Roma, Totti: “Mio papà mi diceva che ero una pippa…”

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Francesco Totti, in una lunga intervista rilasciata a Panorama, parla a tutto tondo della sua vita professionale e non, rivangando il passato ma senza esporsi troppo sul suo futuro, dimostrando così di essere assolutamente focalizzato sul presente suo e della sua Roma. Il giocatore più longevo ad avere segnato in Champions League svaria dai racconti (un po’ nostalgici) dei primi calci dati a un pallone nel cortile della scuola, all’emozione unica che prova ogni qualvolta corre sotto la sua curva mano nella mano con i suoi compagni.

Ti ricordi quando a scuola le finestre erano aperte e sentivi lontano giocare a pallone alcuni tuoi coetanei?

Sì che mi ricordo, era irresistibile per me alzarmi dal banco, inventarmi una scusa qualsiasi e raggiungere gli altri a giocare a pallone.

Come ti diceva tuo padre dopo una partita?

Ha detto, più o meno sempre, anche quando avevo i primi successi, che ero una pippa (modo romano per dare della schiappa a un giocatore o comunque a una persona) e che invece mio fratello era autenticamente bravo.

Avresti mai pensato di diventare una leggenda o comunque cosa avresti voluto fare in alternativa?

No, non mi sono mai posto l’idea dell’alternativa perché mi piaceva in maniera esagerata quello che facevo e poi mi sembrava straordinario poter lavorare coltivando la mia passione di sempre. Credo che questo sia un grande privilegio: far coincidere il lavoro con la passione o comunque con l’hobby. Non so se i miei figli seguiranno la stessa strada. Non sono di quei padri che pensano di indirizzare i figli a un mestiere o a un altro: mi auguro, com’è successo a me, che facciano quello che fortemente desiderano fare.

Ma questa saggezza come padre trova eguali anche nel matrimonio? Sei un marito saggio?

llary e io viviamo insieme da tanti anni, mi sento di dire che ho più difetti io di lei e che ho trovato in Ilary una madre e una moglie perfetta. Mi viene un sospetto: non sarò molto fortunato? Sì, forse sono proprio molto fortunato e, credetemi, correre insieme alla squadra verso la curva che ti appartiene, a conclusione di una partita vittoriosa, è una grande soddisfazione. lo lo vivo come un regalo, come se tutti i tifosi che riempiono quegli spalti mi abbracciassero uno dopo l’altro. Qualcuno mi dice: sarai dispiaciuto di non far più parte della Nazionale o comunque di essere convocato molto meno… Rispondo: sono talmente contento di come va la mia carriera adesso che ho 38 anni, che non ho proprio modo di lamentarmi per una convocazione in meno a Coverciano. Poi, sapete cosa c’è? Con il passare degli anni, se le cose ti sono andate bene, sei bendisposto nei confronti dei tuoi colleghi o di chi, per esempio, va a rappresentare l’Italia all’estero. Ti auguri soltanto che abbiano successo e non ridacchi dentro se poi, com’è accaduto recentemente in Brasile, questo non avviene.

Essere ormai una leggenda ti procura qualche rimpianto, qualche malinconia?

Beh, certamente il trascorrere degli anni può portare a fare un bilancio, comunque a rimpiangere qualcosa che inevitabilmente non c’è più. lo sono fortunato nel senso che forse il rimpianto maggiore ce l’ho nei confronti di quelli che erano i miei sogni, i miei desideri, le mie speranze. Come ti dicevo, quando scappavo in un campetto vicino a scuola a tirare qualche calcio al pallone. Ecco, l’entusiasmo di quelle ore, comunque attraversate dalla paura che qualche professore ti venisse a riprendere, so che non potrò più viverlo… certo, ho vissuto soddisfazioni ben maggiori ma non ho avvertito la dimensione della speranza, la dimensione del sogno: da grande voglio fare il calciatore. Ecco, sono sempre malinconici gli anni che non consentono più di dire “da grande voglio fare” perché grandi ormai lo si è.

Vorrei anche sapere quando ti sei accorto che non eri più soltanto il Francesco Totti capitano della Roma ma eri appunto Francesco Totti.

Non ci avevo mai pensato… è stata una scoperta casuale quando una volta, entrando in campo, uno sparuto gruppo di tifosi della squadra avversaria mi omaggiò di un saluto. È chiaro, omaggiavano il Totti della Nazionale, ma la cosa era talmente insolita che mi fece piacere… chissà, forse ci può essere anche qualche laziale che, nel proprio intimo, a insaputa di tutti mi manda un saluto o mi applaude, non palesemente ma dentro di sé, quando entro in campo.

Cosa c’è che ti rimane più difficile da accettare in alcuni tuoi colleghi? Quale difetto?

L’eccesso di arroganza e la vocazione comunque a parlare male, comunque a essere contro, comunque a giustificare sempre un proprio errore, attribuendone la causa a un’altra persona… ecco, questi non mi piacciono ma dal momento che io non sono uno di tante parole, difficilmente m’imbarco in discussioni nel tentativo, del quale peraltro credo relativamente, di far cambiare idea a qualcuno. Forse il mio carattere un po’ chiuso mi porta a guardare, a far capire il mio dissenso, a girarmi e andarmene via. Ma non ho un cattivo carattere, credetemi, sono una persona che rispetta le regole, principalmente le regole della correttezza e della buona colleganza. Chi sbaglia, sbaglia, ma i colleghi di squadra, per un breve o lungo periodo, sono tuoi parenti.

Ma quando, fra cento anni, smetterai di scendere in campo, hai già pensato cosa fare?

Sì, in parte, ma siccome cambio spesso idea, non mi va di parlarne. Sarà per un’altra volta.

Stefano Tomat
Stefano Tomat
Nasce nel 1987 a Udine, gioca a calcio da quando ha 6 anni. Laureato in Relazioni Pubbliche e Comunicazione Integrata per le Imprese e le Organizzazioni.

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