Odio e amo

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Luis Alberto Suárez, di nuovo tu.

No, non hai insultato né morso nessuno.

Hai semplicemente fatto ciò che ti riesce meglio: segnare.

Segnare tanto e segnare sempre. Appena vedi uno spiraglio, eccolo; con quella tua capacità di infilarti ovunque, di non lasciar scampo a chi di mestiere dovrebbe impedirti di finire sul tabellino alla voce marcatori. Con quella tua voglia di giocare sempre a calcio, a qualunque latitudine, contro qualunque avversario.

Delle volte perdi la testa, sì. E non con gesti trascurabili, tollerabili perché “ciò che succede in campo deve rimanere in campo”, ma con azioni che i ragazzini non dovrebbero vedere; non so se all’epoca fossi davvero, come ebbe a dire Sir Alex Ferguson, “a disgrace for Liverpool Football Club” (come lo traduco?), ma ci andavi vicino.

Ed era un peccato perché poi, Dio, come giochi. Come mordi le caviglie dei difensori, aggredisci – calcisticamente parlando – ogni possesso palla altrui, torni a metà campo e ti sacrifichi per la squadra. E gol, uno dopo l’altro. Gol e ancora gol: 111 in 158 partite con l’Ajax, 82 in 133 col Liverpool, 56 in 75 uscite in blaugrana.

Numeri normali in Olanda o ad Anfield, ma …

Lo voglio vedere a dividersi il proscenio con Messi e Neymar.

A diventare uno dei tanti.

Eccolo: decisivo in non so quanti trofei, 19 reti in 20 uscite nella Liga 2015-2016 e ieri la firma sulla sfida di cartello contro l’Atlético di Diego Simeone: pomeriggio complicato, avversario roccioso (e falloso). Ma lo hai fatto ammattire.

In tutto questo l’altro Luis.

Gli insulti (anche razzisti), i morsi – recidivi – e le squalifiche lunghissime. Gesti al limite dell’antisportivo (sebbene utili: come una “parata” in un quarto di finale mondiale), la reazione dell’opinione pubblica: difesa estrema ed esagerata dai tifosi preoccupati di perdere i tuoi gol, attacchi anche alla tua famiglia sui social nell’immediato dopo partita di quell’Italia-Uruguay a Natal: prezzo del talento e di un carattere incomprensibile.

E alla fine 300 gol in carriera a meno di 30 anni, tra club e nazionale e:

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.

Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Matteo Portoghese
Matteo Portoghese
Sardo classe 1987, ama il rugby, il calcio e i supplementari punto a punto. Già redattore di Isolabasket.it e della rivista cagliaritana Vulcano, si è laureato in Lettere con una tesi su Woody Allen.

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