ESCLUSIVA – Parla la moglie di Kudin: “Alexey rischia violenze e torture. Troppe ingiustizie in Bielorussia, il popolo farà resistenza”

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Alexey Kudin, combattente campione del mondo di kickboxing e thai boxe e ancora attivo nella MMA, si trova ancora in detenzione in Russia, in attesa della decisione di una sua potenziale estradizione in Belarus (forma maggiormente preferita dai bielorussi rispetto al più conosciuto “Bielorussia”, ndr), dopo aver partecipato a una manifestazione contro il governo di Lukaschenko. Della sua storia vi avevamo già parlato qui qualche settimana fa e ora si dovrà attendere marzo per scoprire quale sarà il suo destino, attualmente nelle mani delle autorità russe. Atleti e associazioni come SOS BY, composta da già più di duemila sportivi accomunati dalla resistenza verso il regime dittatoriale bielorusso, stanno lottando per far conoscere la storia di Kudin e salvarlo da un destino di violenze e torture.

Oggi, però, a parlarci di Kudin è chi, più di tutti, lo conosce e ne sta seguendo con apprensione le vicende: Tatsiana Parkhimovich, sua moglie, che ci ha raccontato di Alexey e di cosa significhi vivere oggi “nell’ultima dittatura d’Europa”, come è stata definita la Belarus di Lukaschenko. Si ringrazia l’Associazione Bielorussi in Italia “Supolka” per la traduzione e per la continua informazione su quanto accade nel Paese.

Grazie per la disponibilità in un momento così delicato a livello personale. Abbiamo raccontato la storia di Kudin e del perché la sua situazione rischia di diventare drammatica, ma ora lo chiediamo a lei: chi è Kudin? Quali sono le accuse che sono state mosse nei suoi confronti?

Buongiorno. Lesha (diminutivo di Alexey) è un marito da cui ricevo tanto aiuto nelle faccende di casa, nel preparare da mangiare oppure nel badare ai figli, ed è un padre molto dolce verso le nostre figlie. Qualche mese fa, in seguito alla morte prima della moglie di mio fratello e poi di mio fratello, abbiamo adottato altri tre bambini: due ragazzi e una ragazza. Non ci sono mai stati maschietti in famiglia, ma sono fiduciosa che si rivelerà un ottimo padre anche per loro. Mio marito Alexey è anche accusato di “uso di violenza o minaccia nei confronti di un pubblico ufficiale”, secondo l’articolo 363 comma 2 del Codice Penale della Repubblica di Belarus, e adesso rischia cinque anni di carcere, sebbene sarebbe stato possibile evitare il processo avviando una mediazione e concludendo il tutto con un accordo tra le parti.

Ha avuto contatti con le autorità e cosa le è stato riferito? Da chi e quando ha ricevuto notizie di suo marito?

Ho saputo dell’arresto di mio marito il 21 gennaio da un suo amico. “Hanno preso Alexey”, questo è il messaggio che mi ha mandato.

Dicono che, sebbene l’udienza si terrà a marzo, sarebbe già decisa di fatto l’estradizione in Bielorussia da parte delle autorità russe: è davvero così? Cosa rischia tornando e cosa si può ancora fare?

Non ho a mia disposizione delle informazioni precise riguardo alla decisione delle autorità russe. Recentemente molte persone che hanno deciso di non rimanere indifferenti e gli amici di Alexey si sono attivati per questa vicenda e per aiutare la nostra famiglia. Speriamo tanto nell’aiuto della Corte europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che confidiamo prenda la giusta decisione per impedire l’estradizione di Alexey da parte della Russia. Non penso che le autorità russe abbiano già presa una decisione, altrimenti non avrebbe avuto senso trattenerlo in Russia fino al 1° marzo. Alexey sta rischiando molto: prima di tutto, sta rischiando la sua salute. Penso che sia possibile influire su questa decisione informando le autorità che Alexey rischia il pestaggio e le torture in caso di ritorno in Belarus.

Abbiamo visto che una parte del mondo dello sport si è mobilitata contro Lukashenko sia prima che dopo le elezioni e ora in favore di Kudin, chiedendo al Procuratore Generale della Federazione Russa di sospendere l’estradizione. Che reazione ha avuto nel vedere questi atleti mobilitarsi per suo marito? Crede possano bastare o si aspettava una risposta ancora più forte da parte del mondo dello sport?

Gli sportivi sono stati i primi che hanno sostenuto la nostra famiglia ad agosto, quando Alexey è stato arrestato per la prima volta, e così hanno fatto anche adesso. Specialmente la comunità SOS BY, con la quale sono continuamente in contatto. Tanti atleti bielorussi hanno subito le repressioni da parte delle autorità e per questo si sono uniti. Loro mi hanno detto: “Noi, atleti, non lasciamo indietro gli amici”. Alexey è stato il primo sportivo di fama mondiale cha ha sofferto le repressioni da parte del regime.

Della Bielorussia ormai si apprendono ormai ben poche notizie dai telegiornali, di fatto quasi solo grazie a Ong come Amnesty International riusciamo a sapere qualcosa: cosa sta accadendo e quali potrebbero essere i prossimi risvolti politici e sociali? La protesta è forte da parte dei cittadini, ma senza supporto internazionale rischia di non bastare: quanto pensa che potrà resistere ancora il popolo Bielorusso davanti all’oppressione di Lukashenko?

La gente farà resistenza al regime fino alla fine. Se no, massacri, omicidi, pestaggi, tutti questi sacrifici diventano inutili. La gente non dimenticherà quelle cose terribili che ha subito. Ne sono sicura.

Per noi in Italia sono situazioni oggi difficili da immaginare e, evidentemente, non tutti riescono a immedesimarsi: ci spieghi cosa significhi vivere oggi in Bielorussia e perché questa causa riguarda tutti e non solo il popolo bielorusso?

Vivere in Bielorussia oggi significa ingiustizia, assenza di sicurezza, incertezza riguardo al futuro. Non sei padrone di te stesso. Sei nulla. Si può essere aggrediti, feriti, ammazzati, e nessuno ti protegge. E nessuno sarà condannato per questo. Siamo nel ventunesimo secolo, in un paese che si definisce civile, mentre intorno a noi succede ogni forma di ingiustizia. Non possiamo rimanere inerti di fronte a tali avvenimenti, dobbiamo aiutare le persone che non cercano altro, oltre alla giustizia. Voglio precisare che, come famiglia, noi vorremmo vivere in Belarus, senza essere costretti a scappare da qualche parte. La nostra casa è la Belarus.

Francesco Moria
Francesco Moria
Nato a Monza nel '95, ha tre grandi passioni: Mark Knopfler, la letteratura e il calcio inglese. Sogna di diventare giornalista d'inchiesta, andando a studiare il complesso rapporto tra calcio e politica.

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