Özil e una sregolatezza irrecuperabile: Baku sancisce il suo tramonto all’Arsenal

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Dall’Arsenal sceso in campo a Baku per giocarsi la finale di Europa League ci si aspettava tanto, probabilmente troppo per quello che è stato il risultato finale. Era la gara della possibile svolta, della dimostrazione che i tempi delle grandi disfatte erano finiti con l’addio di Wenger della scorsa stagione, lasciando spazio a un nuovo capitolo con un tecnico fresco e completamente diverso come Emery. Il percorso in Europa aveva fatto presagire questo cambio di rotta, questo possibile salto di qualità per portarsi a casa finalmente un trofeo importante dopo tanti anni. Ma, alla fine, la serata di grandi speranze dei Gunners si è trasformata in un naufragio da cui nessuno si è salvato.

La finale di Baku ha fatto emergere i tanti limiti di una squadra che, nonostante il cambio di panchina, finisce per imbattersi nei soliti errori, così frequenti da essere diventati quasi parte del DNA di questa rosa. A partire dalla difesa, troppo disorganizzata e confusa per poter credere di essere davanti a una finale e non a un’amichevole estiva, fino ad arrivare a un attacco stavolta spento, isolato, senza i colpi di genio del duo Aubameyang-Lacazette.

Ma tra chi è andato più a fondo in questo crollo senza appello, il nome che spicca più di tutti è quello di Mesut Özil. Il giocatore da cui tutti si attendono sempre tanto, ma che nelle grandi partite finisce sempre per restare nell’anonimato. A quel mix di talento geniale e sregolatezza che è il tedesco, per una notte Emery ha voluto dare fiducia, anche considerata l’assenza di Mkhitaryan, il cambio naturale dell’ex Real Madrid. Un’ultima occasione per dimostrare di poter ancora tirare fuori la voce e che il lavoro fatto quest’anno dal tecnico spagnolo sulla sua crescita non è stato vano, dopo qualche timido segnale di ripresa. Era la gara della svolta che, invece, si è probabilmente rivelata il triste e anonimo epilogo della sua avventura a Londra.

Anche contro il Chelsea, Özil è finito per diventare ancora una volta vittima del proprio talento e delle tante aspettative che lo accompagnano. Aspettative legittime, tra l’altro, visto che il tedesco è uno degli uomini con lo stipendio più elevato in squadra e in Inghilterra, frutto di un elaborato compromesso raggiunto qualche anno fa con i Gunners proprio quando sembrava destinato a lasciare a parametro zero l’estate successiva.

Ma se Wenger stravedeva talmente tanto per il suo gioiello da riuscire a perdonargli negli anni tante prestazioni insoddisfacenti, Emery si è dimostrato subito pronto allo scontro. E, in effetti, la stagione di Özil è stata tutt’altro che semplice, dopo essere stato a lungo isolato e lasciato fuori dai convocati per presunti infortuni. Il tedesco si è ripreso il posto da titolare solo nel finale di stagione: un po’ per fortuna, visto che i Gunners hanno trovato il proprio equilibrio con il 3-4-1-2 con Özil ritrovatosi sulla trequarti al momento giusto, un po’ per un’apparente crescita mostrata soprattutto nel provare a seguire maggiormente il gioco, ad aiutare i compagni a ripiegare, rispettando le richieste di Emery.

La finale di Baku, però, ha cancellato qualsiasi progresso e, probabilmente, ha fatto sbattere i tifosi dell’Arsenal davanti alla realtà: per quanto meraviglioso sia il suo mancino, Özil rimane un cane sciolto in mezzo al campo. Che si accende, quando se la sente, e che con la stessa velocità si spegne. Emery già lo sapeva, ha usato diversi piani nel corso della stagione per far scattare il pulsante giusto e farlo rimanere fisso sull'”on”. Ma al primo calo generale, è tornato giù, trascinato dal resto della squadra. Niente risposte da leader in campo, capace di riaccendere le speranze dei compagni prendendosi sulle spalle la squadra, ma solo un lento e inesorabile adeguarsi alla mediocrità dell’Arsenal dell’altra sera. Un atteggiamento, stavolta, davvero imperdonabile e che, con il chiudersi di una stagione tutto sommato deludente per i Gunners, sancisce il tramonto, almeno in maglia biancorossa, di quel gigante “potrei ma non voglio” che è stato Özil.

Francesco Moria
Francesco Moria
Nato a Monza nel '95, ha tre grandi passioni: Mark Knopfler, la letteratura e il calcio inglese. Sogna di diventare giornalista d'inchiesta, andando a studiare il complesso rapporto tra calcio e politica.

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