori gradualmente sempre meno centrali nel progetto tecnico e inevitabilmente trasformatisi in esuberi invendibili (Mandžukić, Khedira, Higuain, Matuidi). Esuberi che, inevitabilmente, hanno penalizzato i bianconeri costringendoli tra l’altro alla cessione forzata di alcuni profili che, alla Juventus attuale, avrebbero fatto sicuramente comodo come Emre Can, Moise Kean e Leonardo Spinazzola.

Altra criticità pesantissima e sempre più evidente, in casa Juventus, è legata alla mediana; reparto che, nelle scuole calcio, si racconta essere quello nel quale le partite si vincono. L’assenza di Arthur, scambiato nell’estate scorsa per Pjanić, ha infatti acceso un faro sulla qualità della mediana juventina, imbottita di una serie di interpreti incapaci di fare le veci del brasiliano; l’emergenza, in questo senso, è tale da arrivare alla speranza di potersi affidare ad interim al giovane Fagioli dell’Under 23 in attesa del pieno recupero di Arthur.

Nel complesso, proprio il centrocampo è il ruolo nel quale scorrendo l’elenco degli interpreti emerge il solco che negli ultimi anni le prime squadre d’Europa hanno scavato nei confronti dei bianconeri. Mediana che, quest’anno, sembra non essere all’altezza nemmeno della concorrenza nazionale e che ai tifosi bianconeri fa venire i brividi se confrontata a quella del 2015 che recitava come segue: Pirlo, Vidal, Marchisio, Pogba.

Guardando in generale al roster juventino, aldilà della qualità degli interpreti l’altra sensazione che si ricava è che sia stato avviato (a quel punto massivamente) con cospicuo ritardo un ricambio generazionale fisiologico per una squadra provata nella mente e nel fisico da un decennio di successi. Se da un lato, infatti, la robusta ultima campagna acquisti estiva ha cercato di ovviare a questo ritardo permettendo alla Juventus di poter guardare al futuro con un ottimismo state l’ingresso di tanti giovani di belle speranze (da de Ligt a Kulusevski, passando per Arthur, Demiral, McKennie, Chiesa), uno stravolgimento cosi marcato ha di fatto messo la Juventus in una situazione di inevitabile ritardo rispetto alla propria competitor principale: l’Inter di Antonio Conte, forte di un un rinnovamento compiuto in anticipo rispetto ai piemontesi. Oltre che, ovviamente, di un allenatore con un’esperienza per nulla paragonabile a quella di Andrea Pirlo.

Detto della mediana, fulcro di gran parte delle criticità juventine, uno sguardo alle dinamiche in attacco restituiscono ancora una volta un senso di perplessità rispetto alle ultime scelte del management juventino: aldilà dell’assenza di un centravanti “di scorta” che ai bianconeri oggi sarebbe assai utile, il valzer estivo delle punte che ha coinvolto Džeko, Suárez e infine Morata fa riferimento all’identikit di tre attaccanti affatto simili tra loro. Lo spagnolo, probabilmente, a posteriori è la spalla migliore per Cristiano Ronaldo, ma la sensazione è che la scelta del management juventino sia ricaduta sull’ex-canterano nell’impossibilità di arrivare all’uruguaiano e al bosniaco della Roma. Mentre, nel frattempo, aldilà dei guai fisici è ancora tutto da decifrare il futuro di Paulo Dybala.

In chiusura, rispondendo all’ultimo interrogativo la sensazione è che pur se in ritardo in casa Juventus si siano finalmente poste buone basi per il futuro; la speranza per Andrea Agnelli e co. deve essere quella che, con qualche correttivo nei ruoli nevralgici, i bianconeri possano tornare ai livelli rasentati tra il 2015 e il 2017. Questo per quanto riguarda la “futuribilità” della Juventus; guardando all’oggi, invece, con un Inter che gradualmente (e anche grazie alla possibilità di focalizzarsi si una sola competizione) comincia a correre sfruttando tutto il proprio potenziale, a causa delle mancanze di cui si è lungamente raccontato per vincere il 10/o Campionato consecutivo a questa Juventus sarebbe servita una vera e propria impresa.

Michael Anthony D'Costa
Michael Anthony D'Costa
Nato a Roma nel 1989, si avvicina al calcio grazie all’arte sciorinata sui campi da Zidane. Nostalgico del “calcio di una volta”, non ama il tiki-taka, i corner corti e il portiere-libero.

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