What took you so long

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Perché ci hai messo tanto o, più letteralmente, Che cosa ti ha trattenuto così a lungo cantava una rediviva Emma Bunton nel 2001, anno del suo debutto discografico solista venuto subito dopo il periodo in cui la biondissima cantante imperversava nel mondo insieme alle sue colleghe delle Spice Girls. Oltre a essere una hit nostalgica per tutti i pubescenti consumatori abituali dell’allora magnificente e munifica Mtv, la canzone della fresca quarantenne Emma – Baby Spice  ne ha già quaranta! Anche solo pensarlo pare impossibile – calza a pennello come possibile colonna sonora del recentissimo approdo all’Inter di Éder Citadin Martins, noto ai più semplicemente come Éder, dopo una trafila in provincia che sembrava davvero non dovesse terminare mai.

Invece l’italo-brasiliano è finalmente arrivato in una grande dopo aver vestito le maglie di Empoli, Frosinone, Cesena, Brescia e naturalmente Sampdoria, coronando una carriera in costante crescendo che l’ha visto strappare con le unghie e con i denti un rispetto e una considerazione sempre maggiori nell’ambiente. Ovviamente lo hanno aiutato molto soprattutto i tanti gol segnati nelle ultime due stagioni e mezzo, durante le quali è costantemente andato in doppia cifra (contando le reti tra tutte le competizioni), ma non solo: è infatti raro vedere un attaccante sfiancarsi nel rincorrere gli avversari come fa lui, abituato a mettere nella fase di non possesso una garra più da centrocampista che non da punta.

E forse è proprio questo il vero retaggio di tutta la gavetta fatta fin qui, il suo credo, ciò che lo definisce come calciatore ancora di più delle statistiche offensive: dare fino all’ultima stilla di sudore per recuperare il possesso e, una volta che si ha il pallone, giocarlo come se fosse l’ultimo. In italiano, una volta, si chiamava tigna; ecco, Éder può essere considerato il prototipo del giocatore tignoso moderno che, a due polmoni ragguardevoli, unisce una tecnica di base notevole – specialmente nel fondamentale del tiro a medio raggio.

Del resto sono quelli come lui che si guadagnano sul campo, pezzo per pezzo, i lustrini e le paillettes a cui sembrerebbero in prima battuta interdetti e l’ex doriano può tranquillamente assurgere a rappresentare il concetto di meritocrazia nel nostro sistema calcio contemporaneo. Tutto ciò che ha, forse persino tutto ciò che è se l’è preso sul campo, senza mai voltarsi indietro. La spinta ascensionale della sua carriera l’ha infatti portato a salire non troppo in fretta ma inesorabilmente la china, partendo dalla Serie B fino ad arrivare al top club di turno passando anche per la Nazionale. Già, la Nazionale.

Perché, nel dubbio, Éder s’è guadagnato anche quella ma non la maglia verdeoro a cui si penserebbe guardando alla sua origine geografica – e  sì che suo padre gli ha imposto il suo nome proprio in onore di Éder Aleixo de Assis, ala sinistra che ha rappresentato il Brasile per ben 51 volte – bensì quella azzurra della nazionale italiana, il paese che l’ha adottato completamente e, soi-disant, «fatto diventare un uomo». E l’ha fatto militando nella Sampdoria e senza mai praticamente avere la vetrina di una sfida di coppa europea, prima di andare in una big; non mancano i precedenti, certo, ma rimane un modo eterodosso di arrivare a vestire l’azzurro.

Di buono c’è che il nostro non s’è mai lamentato (tranne quando sembrava che non lo stessero pagando) e ha avuto parecchia pazienza nell’aspettare il treno giusto, ingannando l’attesa con un impegno e una costanza ammirevoli, che l’hanno portato a migliorarsi sempre un pochino di più man mano che passavano le stagioni. Così da essere certo di esserselo guadagnato centimetro per centimetro, quel treno. Treno che peraltro è attualmente guidato da quel Roberto Mancini, che l’ha voluto tanto con sé nella sua squadra di club ma che, circa un anno fa, si dichiarava poco favorevole a una chiamata di Conte. Certamente oggi la cosa è completamente dimenticata ma resta un fatto curioso: l’ormai ex giocatore della Samp è finito proprio tra le grinfie di chi aveva messo in dubbio la liceità di una sua convocazione. Chissà, forse il Mancio s’è solo reso conto che uno così è meglio averlo in squadra che non ritrovarselo contro…

Di sicuro Éder ci ha messo tanto ad arrivare dove avrebbe sempre voluto, certo, ma adesso ha finalmente l’occasione che gli consentirà di dimostrare davvero quanto vale. Anche perché non sta scritto da nessuna parte che il fiore che sboccia in ritardo sia più brutto di un altro che invece è precoce. E questo, ci si può mettere la mano sul fuoco, Mancini lo sa perfettamente e ci spera parecchio.

Boa sorte, Ederinho.

Giorgio Crico
Giorgio Crico
Laureato in Lettere, classe '88. Suona il basso, ascolta rock, scrive ed è innamorato dei contropiedi fulminanti, di Johan Cruyff, della Verità e dello humour inglese. Milanese DOC, fuma tantissimo.

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