Trent’anni di attesa, lacrime e illusioni prima della perfezione: il Liverpool torna sul tetto d’Inghilterra

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Ci sono voluti trenta, lunghissimi anni, ma oggi sono Anfield e la sua “Kop” che possono scoppiare in lacrime di gioia: per la prima volta dopo tre decenni, la Premier League torna a Liverpool. Una storia lunga, fatta di tanta attesa, anni disastrosi con umiliazioni con pochi precedenti, ma anche di straordinari successi anche se principalmente in Europa, illusioni cancellate sul più bello, ma che non poteva che finire con una stagione simile. Un campionato dominato in lungo e in largo dai Reds, stabilmente in vetta sin dalle prime giornate, ma che per un mese e mezzo hanno visto appeso a un filo quel successo che sembrava ormai in tasca: in Inghilterra, pochi sembravano intenzionati ad attribuire il titolo in caso di sospensione definitiva della stagione.

Come con il Leicester City quattro anni fa, è ancora una volta il Chelsea a regalare la matematica della vittoria del titolo alla capolista della Premier League. Il Manchester City si è arreso a Stamford Bridge perdendo 2-1, anche se in realtà, nella testa dei giocatori e dello stesso Guardiola, la bandiera bianca era già stata alzata da mesi: bisognava soltanto aspettare di capire quando il disperato inseguimento sarebbe diventato definitivamente vano. Se la squadra di Klopp era già stata meravigliosa lo scorso anno con 97 punti conquistati (e comunque incredibilmente non sufficienti per vincere un titolo), quest’anno ci si è trovati di fronte una squadra perfetta, in grado di abbattere qualsiasi avversario.

Una squadra così difficile da battere che, per un momento, si era fatta largo addirittura l’idea che il record degli Invincibili dell’Arsenal del 2004 non fosse più così sicuro. Chi sarebbe riuscito a battere una squadra che travolgeva a suon di gol quasi tutti gli avversari, che contava di gran lunga la miglior difesa del campionato e, soprattutto, un gioco impossibile da contenere?

Alla fine, il record delle zero sconfitte non è arrivato. Nella stagione complessivamente disastrosa dell’Arsenal, forse l’unico sollievo dei nord londinesi lo si è potuto ritrovare quando, all’improvviso, la marcia del Liverpool si è fermata quando meno ce lo si attendeva, a “Vicarage Road” contro un Watford riuscito nell’impresa di umiliare con un netto 3-0 quella squadra così difficile da sconfiggere. Ma poco importa, alla fine, perché i record sono a volte soltanto per palati fini e amanti delle statistiche e, nella pratica, alle squadre interessa soprattutto ritrovarsi al termine dell’annata con una coppa in mano: i Reds, in fondo, sapevano già in quella notte del 29 febbraio che la loro, vera impresa era già in tasca.

Klopp è riuscito nell’impresa che tanti grandi allenatori passati per Anfield Road hanno provato a compiere, promettendo di farcela senza mai riuscirci. L’ultimo a vincere il titolo era stato Kenny Dalglish, esattamente due anni prima che il campionato cambiasse il nome da First Division a Premier League. Dal tecnico scozzese in avanti si è passati a Souness, da Houllier a Benítez, arrivando fino a Hodgson e Rodgers. In trent’anni, il Liverpool ha vinto tutto ciò che poteva vincere, in primis due Champions League. Tutto, tranne quel maledetto titolo che, in un modo o nell’altro, sembrava sempre sfuggire di mano. E per i tifosi dei Reds ogni anno sembrava di rivivere lo stesso incubo.

Almeno due generazioni di grandi calciatori passati da Liverpool hanno chiuso la carriera senza aver mai vinto la Premier League inglese. Campioni che hanno fatto la storia di questo club come Fowler, Owen, Carragher, Hyypia, Alonso, Reina, Kuyt, Torres, Suárez, Coutinho non hanno mai avuto l’onore di alzare al cielo il titolo. Ma, soprattutto, non ha avuto il suo momento di gloria in Inghilterra nemmeno il simbolo più importante della storia dei Reds, Steven Gerrard: il numero 8 ha vinto tutto ciò che poteva vincere a livello di club, ma la Premier League è rimasta il grande sogno mai esaudito. Un sogno che stava per diventare realtà nel 2014, ma poi sappiamo già come andò a finire: da quello scivolone del capitano, diventato una delle pagine più scure della storia della sua squadra nella partita persa contro il Chelsea ad Anfield, è cambiata una stagione che sembrava avere qualcosa di davvero speciale. E veniva da pensare che, se nemmeno con leader fenomenale in campo come lui si riuscisse a vincere il titolo, quel trofeo fosse destinato a rimanere davvero un sogno impossibile.

Quello che i tifosi non sapevano sei anni fa è che, da lì a poco, la loro storia sarebbe cambiata ancora e, stavolta, avrebbe fatto nascere dalle ceneri una delle squadre più forti della storia del calcio inglese. Un club capace di vincere un titolo con sette turni di anticipo, come mai nessuno era riuscito a fare prima d’ora, al termine di una cavalcata impossibile da fermare. Una rosa che poteva vantare presenti tra i migliori rappresentanti dei loro ruoli in tutto il mondo in campo, diretta dal primo tedesco della storia a vincere la Premier League da allenatore.

In 5 anni, Klopp ha creato la “sua” squadra, impregnandola della sua filosofia in ogni singolo aspetto dentro e fuori dal campo. Dall’ottima squadra ereditata da Rodgers (che, va riconosciuto, aveva già lasciato i primi semi pur senza vederne in tempo i frutti), il tecnico tedesco si è messo con pazienza a lavorare. Ha firmato negli anni alcuni colpi importanti, a volte spendendo cifre monstre come quella per assicurarsi van Dijk e Alisson, ma anche investimenti intelligenti e ben calcolati, che oggi farebbero fruttare almeno il doppio in termini di incasso: da Robertson a Fabinho passando per Wijnaldum, fino ad aggiungere al già presente Firmino il talento sconfinato di Mané e Salah, creando quello che oggi è il più prolifico attacco dei maggiori campionati europei. Tutti giocatori acquistati per essere inseriti in un piano ben preciso, lontano dalle cieche logiche di tanti club a caccia del nome più importante sul mercato.

Klopp ha avuto il coraggio di osare, andando avanti per la sua strada anche quando i risultati non sembravano quelli sperati. Dall’ottavo posto del primo anno (quando qualcuno addirittura già metteva in dubbio la qualità della scelta in panchina), il tecnico tedesco ha iniziato a lavorare per forgiare la sua rosa e lasciare il suo timbro, già risultato così vincente al Borussia Dortmund, anche ai Reds in termini di gioco (scrivemmo qui del ruolo della curiosa figura di Grønnemark) , fattori psicologici, scelte tattiche e di mercato. Klopp ha avuto pazienza, ha saputo farsi apprezzare dai suoi giocatori diventandone un maestro, una guida e forse persino un padre; è riuscito a farsi amico la stampa senza sviolinate, ma restando sempre fedele a se stesso, al proprio modo di ragionare, senza scomporsi.

Il tedesco non è stato più soltanto il tecnico dell’emozione pura, della passione, della grinta. L’ex Dortmund è genio tattico, capace di trasmettere le proprie idee a campioni e giovani, mettendoli sullo stesso piano. Anche quando il suo storico vice Zeljko Buvac ha lasciato, Klopp non si è scomposto e ha continuato per la sua strada. Per buona pace di chi sosteneva che, in realtà, fosse il bosniaco la mente del gioco delle squadre allenatore di Stoccarda e che, da quel momento in poi, sarebbe forse addirittura cambiata la carriera di Klopp.

Il Liverpool 2019/2020 entra inevitabilmente nella storia come una delle squadre più forti ad aver vinto un titolo inglese. Non può che essere così per la squadra che vanta uno dei migliori portieri al mondo come Alisson, una difesa con un centrale quasi Pallone d’Oro come van Dijk e due terzini veri, come quelli che non si trovano più a simili livelli, come Alexander-Arnold e Robertson; con un centrocampo guidato da un Henderson trasformato da Klopp in leader indiscusso della squadra e faro del gioco, da un Wijnaldum che diventa uomo a tutto campo, ma anche da uomini capaci di garantire equilibrio come Fabinho o l’inesauribile Milner; e, per finire, con un tridente diventato simbolo di gol, bel gioco e intesa quasi fraterna. E forse quello che è mancato al Liverpool in trent’anni è stato proprio questo: una squadra perfetta capace di creare una delle dinastie più vincenti di sempre.

 

Francesco Moria
Francesco Moria
Nato a Monza nel '95, ha tre grandi passioni: Mark Knopfler, la letteratura e il calcio inglese. Sogna di diventare giornalista d'inchiesta, andando a studiare il complesso rapporto tra calcio e politica.

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