L’altra colpa di Colțescu in PSG-İstanbul Başakşehir

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Le immagini di PSG-İstanbul Başakşehir hanno ormai già fatto il giro del mondo, così come quelle della ribellione dei giocatori in campo. Un gesto forte, deciso, coraggioso alla luce di un errore imperdonabile del quarto uomo Sebastian Colțescu, diventato protagonista involontario in una gara che sembrava destinata a essere come tante altre. Anzi, quasi inutile, visto che la sconfitta di ieri sera del Manchester United contro il Lipsia ha sancito l’aritmetica qualificazione agli ottavi del PSG, che ora potrà provare solo a chiudere davanti a tutti nel girone.

Colțescu, arbitro rumeno di 43 anni con 9 presenze tra Champions League ed Europa League, si è macchiato evidentemente di una doppia colpa. La prima è quella evidente a tutti: dire “tipul acesta negru” (in romeno “quel tipo nero”) per indicare l’assistente della squadra turca Webo non è semplice negligenza, come qualcuno sta provando a giustificare. È un gesto discriminatorio, non meno pericoloso e grave solo perché apparentemente detto per comunicare con l’arbitro in campo Hategan in un momento di (tra l’altro, abbastanza flebile) tensione. Il contesto e la storia non rendono l’indicare una persona per il suo colore della pelle come un’identificazione qualsiasi (per rispondere a chi lo mette sullo stesso piano dell’essere calvi o con gli occhi azzurri). È un esercizio anche linguistico su cui tutti dovremmo lavorare e che un arbitro, in mondovisione e microfonato, a maggior ragione non può permettersi di non fare.

Il secondo errore è dal punto di vista arbitrale. Perché Colțescu avrebbe potuto fare riferimento a Webo in tanti altri modi, ma solo uno era quello giusto: dire il suo nome e che era l’assistente di Buruk. Ed è anche qui che dovrà entrare in gioco il designatore UEFA Rosetti: è davvero possibile che un direttore di gara, soprattutto a questi livelli, scenda in campo senza sapere bene chi dovrà gestire? Quando si comincia ad arbitrare, uno dei primi insegnamenti fuori regolamento che arrivano è: prima di una partita, provare a imparare a memoria i nomi chiave della partita, ossia quelli di capitani, allenatori e dirigenti.

Esercizio complicatissimo per chi arbitra nei dilettanti, spesso non troppo seguito, ma che può diventare uno strumento fondamentale per dimostrare di avere polso, capacità di gestire situazioni anche scomode, sapere con chi parlare per non perdere la partita e dare anche un messaggio di sicurezza. Ma nella posizione di Colțescu, che era chiamato a controllare le panchine per di più in una gara di Champions League, questo non è ammissibile: non si può scendere in campo a questi livelli senza sapere chi sia Webo. Un esempio pessimo non soltanto sul piano umano, ma anche arbitrale, perché un gesto simile finisce per creare ulteriore confusione in campo e anche nei propri colleghi. Ma, soprattutto, fare anche un danno pesante a livello di immagine, per sé, i colleghi e tutto il movimento arbitrale europeo.

Francesco Moria
Francesco Moria
Nato a Monza nel '95, ha tre grandi passioni: Mark Knopfler, la letteratura e il calcio inglese. Sogna di diventare giornalista d'inchiesta, andando a studiare il complesso rapporto tra calcio e politica.

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