Un’idea di calcio poco europea

-

20 Ottobre 2020. Alla vigilia del match casalingo contro il Borussia Mönchengladbach Antonio Conte presenta il Girone di Champions dei nerazzurri come un raggruppamento nel quale i meneghini vogliono essere “padroni del proprio destino”.
Meno di due mesi dopo, il tecnico salentino si presenta nella mixed zone di San Siro scuro in volto, chiamato a commentare l’incredibile eliminazione dei nerazzurri: ultimi dopo Real Madrid, Borussia e Shakthar Donetsk, i meneghini chiudono con uno scialbo 0-0 con gli ucraini il Girone al quarto posto e a dicembre sono già fuori dalle competizioni europee.

Nota stonata, stonatissima, di una campagna di Champions che ha visto qualificarsi agli Ottavi le altre tre rappresentanti italiane, l’Inter di Antonio Conte entra suo malgrado nella storia: era dalla stagione 2007/2008 che una squadra italiana non chiudeva ultima un raggruppamento di Champions. All’epoca fu la Lazio di Lotito a mancare la qualificazione (in un Girone con Werder Brema, Olympiacos e Real Madrid), non potendo però contare al tempo né sulle ambizioni né sulla caratura dell’Inter di Antonio Conte.

Una vittoria, tre pareggi, due sconfitte. Desolante il bottino di Coppa dei nerazzurri, il cui fallimento europeo lascia spazio a più di una riflessione con un destinatario più scontato di un maggiordomo sul luogo di un omicidio: Antonio Conte.
Il tecnico salentino esce con i nervi a fior di pelle dal campo di san Siro, evidenziando una tensione che lo porta a giustificare lo 0-0 con lo Shakthar e la conseguente eliminazione dall’Europa con un mix di alibi che dalla sfortuna agli arbitri, passando per i presunti “studi ad-hoc” degli avversari, convincono ben poco.
O meglio, magari sono concreti come le grandi parate di Trubin, un pizzico di sfortuna e uno Shakhtar sensibilmente diverso da quello demolito dall’Inter in Europa League non più tardi di quattro mesi fa. Ma l’eliminazione ai Gironi, maturata con lo score enunciato sopra (6 punti in 6 partite), dovrebbe indurre un “pizzico” di autocritica in più in casa Inter per usare un eufemismo: per il terzo anno consecutivo infatti l’Inter si trova a poter giocare in casa la partita decisiva per il passaggio del turno in Champions e la stecca (con PSV Eindhoven con Spalletti due anni fa, con il Barcellona infarcito di riserve la scorsa stagione e in ultimo con lo Shakhtar).

Conte ovviamente non può rispondere per l’eliminazione con il PSV Eindhoven, ma i numeri europei del tecnico salentino fanno impressione se si riflette sul valore riconosciuto all’allenatore dell’Inter: tre vittorie, cinque sconfitte e quattro pareggi in dodici uscite di Champions League sulla panchina dell’Inter. Numeri che per qualcuno fanno il paio con le non esaltanti esperienze in Champions di Conte con Juventus e Chelsea, e che in generale non possono essere ritenuti una casualità.
La sensazione è che il 3-5-2 a cui Conte si convertì in un Napoli-Juventus del 2011/2012 rappresenti un dogma totalmente disallineato rispetto alla direzione che il calcio continentale ha intrapreso nell’ultimo decennio, pur pagando dividendi soddisfacenti in Italia (perlomeno nell’esperienza juventina di Conte, e per parte della prima stagione nerazzurra). Non tanto nei numeri, perché anche Guardiola formalmente si affida spesso e volentieri a una retroguardia a tre, ma nella filosofia e nella costruzione di una squadra che spesso sacrifica il talento per la (presunta) perfezione di certi meccanismi di squadra. Meccanismi che all’Inter sembrano essersi inceppati, e che al contempo privano l’Inter (con l’eccezione di Lautaro o Sanchez) del calciatore capace di “accendere la luce” quando necessario, di togliere le castagne dal fuoco quando le partite si mettono male. Cosa che, invece, nelle grandi squadre europee non succede: se scorriamo i roster delle squadre qualificate agli Ottavi, noteremo come nessuna di esse rinuncia deliberatamente alla qualità.

Ad accendere la luce, in casa inter, ironia della sorte ci ha provato Christian Eriksen nei pochi minuti a disposizione; anche la gestione del danese da parte di Conte richiederebbe molteplici considerazioni che, oramai, è tardi per fare. Di Europa in casa Inter, purtroppo, se ne riparla l’anno prossimo.

Michael Anthony D'Costa
Michael Anthony D'Costa
Nato a Roma nel 1989, si avvicina al calcio grazie all’arte sciorinata sui campi da Zidane. Nostalgico del “calcio di una volta”, non ama il tiki-taka, i corner corti e il portiere-libero.

Domenghini, l’angelo dalla faccia sporca che mandò a quel paese Fraizzoli...

Domingo aveva forza d’animo, caparbietà, carattere da vendere, quando accelerava non lo prendevi più. E sapeva anche far gol, tanto che l’Inter lo utilizzò...
error: Content is protected !!