Io tifo! Sì, ma per chi e per cosa?

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In Italia ma non solo, in special modo dopo l’introduzione ormai ventennale delle pay-tv, alcuni toni e comportamenti del tifoso medio si sono esacerbati toccando punti e acquistando caratteristiche fuori dal normale. E tutto ciò viene esplicitato sui social, un altro potente e pericoloso mezzo di diffusione di intolleranza dell’avversario, ignoranza e pressapochismo. La baggianata che qualcuno si permetteva di dire al bar con gli amici, trovando l’appoggio divertito dei presenti, si è trasferita in un contesto più ampio in cui la parola scritta diviene meno ilare e assume i caratteri di una sentenza. Che i più, con velocità e poca materia grigia, condividono per svariati motivi.

In questo articolo non parleremo della delinquenza o del razzismo legati al mondo del calcio. Sono i veri “mali” estremi del nostro tifo, se proprio vogliamo accostarli al mondo degli appassionati di questo sport. Per noi sono piaghe sociali da limitare con estrema priorità e richiedono un approfondimento diverso perché sarebbero molteplici gli attori da chiamare in causa.

Ci limitiamo ad altro, per il momento. Ma quali sono le caratteristiche del tifoso all’alba del 2019? Quali quindi i punti meno felici da cui ripartire per migliorare la qualità del tifo? Andiamo a esaminare alcune sfaccettature del tifoso italiano che non ci piacciono e che, man mano, stanno divenendo sempre più estreme.

  • TIFO PER ME. Il calcio sta divenendo una questione di “io contro tutti“. Si è diventati più tifosi delle proprie idee, in maniera incondizionata, che della propria squadra del cuore. Se un giocatore inizialmente non piace, un allenatore non convince, un modulo di gioco non diverte, lo è per sempre. Si cerca sempre il pelo nell’uovo che vada a confermare quella prima impressione avuta e, come se fosse una questione di onore cavalleresco medioevale, non ci si discosta da quella idea, anche se i fatti contraddicano quel pensiero. Bisogna dimostrare al mondo che si aveva ragione a costo di stravolgere la verità dei fatti. Ma spesso è anche un furbo sotterfugio perché, a meno che non si stia parlando di quelle due/tre eccezioni nell’intera storia del calcio, è impossibile che quel giocatore non sbagli la partita minimo tre volte a stagione o che quell’allenatore non azzecchi la formazione giusta per altrettante volte almeno. Quindi è più facile dire che quel giocatore non piaccia o che quell’allenatore non convinca, non mancheranno occasioni per rinfacciarlo agli altri durante la stagione.
    Non esiste, quindi, la sola già stucchevole rivalità estremizzata tra tifosi di squadre diverse, esiste la gara, tra tifosi della della stessa squadra, tra chi sia più competente o, addirittura, tra chi sia più tifoso di altri. E crediamo che questo sia il punto più basso.
  • ETICHETTARE. Sempre e subito. Una mania, un istinto primordiale. C’è un disperato bisogno di voler sentenziare e giudicare, la maggior parte delle volte con accezione negativa. Ci bastano pochi secondi per affermare che quel calciatore non sia all’altezza , quell’arbitro indecente, quel telecronista anti propria squadra o quel giornalista asservito ai poteri. Neanche gli osservatori più decorati e stimati riescono con tanta velocità a stilare dei rapporti così completi in pochi minuti, ma il tifoso da casa, sul divano e impegnato a fare anche altro, sì. Così come dopo 5 replay siamo migliori degli arbitri, nonostante ognuno la pensi a modo suo e non si giunga mai all’unanimità.
    L’etichetta è pronta a essere apposta al primo commento, alla prima frase o considerazione. Questo vale per chi fa il mestiere di raccontare le partite in voce, con la scrittura o anche per il semplice tifoso “social”. In un baleno (manco fossimo in un impianto di produzione alimentare) l’etichettatrice è in azione per bollarti come anti-questo o pro-quell’altro. Tifoso di quella squadra o contro quell’altra. Per i tifosi da tastiera, invece, è subito pronto il bollino di essere filo-societario o anti. Marchiato a fuoco, da quel momento, di essere estimatore di Tizio o di Caio e quindi perseguibile appena questo commetta qualche cappellata decisiva.
  • IL SISTEMA. Esiste un “sistema” che decide le sorti della propria squadra del cuore. Ogni squadra ne è vittima, chi più chi meno. E i beneficiari sono tutti gli altri e per svariate ragioni. Anche l’ultima in classifica, se ottiene vantaggio da una decisione arbitrale sbagliata, è favorita dal sistema che, a quanto pare, vuole che si salvi. Solo per fare un esempio: la squadra che in Italia vince da sette anni consecutivi lo Scudetto è, secondo alcuni tifosi, vittima del sistema dopo aver subito un’espulsione. Quindi tutti, nessuno escluso, sono vittime di questo fantomatico sistema che muove le fila. Un sistema di certo intelligente e furbo, visto che fa vincere sempre la stessa squadra e che così attira sempre più polemiche e sospetti. Come se Falcone e Borsellino avessero riconosciuto e fatto arrestare decine di mafiosi perché visti camminare in centro con la lupara in spalla.
    Il governo del calcio deve senz’altro migliorare, soprattutto nel tutelare gli arbitri e il loro operato, deve proteggerli e non metterli alla mercé di chi è pronto a “sparare” contro. Ma una cosa è la sudditanza psicologica verso le grandi a discapito delle piccole, un’altra è pensare che sia tutto deciso a tavolino. Anche perché se fosse tutto deciso a monte perché mai seguire il calcio?
    Se non sei dietrologo, insomma, sei solo un babbeo asservito ai “poteri forti“. Sì, sempre loro, anche qui.
  • CRITICARE È MEGLIO. Negli usi e costumi del tifoso medio di calcio la critica è la miglior difesa. Provare a difendere, trovare una lettura più totale e meno tagliente, ammettere la forza dell’avversario sono tutti indici di “debolezza” e incompetenza. Nell’epoca del “celodurismo” non si può riconoscere la forza di chi ci ha battuti e neanche valutare l’aspetto umano del fallimento di una prestazione sul campo. Bisogna, invece, inveire contro il colpevole o i colpevoli di turno. Molto più facile per prendersi quanti più like possibili, accrescere il proprio ego e (tornando all’essere tifosi delle proprie idee) dimostrare che si aveva ragione da tempo immemore. Che, insomma, la carriera da impiegato postale, imbianchino, commercialista, venditore ambulante, avvocato, portantino ecc. sia solo un ripiego alla vera ispirazione lavorativa di “Sommo conoscitore di calcio“. Se sei un “criticone” allora ne capisci, se invece sei volto a comprendere il tutto in maniera più ampia, andando ad analizzare le cose a 360°, sei senza polso e con poche capacità nel campo pallonaro.
    Sul terreno di gioco non esiste l’avversario. Esiste la squadra tifata, il proprio allenatore, i tifosi avversari e l’arbitro. Quindi se perdi non è che sia merito degli altri, è un fallimento della tua squadra e del colpevole di turno. Se non vinci è colpa dell’arbitro. I tuoi tifosi sono tutte brave persone, quelli avversari sono tutti delinquenti. E, infine, la colpa è sempre del tuo attaccante che è più scarso di quelli avversari. Perché è noto come tutti gli attaccanti del mondo vadano in gol a ogni azione capiti loro sui piedi, mentre (stranamente) il bomber della tua squadra no. Quindi è scarso, la tua società non è in grado di fare un buon mercato e il tuo allenatore ne sa meno di tua nonna che non ha mai assistito a una partita.
  • EFFETTO PAPPAGALLO AL BUIO. Non ho visto partita ed episodi o li ho visti ma nutro dei dubbi. Ma se il mio allenatore o il mio idolo dice che è colpa dell’arbitro o dell’avversario cattivo, allora divento una belva. Non importa se lo stia facendo per richiamare l’attenzione su di sé proteggendo la squadra da una cattiva prestazione, non conta se lo stia facendo per cercare di far pressione sui futuri arbitraggi. Conta solo che l’abbia detto e per me tifoso riprende forma il “sistema” che ce l’ha con la mia squadra.
  • LA SCARAMANZIA. No, questa non è un male del tifo. Anzi, è parte integrante di esso. Però, come in tutte le cose, è sempre bene non esagerare, non serve. I rituali e le piccole cose da curare in nome della buona sorte sono suggestivi e danno valore al mondo dei tifosi. Di meno quando diventano vere e proprie “malattie” che rischiano di compromettere gli equilibri sociali e familiari. E poi basta con l’additare questo o quell’altro come portatore di “sfiga”, capiamo che non vogliate essere voi stessi oggetto di tale calunnia e partiate con l’infiggerla ad altri, ma ce n’è davvero bisogno?

Abbiamo speranze che questi atteggiamenti possano smussarsi? Non ne siamo convinti ma di certo crediamo che più diventeranno estremi e taglienti, tanto più diventerà uno sport seguito da pochi. Se la canteranno e suoneranno da soli, nella loro magnificente competenza, quei pochi rimasti.

Vito Coppola
Vito Coppola
Telecronista e opinionista radio/TV, già a SportItalia e addetto stampa di diverse società. Non si vive di solo calcio: ciò che fa cultura è la fame di sapere, a saziarla il dinamismo del corpo e del verbo.

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