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“L’assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale”. La definizione di Surrealismo è così, diretta e cruda. Ma parliamo di arte però, di un automatismo psichico, non di pallone. Che nel surrealismo ci sta affogando, in queste ore di generato caos, decisioni e controdecisioni, di do ut des, brand da salvaguardare, virus da sconfiggere, psicosi da affrontare, tifosi da accontentare, e conference call da organizzare.

In primis, fu il Coronavirus. Da arginare e combattere, chiudendo stadi, musei, locali e città. La sostanziale incapacità gestionale di tutte le parti in causa, palesata così, all’improvviso, nel gestire un’emergenza ancor prima che si rivelasse tale; prevenendo, non si sa bene chi o cosa, perché è l’ignoto che fa paura. La conseguenza, che ci riguarda, è il nostro calcio che si veste di ridicolo. Perché tra porte chiuse e rinvii, non è chiaro il ragionamento secondo cui si debba o non si debba giocare a campionati alterni: non in Serie A, sì in Serie B, come se di città in città ci fossero muraglie di ghiaccio alla Games of Thrones.

La soluzione, mica si è trovata. L’escamotage, quello sì: da che bisognava finire a maggio, Juventus-Inter lunedì 9 marzo alle 20.45, e calendario che – se si arriverà all’approvazione, in queste ore – scivola via di una settimana. Riunione straordinaria in Lega, e porte degli stadi che avrebbero dovuto riaprirsi, programmando un nuovo infrasettimanale nella seconda settimana di maggio, invece: Serie A nel frullatore, Juventus-Milan di Coppa Italia che salta e viene rinviata, possibile stop di 30 giorni a qualsiasi manifestazione sportiva. Decisioni per accontentare tutti e nessuno, per gestire l’emergenza di un virus che, pericoloso o no, di disastri ne ha combinati e ne sta combinando perfino fuori dal suo campo d’azione.