L’ultima spiaggia

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L’arrivo a Milano coincise – ora più, ora meno – con il clamoroso esonero di Roberto Mancini, seppur fosse noto che il rapporto tra l’ex allenatore nerazzurro e la società fosse ormai ai minimi termini. Frank de Boer, però, non è mai riuscito a prendersi l’Inter per davvero se non nella serata vittoriosa contro la Juventus: un rapporto iniziato soltanto dieci giorni prima dell’avvio del campionato. Troppo, decisamente troppo pochi per un allenatore che non ha mai conosciuto da vicino la Serie A, se non da avversario, e questa inesperienza si è fatta sentire parecchio nei quasi tre mesi di gestione de Boer.

Lasciando stare il passo falso di Verona e il punto interno conquistato con il Palermo, quando era palese che l’Inter non fosse ancora la “sua” perché il tempo trascorso ad Appiano Gentile era effettivamente troppo poco, dalla partita col Pescara in poi si erano visti miglioramenti in campionato. Un gioco offensivo come non se ne vedeva da tempo, sei o sette occasioni da gol a partita (soltanto poche di queste convertite in rete, però) e l’impressione che la quadratura del cerchio fosse sì distante, ma raggiungibile in poco tempo. Magari sarebbe bastato mettere a punto la difesa, il reparto che rispetto alla passata stagione ha subito un’involuzione pazzesca, tanto che l’Inter non ha subito gol soltanto nella trasferta di Empoli.

I problemi con cui ha dovuto “combattere” de Boer sono stati molteplici, a partire da una batteria di terzini decisamente non da Inter, un Murillo più deconcentrato del solito e una serie di flop individuali notevoli (vedi Kondogbia e Brozović, entrambi corpi estranei all’interno del sistema di gioco nerazzurro). La colpa più grande, però, è che dopo la partita con la Juventus tutto è sembrato andare lentamente alla deriva: quel gioco offensivo non si è più visto, anzi, l’impressione è che i giocatori vivano più alla giornata invece di attaccare secondo un preciso piano. A un certo punto de Boer si è trovato anche a dover fare delle scelte difficili, come quella di togliere Banega dal campo per dare maggiore equilibrio al centrocampo, col risultato che le lacune difensive non sono diminuite e in attacco è mancata la fantasia del numero 19.

Premesso che le colpe non sono da imputare totalmente all’allenatore olandese, questo mi pare ovvio, è altrettanto vero come le potenzialità della rosa nerazzurra siano decisamente superiori alla classifica attuale. E se un progetto di medio-lungo periodo può prevedere periodi alti e bassi, è giunta l’ora che de Boer tiri fuori dai suoi giocatori quello che ultimamente si è visto poco: ossia dignità nel vestire una maglia storica del campionato italiano e voglia di sacrificarsi per il compagno vicino. Perché mentre per i predecessori valeva il discorso che la rosa non era all’altezza della storia del club (Mazzarri aveva centrocampisti del calibro di Taïder, Kuzmanović, Álvarez e Cambiasso a fine carriera), in questo caso mi sento di dire che l’Inter ha una rosa attrezzata per stare almeno tra le prime quattro, ma probabilmente anche qualcosa in più visto l’infortunio di Milik e l’ottovolante giallorosso. Icardi, Perišić, Candreva, Banega, João Mário, Miranda e Handanovič: sono sette giocatori di livello internazionale che, Juventus a parte, giocherebbero titolari probabilmente ovunque in Italia. Questo però non basta per creare una squadra, serve qualcuno che tiri fuori il meglio da questi atleti il prima possibile, già da stasera contro il Torino: che quella persona sia Frank de Boer o meno, per fortuna, non sta a me deciderlo.

Alessandro Lelli
Alessandro Lelli
Nato a Genova nel maggio 1992; è un appassionato di calcio, basket NBA e pallavolo (sport che ha praticato per molti anni). Frequenta la facoltà di Scienze Politiche, indirizzo amministrativo e gestionale.

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