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Arbitri stranieri per la Serie A: la storia dei 23 direttori di gara presi “in prestito” all’estero dall’AIA

Paolo Bona / Shutterstock.com

C’è stato un tempo in cui i Paesi non si scambiavano soltanto calciatori, ma anche gli arbitri. È una storia generalmente poco conosciuta, appartenente a un’epoca completamente diversa dalla nostra, ma che nasconde anche un aspetto affascinante, pur essendo durata ben poco tempo: la designazione di direttori di gara stranieri per partite di Serie A. Fu un esperimento fatto dalla Federcalcio italiana tra il 1955/56 e il 1958/59, che sottoscrisse un accordo con le principali federazioni europee, portando un totale di 23 direttori di gara coinvolti in 76 partite del nostro campionato.

A poter vantare almeno una presenza nel nostro campionato, dunque, sono:

  • 13 direttori di gara austriaci: Friedl, Grill, Kainer, Jiranek, Marshall, Mayer, Pribyl, Roman, Seipelt, Steiner, Stoll, Stolz e Stulle
  • 5 francesi: De Villiers, Fauquembergue, Groppi, Guigue e Lequesne
  • 3 jugoslavi: Damjani, Lemesic e Markovic
  • 1 greco: Strathatos
  • 1 turco: Garan

Una decisione interessante, ma che va contestualizzata in una dimensione di ricostruzione dell’Associazione Italiana Arbitri, che si era posta come obiettivo la valorizzazione a livello internazionale del nostro movimento arbitrale sotto la guida di Giovanni Mauro, successivamente designato alla guida della commissione arbitrale della FIFA. L’idea di fondo era, usando le parole di Carlo Brighenti sulla rivista dell’AIA, di concretare “una vera e propria Internazionale, lo stabilimento di raffronti nei quali noi non avremmo che da guadagnare, far conoscere l’Europa ai nostri migliori arbitri, dare all’Europa la possibilità di apprezzare il valore elevatissimo della classe arbitrale italiana dando così novello prestigio alla grande madre dell’arbitro nostro, cioè alla F.I.G.C.”.

Ma l’obiettivo dell’AIA non era quello di mostrare soltanto a tutta Europa il valore dei propri arbitri, ma anche alla stampa italiana, che già ai tempi si era mostrata fortemente critica verso la categoria, definita “una consorteria chiusa, un complesso di intoccabili”. Quell’esperimento fu l’occasione per l’Associazione Italiana per mettersi in prima linea nello svolgere un ruolo di progressiva armonizzazione a livello europeo di tutti gli aspetti riguardanti l’arbitraggio, colmando differenze metodologiche e tecniche esistenti. Una storia che arriva dal passato, ma che, forse, non sembra così lontana da tanti discorsi che si fanno anche oggi.