Sono cose che col calcio hanno tutto a che fare

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E’ una vergogna, un comportamento inaccettabile. I tifosi devono comportarsi come tali. Sono cose che col calcio non hanno e non devono avere nulla a che fare. 

Di commenti del genere ne abbiamo sentiti a iosa, dopo i fatti di Belgrado. Serbia – Albania ha riportato alla mente vecchie immagini, che si pensavano ormai superate e lontane. Come i fatti del 2010 di Genova, che hanno toccato da vicino una città ora impegnata in una battaglia ben più grande. Tra l’altro, Ivan Bogdanov, il colosso incappucciato più riconoscibile di Paperino a causa dei tatuaggi, che incitava i suoi compari a Marassi brandendo un paio di tenaglie, era sugli spalti anche ieri sera. Queste risse e invasioni non devono essere parte del calcio, squilla da destra e manca, il mondo sportivo le deve condannare apertamente e sotterrare in fretta. Insomma, il nostro amato pallone non deve essere teatro di scontri, solo “una grande festa”, come si ama dire. Figuriamoci se gli scontri sono per motivo politico. Calcio e politica devono restare separati. Ma dev’essere davvero così?

Queste affermazioni dense di purezza e candore non vogliono vedere tanti lati dell’industria calcistica, che deve comportarsi necessariamente come tale, dati gli altissimi fatturati che produce. Dall’altra parte, i sonori “no al calcio moderno” arrivano dagli ultras di vecchio stampo, che invece hanno molto chiare le connotazioni del nuovo business del pallone. Sono proprio loro a fare da anello di congiunzione tra il mondo dei bilanci e dei capitoli di spesa e quello relativo alla storia e alla passione. Un mondo spesso impalpabile, che ha però la forza di colpirci come uno tsunami. Esattamente come ieri sera.

Perciò questo assioma che afferma che il calcio sia un argomento a sé stante, una semplice manifestazione che non ha bisogno di radici storiche, se non prettamente relative all’ambito sportivo, pare vacillare. Storia, politica e calcio sono un trinomio indissolubile. Lo sport è un testimone degli eventi, ne viene plasmato e ne sa regalare anche un racconto. La violenza va condannata, su questo non ci piove. Ma il “via la politica dagli stadi” ucciderebbe buona parte della magia che contorna squadre e città.

Cosa sarebbe il Livorno, senza i riferimenti alla storia della città, al 1921, al Congresso Socialista in cui Gramsci alzò la mano? Una squadra portuale, tinta di amaranto, senza infamia e senza lode. Cosa sarebbero l’AEK e il PAOK, senza il profondo legame con i profughi dell’Asia Minore dopo le guerre greco-turche? Nulla, non sarebbero mai nate. Cosa sarebbero le grandi squadre serbe, senza le tinte nazionaliste a cui sono riconducibili? Vi immaginereste una Glasgow con squadre senza differenze religiose? O una rivalità tra West Ham e Millwall non dovuta alle diverse scelte prese nei grandi scioperi londinesi? Che motivo avrebbe l’Athletic Bilbao di rinunciare ai grandi giocatori internazionali? Perché il Trans Narva in Estonia dovrebbe avere solo giocatori di origine russa o con passaporto grigio?

Togliere la politica dal calcio equivale a estirpare un organo vitale di questo pazzo spettacolo che ci tiene incollati agli schermi e alle righe dei giornali. Ma ancora peggio è non volerla vedere. Pretendere che un Serbia – Albania possa andare a gonfie vele, solo perché i serbi e i croati erano stati buoni qualche anno prima. Eppure, quando incalzati dagli eventi e spaventati da un tangibile rischio, i dirigenti UEFA hanno messo mano ai regolamenti. Non più tardi di un mesetto fa, era stato proibito a qualsiasi squadra russa di incontrare un’ucraina in qualsiasi competizione per club europea.

Per prevedere un esito di questo genere non serviva certo la sfera di cristallo e questo dimostra che politica e storia, volente o nolente, al calcio sono molto legate. E dato che questa rivalità balcanica estrema non appartiene a quelle del “i francesi mi stanno antipatici” o del “gli inglesi non si lavano”, ma ha profonde e recenti radici storiche, più di quel Croazia-Serbia, ebbene, qualche scrupolo in più ce lo saremmo aspettato. In fondo, lo abbiamo visto, sono cose che col calcio hanno tutto a che fare.

Francesco Piacentini
Francesco Piacentini
Pavese classe '91, laureato in scienze politiche, per lui lo sport è uno specchio su cui si riflette la storia di un popolo. Stregato dal calcio inglese e greco, ama la politica, l'heavy metal e il whiskey.

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