ESCLUSIVA – I nuovi talenti: Matteo Zanini

-

Prosegue incessantemente la nostra rassegna sui calciatori più promettenti dei tre Gironi di Lega Pro e lo facciamo ripartendo dal raggruppamento meridionale. Dopo Varone, Matera, Deli, De Vena e Albertazzi, siamo andati a trovare uno di quei giocatori che, nonostante la giovanissima età, può essere considerato un veterano, potendo già annoverare diverse stagioni tra i professionisti. Parliamo dell’ala sinistra attualmente in forza al Catanzaro (ceduto dall’Akragas durante la sessione invernale di calciomercato) Matteo Zanini, già autore di sette reti (compreso quello in Coppa Italia di categoria) nel corso di questa stagione.

Matteo compirà 23 anni il prossimo 10 maggio, alto 178 cm per 75 kg, in realtà era un terzino, uno di quelli che macinava chilometri su e giù lungo la fascia di competenza; poi, all’inizio di questa stagione, Raffaele Di Napoli, che lo aveva avuto anche l’anno scorso a Messina, lo sposta un po’ più avanti e il risultato è quello di scoprire un bomber di razza: sei gol con la maglia dell’Akragas e uno con quella del Catanzaro proprio all’esordio con la maglia giallorossa contro la Paganese.

Ciao Matteo, sei di Lodi e sappiamo che provieni dalle giovanili del Milan. Ma dove hai iniziato veramente a dare i primi calci a un pallone?

In realtà, ho iniziato nella zona dove abitavo, ovvero nella periferia di Pavia e precisamente nel quartiere Vallone. La prima società per la quale ho giocato è stata la Polisportiva Glorione; lì ho fatto i primi 4 anni partendo ovviamente dai fondamentali base: passaggio, tiro, controllo. Di quel periodo ricordo con affetto Bassi, che fu il mio allenatore; mentre, come figura storica a quei tempi c’era il sig. Congestrì.

Poi, realizzi il sogno di qualsiasi bambino: entri in un grandissimo settore giovanile come quello del Milan. Mi racconti quell’epoca?

Feci il provino e andò bene. Lì, innanzitutto, ti insegnano a diventare uomo nonostante la giovanissima età. Vi racconto un aneddoto esemplificativo: io ero il capitano e quando era tutto a posto dovevo dare io il permesso ai compagni per sedersi a tavola. Dicevo: “seduti” e tutti a quel punto potevano farlo. Da queste piccole cose capisci quanto ti insegnino anche fuori dal campo valori come la disciplina e il rispetto. Nel settore giovanile del Milan sono rimasto per otto lunghi e bellissimi anni.

Di questi otto anni, che poi sono i più importanti nella crescita di ogni bambino che si appresta a diventare adolescente, quali sono i ricordi di quell’epoca?

I primi anni sono stati molto introduttivi alla vita calcistica e viaggiavamo tanto perché partecipavamo a vari tornei nazionali e internazionali come quelli in Belgio e in Qatar. A quell’età, anche se l’obiettivo principale non era propriamente quello di vincere, certamente ti insegnavano a lottare fino alla fine. Poi, invece, a partire dai tredici anni ottenere risultati e vincere diventa più importante. Molto bello è stato il Torneo per Esordienti a undici anni disputato in Belgio tra sessanta squadre di fama internazionale e tutte le top del panorama calcistico mondiale. Perdemmo nei quarti di finale e, quindi, arrivammo tra le prime sei. Tra gli allenatori che mi hanno insegnato di più, certamente, dico Giovanni Stroppa e Cesare Beggi. Il primo mi ha insegnato a giocare a calcio: possesso palla, verticalizzazione e finalizzazione; insomma, un po’ quello che fa vedere il suo Foggia: nel nostro piccolo eravamo molto simili. Il secondo, invece, voleva  la vittoria a tutti i costi nel bene e nel male e, quindi, mi ha insegnato ad avere la fame di vincere.

Successivamente vai al Pavia: completi il percorso con un anno di Berretti e racimoli la bellezza di 50 presenze in Serie C. Come affronti l’esordio?

A Pavia sono rimasto tre stagioni: il primo con la Berretti e il resto con la Prima Squadra. Con la Berretti arrivai alla finali nazionali, ero uno dei più giovani perché quella era l’annata dei classe ’92 e ’93; è proprio in quel periodo che iniziai a segnare, ne feci una decina. L’anno successivo, dunque, avevo 17 anni, mister Roselli mi portò in ritiro con la Prima Squadra. Dopo le prime tre gare di campionato viste dalla tribuna, mi fece esordire alla quarta. Ricordo che ero tesissimo e ansiosissimo: la partita si giocava a San Marino e andò benissimo perché arrivo la prima vittoria in campionato. Quell’anno disputammo un girone d’andata spettacolare, poi però avemmo un calo. A conti fatti, raggiungemmo due salvezze senza soffrire più di tanto.

Poi firmi col Cesena, ma non giochi mai coi romagnoli. Cosa è successo?

Firmai un contratto di tre anni ma, come spesso si fa con i giovani, mi rigirarono al Pavia (il secondo anno con gli Azzurri ndr); poi, arrivò la prima esperienza a Sud e andai in prestito al Cosenza dove ritrovai mister Roselli e giocai una ventina di partite. Fu un’esperienza molto formativa perché il calcio meridionale è molto sentito e passionale: si può dire che sia tutto un altro tipo di calcio. È stato un bel trampolino nel senso che vissi le prime contestazioni ma anche gli applausi: iniziai a sentirmi calciatore a tutti gli effetti.

Capitolo Sicilia, prima Messina e poi Agrigento. Due stagioni che un po’ ti hanno consacrato nel panorama della Lega Pro. Cosa mi puoi raccontare della stagione e mezza vissuta nell’Isola?

Sono stato davvero bene: di Messina conservo un grande rapporto coi compagni di squadra, tutti di altissima qualità calcistica e umana. A me dispiacque tanto dovere andare via, ma le condizioni nelle quali versava la società non consentiva la mia permanenza e, a dire il vero, nemmeno quella di molti dei miei compagni di allora. Come è noto, già a Messina il mio allenatore era Raffaele di Napoli, il quale mi volle la scorsa estate ad Agrigento. E proprio con la maglia dell’Akragas segno sei gol e questa è storia recente: sia io che i compagni siamo stati bravi a fare il nostro dovere nonostante tutte le voci e i chiacchiericci relativi alla crisi societaria.

Quindi, ti scopri bomber di razza. Com’è apparsa questa vena realizzativa?

Sicuramente la posizione più avanzata aiuta molto; ma anche la maniera di giocare di mister Di Napoli. Infatti, mi lasciava molto libero in fase offensiva senza obblighi tattici che chiudessero il mio estro. Inoltre, dopo tante stagioni conosco meglio la categoria e riconosco meglio i ritmi e i momenti della partita; quindi, è normale che tante volte ci si trovi in situazioni simili tra loro, un po’ come se le avessi già vissute. Ciò comporta una maggiore sicurezza nei propri mezzi e si affrontano le gare in modo molto più tranquillo.

Da Agrigento sei stato costretto ad andartene per le note vicissitudini societarie. Quali offerte avevi ricevuto e perché decidi di andare a Catanzaro?

Sì, ho ricevuto una serie di offerte tra le quali quelle da parte del Modena, del Matera e del Foggia. Una delle più concrete è stata sicuramente quella dei pugliesi: andava bene dal punto di vista economico, ma non mi convinceva da quello tecnico. Mi avevano proposto di giocare da terzino destro, ruolo che tra l’altro non ho mai ricoperto; insomma, temevo di giocare poco e niente. L’offerta del Catanzaro è stata la più allettante sia per me che per l’Akragas e non ho avuto dubbi nel trasferirmi in Calabria.

Come ti trovi a Catanzaro? Cosa mi dici della società e dei compagni di squadra?

Mi trovo benissimo. Certo è una situazione difficile perché una squadra di tale blasone è costretta alla lotta per non retrocedere. Col lavoro quotidiano stiamo riuscendo a venirne fuori, a staccare le ultime e a inseguire quelle che stanno davanti a noi come Messina e Monopoli. Ho legato un po’ con tutti e in particolare con Esposito, Cunzi e Carcione; inoltre, c’è anche Gomez che era con me all’Akragas. Ho anche un bel legame con mister Erra che è un ottimo allenatore e una grandissima persona, uno che conosce bene questo campionato. 

Attualmente siete in lotta per non retrocedere e, se possibile, evitare i playout. Domenica vi attende la sfida con il Melfi reduce dal successo di Catania. Come state preparando la gara e cosa temete di più dei lucani?

Temiamo la ritrovata consapevolezza nei loro mezzi dopo l’importantissima vittoria di Catania. Giocheremo assolutamente motivati e col coltello fra i denti per conquistare i tre punti e allungare su di loro e riacciuffare la zona salvezza. In ogni caso, stiamo preparando la gara in maniera serena e tranquilla, senza ansia e con la rabbia giusta.

Hai già affrontato, anche se con maglie diverse, tutte le compagini del Girone C, qual è la squadra che ti ha maggiormente impressionato?

Senza ombra di dubbio dico Foggia e mi è piaciuto molto anche il Matera anche se attualmente ha perso tante partite.

E il giocatore più forte?

Cosimo Chiricò.

Tra tutte, qual è stata la tua partita più bella?

In realtà, sono due. La prima sicuramente Messina-Foggia della scorsa stagione finita 3-2. Una gara che segnò la nostra salvezza praticamente perché dal punto di vista mentale dopo quella vittoria affrontammo tutte le altre con una certa tranquillità. Loro erano fortissimi, ma con le unghie e con i denti riuscimmo a vincerla. La seconda, invece, è di quest’anno: Catania-Akragas 0-1. Partita sotto il diluvio, molto difficile perché loro giocavano in modo molto offensivo e spuntavano da tutte le parti. Poi, all’ultimo minuto, a tempo scaduto, segnai il gol vittoria.

È questo il tuo gol più bello?

Questo è stato sicuramente il più importante. Il più bello è quello segnato a Lecce: calcio d’angolo sulla nostra sinistra sotto la curva dei pugliesi, ricevo lo scarico dietro, controllo e da una ventina di metri la butto in rete sul primo palo.

Quali sono i tuoi punti forte?

La consapevolezza nei miei mezzi, buon tiro da fuori area e tempismo negli inserimenti.

E in cosa ritieni di dovere migliorare?

Sulla tenuta mentale; qualche volta durante le partite, soprattutto quando so di fare bene, mi adagio un po’ e abbasso i ritmi.

A quali giocatori del passato e del presente ti ispiri?

Clarence Seedorf e Kevin de Bruyne per le loro qualità tecniche e capacità di inserimento.

Infine, qual è il tuo sogno nel cassetto? Quale maglia vorresti indossare un giorno?

Io amo il Milan, per cui vorrei indossare quella rossonera.

 

Antonio Ioppolo
Antonio Ioppolo
Giornalista, appassionato di storia, letteratura, calcio e mediani: quegli “omini invisibili” che rendono imbattibile una squadra. Il numero 8 come fisolofia di vita: grinta, equilibrio, altruismo e licenza del gol.

MondoPallone Racconta… Danny Blind, riscatto arancione ?

Nei giorni scorsi c'è stato il cambio della guardia alla guida della Nazionale olandese, in seguito all'addio di Guus Hiddink a fine giugno. Il...
error: Content is protected !!