Che non fosse la stagione personale da incorniciare, David Alaba l’ha capito la notte del 2-0 alla Roma all’Allianz Arena: mentre i suoi compagni del Bayern Monaco festeggiavano la vittoria, lui doveva fare i conti con un menisco rotto e settanta giorni di stop (perse nove partite favorito dall’imminente sosta invernale).
Quando la stagione sta entrando nella sua fase decisiva, quella finale, ecco l’ennesimo, grave infortunio per il terzino/ala: gli esami effettuati alla clinica di Säbener Straße da Hans–Wilhelm Müller-Wohlfahrt, il medico della squadra bavarese e anche della Nazionale tedesca, hanno evidenziato uno strappo al legamento collaterale mediale del ginocchio sinistro cagionato da un contrasto di gioco con Emir Bičakčić durante l’amichevole Austria-Bosnia.
Si prospetta una lunga lontananza stimata in undici partite: Alaba tornerebbe pienamente guarito solo negli ultimi giorni di maggio, in concomitanza con la finale di Coppa di Germania o nella peggiore delle ipotesi per l’atto conclusivo della Champions League (entrambe all’Olympiastadion di Berlino). E a proposito della grande competizione europea, Pep Guardiola – che ha da poco festeggiato il rientro di Holger Badstuber dopo due anni di lontananza dai campi – dovrà fare a meno anche di Arjen Robben.
Il tecnico catalano ha una rosa così ampia e dotata qualitativamente da poter stare sereno, ma il k.o. di Alaba priva il Bayern di un giocatore importante sotto molti punti di vista. L’austriaco è il primo rigorista e molte volte lo troviamo sul punto di battuta di una palla inattiva perché la sua migliore dote, oltre la grande facilità di corsa, è il tiro dalla distanza. Esplosività ed elasticità muscolare che di concerto si uniscono alla duttilità: Alaba nasce come terzino sinistro per poi riciclarsi in più ruoli, dal laterale fino a mezz’ala in un centrocampo a quattro. Il tutto sotto la lente d’ingrandimento del più creativo degli allenatori.