Inseguendo la Coppa d’Africa

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La Coppa D’Africa 2015, in corso di svolgimento in Guinea Equatoriale, sta entrando nel vivo delle fasi più intense, ad eliminazione diretta. Per avvicinarci ulteriormente alla competizione, vogliamo proporvi un viaggio a ritroso tra le squadre e i campioni del calcio africano.
La Coppa d’Africa per Nazioni venne assegnata per la prima volta nel 1957. Anticipando di un anno i Campionati Europei, che debuttarono nel 1958 e arrivando un anno dopo la Coppa d’Asia, la cui prima edizione fu vinta dalla Corea del Sud nel 1956 (tutt’altra longevità invece per la Coppa America, che si disputa fin dal 1916).

Ai tempi del debutto della manifestazione, il calcio africano aveva appena iniziato a mettere in mostra i primi giocatori di valore universale. In conseguenza degli assetti geopolitici del tempo e degli interessi europei vigenti, le stelle migliori del continente africano militavano soprattutto nel campionato francese. La prima “perla nera” del calcio mondiale fu il marocchino Larbi Ben Barek, mezzala di tecnica e fantasia, che tra la fine degli anni ’30 e i primi anni ’50 mise il proprio talento al servizio dell’Olympique Marsiglia prima, nell’Atletico Madrid poi e infine, da allenatore, diede un’identità primaria al Marocco. Di lui disse Pelé: “Se io sono il re del calcio, allora Ben Barek ne è il Dio”.

Si decise che la Coppa d’Africa sarebbe stata giocata ogni due anni. Le prime due edizioni, disputate in Sudan e in Egitto, furono entrambe vinte dall’Egitto. In realtà si trattò di edizioni limitate a quattro squadre partecipanti, Egitto, Sudan, Etiopia e Sudafrica.

I successi dell’Egitto, benché agevolati dalla sparuta concorrenza, erano prevedibili anche considerando la maggior tradizione calcistica del paese, dove il calcio era stato portato dagli inglesi fin dagli inizi del secolo scorso. L’Egitto aveva già preso parte ad un Mondiale nel ‘34, arrivando sino agli ottavi e aveva ottenuto un quarto posti alle Olimpiadi del 1928.
Negli anni dei successi in Coppa d’Africa, l’Egitto di nuovo arrivò ai margini del podio in un’ Olimpiade, con un quarto posto ottenuto nel ’64 a Tokyo, quando riuscì nell’impresa di eliminare per differenza reti il Brasile, prima pareggiando proprio con i brasiliani per 1-1 e poi seppellendo per 10-0 la Corea del Sud.

Con l’avvio del processo di decolonizzazione e la formazione delle nazioni africane, anche la competizione accrebbe il numero dei partecipanti e di conseguenza l’interesse.
Insieme all’Egitto, fu il Ghana la squadra a mettersi in evidenza, vincendo due edizioni consecutive della Coppa d’Africa, negli anni ’60. Sin da allora, la squadra ghanese, meritò l’appellativo di “Brasile d’Africa”. Nazione sempre molto prolifica a livello di settore giovanile, solo in epoca recente è riuscita a conquistare l’accesso ai mondiali, nonostante un’ egemonia costante a livello continentale nei decenni. Tra i campioni ghanesi, negli anni ’90 si mise in evidenza l’attaccante Abedì Ayew detto “Pelé”, stella europea dell’ Olympique Marsiglia, per tre anni di fila Pallone d’oro africano (1991, 1992, 1993) e vincitore della Coppa d’Africa nel 1982.
Negli anni, Ghana ed Egitto saranno le due rappresentative africane che innalzeranno più volte la Coppa D’Africa.

Con due successi in Coppa d’Africa, conseguiti nel ’68 e nel ’74, si mise in evidenza lo Zaire (ex Repubblica Democatica del Congo). Ai Mondiali del 1974, lo Zaire divenne la prima rappresentante dell’Africa Nera a scendere in campo nella competizione. Ma le cose non andarono bene, lo Zaire andò incontro a una disfatta clamorosa, prima con la Scozia, poi con la Jugoslavia (9-0), fino alla sconfitta con il Brasile, rimasta nella storia del calcio per il celebre episodio che vide protagonista il difensore Ylunga Mpewu. Mpewu, mentre il Brasile allestiva la distanza e prendeva le misure per battere un calcio di punizione, ben prima del fischio dell’arbitro, si staccò dalla barriera e andò a calciare il pallone lontanissimo, lasciando di stucco gli spettatori allo stadio e quelli televisivi.
A lungo l’opinione pubblica occidentale non riuscì a interpretare l’episodio andando oltre lo stupore del momento, rivelando in tal modo anche la misura del pregiudizio inconscio. Si pensò a una mancata conoscenza delle regole elementari del gioco o al limite a un eccesso di istinto tiroideo, ma la verità, come fu rivelato in seguito era ben diversa. Dopo le sconfitte nei primi due incontri, il dittatore dello Zaire Mobuto (autore del colpo di stato che vide l’esecuzione di Patrick Lumumba – il primo presidente democraticamente eletto del paese -, definito “l’archetipo del dittatore africano” e capace di allestire un sistema di governo definito “cleptocrazia”, che lo portò a essere tra i tre uomini al mondo maggiormente arrichitisi a spese dello Stato, nonchè imputato di immani crimini contro l’umanità) aveva mandato i propri uomini nel ritiro della nazionale, avvertendo i giocatori che, se avessero subito più di tre gol dal Brasile (quanti servivano ai sudamericani per passare il turno), a loro e a i propri familiari, non sarebbe stata garantita l’incolumità. E nel momento in cui, sul 3-0 a pochi minuti dal termine, si apprestava a calciare da posizione favorevole Rivelino, che è stato uno dei più grandi tiratori di punizioni di sempre, è probabile che i giocatori dello Zaire sentirono sotto di sé il vuoto di chi ha già messo un piede nel precipizio. Quel gesto di Mpewu fu un atto di coraggio estemporaneo e geniale che probabilmente consentì ai giocatori dello Zaire di salvarsi la vita.

All’edizione della Coppa d’Africa del 1972, partecipò un altro grande giocatore africano, del passato: Salif Keita, che, da capocannoniere con 5 reti, portò il Mali sino in finale di Coppa d’Africa (dove vinsero i Diavoli Rossi del Congo Brazzaville). Primo vincitore del Pallone d’Oro Africano, Keita fu un autentico principe del gol. Giocò principalmente in Francia nel Saint Etienne, realizzando 125 gol in 149 presenze, ma si fece valere anche al Valencia e nello Sporting Lisbona. Fu lui il capostipite dei grandi attaccanti africani come Drogba ed Eto’o. Due nipoti di Salif Keita si sarebbero poi fatti valere in Europa, ai nostri giorni: Seydou Keita, l’ex Barcellona attualmente in forza alla Roma, e Mohammed Sissoko, ex Juve e Fiorentina.

Negli anni ’80, si impose per due volte il Camerun (1984 e 1986). Furono i “Leoni indomabili” a rilanciare l’immagine del calcio dell’Africa nera, dopo l’esperienza dello Zaire, ai Mondiali dell’ ’82. A trascinarla, Roger Milla, fuoriclasse di lungo corso, capace di essere calciatore africano dell’anno nel ’78 e poi 12 anni dopo del ’90 (ancora nel ’94, prese parte, mettendo anche a segno una rete, alla spedizione camerunense ai mondiali statunitensi). Nell’edizione vittoriosa della Coppa d’Africa 1986, Milla fu capocannoniere con 4 reti. In squadra, anche il portiere Thomas Nkono, altra leggenda camerunense e non solo.
Solo sul finire del decennio, nel 1990, arrivò la prima storica vittoria l’Algeria, l’altra squadra che si mise in luce ai Mondiali dell’82, quando dopo aver battuto perfino la Germania Ovest, venne eliminata da un discusso patto tacito di non belligeranza tra Austria e Germania Ovest (la cosiddetta “Vergogna di Gijon”). Della squadra che vinse la Coppa D’Africa, da un anno non faceva più parte Lakhdar Belloumi, la talentuosa mezzala che ai mondiali di Spagna era stato presentato come “il Platini d’Algeria”. Calciatore dotato di classe, più che nuovo Platini, in una certa misura fu precursore di Zinedine Zidane. Vinse invece quella Coppa d’Africa, l’altro grande giocatore algerino del decennio, Rabah Madjer, noto come “il tacco di Allah”. Proprio di tacco mise a segno una rete che valse al Porto la Coppa dei Campioni del 1987.
Ma non furono solo Milla, Nkono, Belloumi e Madjer a rappresentare l’Africa in quegli anni. Nel 1986 partecipò al mondiale messicano il Marocco, riuscendo in un’impresa proibitiva: passare il turno in un girone che prevedeva Inghilterra, Polonia e Portogallo. Nell’incontro successivo, il Marocco fu in grado di resistere alla Germania Ovest sino a pochissimi minuti dal termine. Gran parte del merito, fu di un altro grande portiere prodotto dal calcio africano: Ezzaiki Badou, per gli amici e per tutti “Zaki”. La novità che propose il Marocco, era una notevole organizzazione tattica con spiccata accortezza difensiva. Tuttavia, in fase di Coppa d’Africa, il Marocco solo una volta, nel 1976, riuscì ad aggiudicarsi la competizione.

Negli anni ’90, il calcio africano consolidò i progressi mostrati, estendendoli ad altre nazionali continentali. Dapprima sembrò emergere lo Zambia, che in Italia scoprimmo alle Olimpiadi di Seul dell’88, quando la squadra guidata dall’attaccante Kalusha Bwalya, inflisse un roboante 4-0 agli azzurri (tripletta di Kalusha Bwalya). Ma nel ’93 una sciagura aerea, avvenuta in occasione di una partita di qualificazione mondiale, annientò una generazione di calciatori, tra i quali si salvò solo Kalusha Bwalya , che militando in Europa, aveva altri impegni.
La Coppa d’Africa del 1994, in finale proprio con lo Zambia, se la aggiudicò la Nigeria. Il mondo e l’Italia in particolare, avrebbe scoperto pochi mesi dopo quella nazionale che esprimeva il talento di una generazione straordinaria di calciatori. Quasi tutti militarono in Europa, rinsaldando le proprie carriere in prosceni di maggior rilevanza. Dall’attaccante sfonda-reti Yekini, al funambolo imprevedibile Jay Jay Okocha, dal portiere Rufai al centrocampista Sunday Oliseh (ex Reggiana e Juventus), fino alle sguscianti ali Finidi George e Amunike, la Nigeria annnoverò così tanti talenti da suscitare aspettative mondiali.

L’altra grande novità degli anni ’90, fu il ritorno del Sudafrica. La fine dell’Apartheid riportò la nazionale sudafricana nelle competizioni internazionali. Da Paese ospitante, il Sudafrica si aggiudicò la Coppa D’Africa 1996. Fu lo stesso Nelson Mandela a premiare i giocatori, solo un anno dopo lo storico successo conseguito nel rugby (capocannoniere del torneo, fu l’esperto Kalusha Bwalya dello Zambia). Alcuni di quei giocatori, Phil Masinga, Tinkler e Fish, militarono anche in Serie A.
Chi rimase a secco di vittorie sul proprio continente, fu un altro grande campione africano, penalizzato dai limiti della propria nazionale, fu George Weah, stella del Milan Pallone d’oro nel 1995, primo calciatore non europeo a vincere il titolo, Fifa World Player nel 1995 e tre volte Pallone d’oro africano nel 1989, 1994 e nel 1995. E tuttavia, grazie ai suoi gol, nel 1996 e nel 2002, la Liberia riuscì almeno a qualificarsi per le fasi finali della Coppa d’Africa.

Dal 1998 ad oggi, ben 4 edizioni su 8 sono state vinte dall’Egitto, (1998, più un terno consecutivo 2006, 2008, 2010) mentre altre due, nel 2000 e nel 2002 dal Camerun di Samuel Eto’o (Pallone d’oro africano nel 2003, 2004, 2005 e 2010 e recordman di segnature complessive in Coppa d’Africa). Lo stesso Camerun con l’attaccante (ex Cagliari) Mboma, il difensore Wome (ex Roma) ed Eto’o conquistò anche la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Sydney del 2000.

Tra i grandi calciatori africani che non sono riusciti ad aggiudicarsi la Coppa d’Africa, spicca il nome di Didier Drogba. L’attaccante della Costa D’Avorio, miglior giocatore africano nel 2006 e nel 2009 ci è andato molto vicino nel 2006 e nel 2012, ma in entrambe le occasioni perdendo ai rigori, una volta contro l’Egitto, l’altra contro lo Zambia. Non convocato per l’edizione 2015 della Coppa d’Africa, la sua Costa d’Avorio, una delle migliori compagine africane degli ultimi dieci anni, ci riproverà, trascinata dall’attaccante della Roma Gervinho, da Bony e soprattutto da Yaya Tourè, il centrocampista del Manchester City, Pallone d’oro africano per quattro anni consecutivi dal 2011 ad oggi.

Dai tempi antichi di Larbi Ben Barek a quelli odierni di Yaya Tourè, lo spessore del calcio africano è cambiato al punto che, senza dover andare a scandagliare nelle squadre di seconda fascia, oggi non è insolito trovare migliori squadre del mondo un rappresentante del calcio africano. Se i campionati europei hanno contribuito a forgiare tecnicamente i migliori talenti, è la Coppa d’Africa il palcoscenico dove è possibile ammirare campioni e aspiranti tali, restituiti al proprio legame natìo più autentico con il territorio, nella allegra vivacità dei colori panafricani.

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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