C’era un Mondiale: Cile 1962, il torneo di Garrincha. E di Masopust

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La settima edizione della Coppa Rimet si giocò in Cile. Una scelta particolarmente sorprendente, se si considera il livello di povertà del paese sudamericano. A pesare sulla decisione, fu la volontà del Brasile di non assegnare all’Argentina l’organizzazione. L’intera competizione si giocò in quattro città e si svolse senza problemi organizzativi, nonostante un catastrofico terremoto avesse colpito il Cile due anni prima. Quel che fece discutere invece, fu la condotta arbitrale e la tolleranza del gioco rude, praticato soprattutto dalla squadra di casa, verso la quale vi furono diversi favoritismi. L’Italia stessa fu costretta a capitolare di fronte ai cileni, non senza recriminazioni per la metodica arbitrale, in quella che fu nota come “la Battaglia di Santiago”. Subìte due espulsione, decretate dall’arbitro Aston, e costretta per mancanza di sostituzioni a schierare Maschio con il naso fratturato, la squadra azzurra cadde per 2-0 nell’ultima mezzora, venendo eliminata dalla fase a giorni, nonostante un pareggio con la Germania Ovest e una rotonda vittoria per 3-0 sulla Svizzera.

Anche il grande Pelè, si infortunò alla seconda partita, e di lì in poi a trascinare il Brasile verso il secondo titolo della propria storia fu un altro campione assoluto: Garrincha.
Considerato il più forte dribblatore di tutti i tempi, Garrincha da ragazzino era stato giudicato inabile al gioco del calcio, per una serie di difetti congeniti: una spina dorsale deformata, una differenza di lunghezza di ben sei centimetri tra le due gambe, uno sbilanciamento del bacino, un ginocchio affetto da varismo e un altro da valgismo.
Delle strabilianti doti di Garrincha e del suo gioco, così ha scritto Eduardo Galeano, nel suo “Splendori e miserie del gioco del calcio”: “Se era in forma, il campo si trasformava in un circo, la palla diventava un animale obbediente e il gioco un invito alla festa. Garrincha proteggeva il suo cucciolo, la palla, e insieme inventavano trucchi incredibili che mandavano in estasi gli spettatori. Lui la saltava e lei rimbalzava sopra di lui. Poi si nascondeva prima che lui scappasse, per poi ritrovarla che correva già davanti a lui. Nella corsa i suoi inseguitori si scontravano tra di loro nel tentativo di fermarlo”.

Ma non c’erano solo i campioni brasiliani a rendere quell’edizione particolarmente ricca di talenti. Grazie anche alle concessione di cittadinanza a diversi giocatori originari di altre nazioni, la Spagna si presentava con Puskas, Di Stefano, Gento e Suarez, mentre l’Italia schierava Rivera, Altafini, Sivori e Maschio. L’Inghilterra poteva contare su Moore, Greaves e Charlton e l’URRSS sul grande portiere Jascin.

Tuttavia, la squadra che più delle altre provò ad ostacolare il cammino dei brasiliani, fu la Cecoslovacchia, guidata in campo da un grande campione, Josef Masopust.
Trequartista dotato di forza fisica ma anche di tecnica e talento, giocò per tutta la carriera entro i confini del proprio Paese, nel Dukla Praga (se si esclude una parentesi in Belgio, a 37anni), e questo ne limitò la fama all’estero. All’epoca, per calciatori dell’Est europeo non era facile essere ingaggiati da altri club oltrecortina.
Figlio di un minatore (come il coevo campione franco-polacco Kopa), fu ottimo rifinitore, grazie ad una visione di gioco illuminata, ma anche dribblatore sopraffino, se è vero che in suo onore venne coniata l’espressione “Masopust’s slalom”. Di lui, disse Pelè: “Masopust era un trequartista di tale tecnica, da dare l’impressione di essere nato in Brasile, non in Europa. Un tipo di giocatore alla Platini, alla Beckenbauer, paragonabile oggi a uno come Xavi. Soprattutto un uomo di grande intelligenza anche fuori dal campo”.

Guidata da Masopust, la Cecoslovacchia approdò sino in finale. Nella prima fase a gironi, Brasile e Cecoslovacchia si erano già incontrate, in un match terminato a reti bianche. Fu l’unica volta nel torneo, in cui il Brasile non vinse. Nel quarti e poi in semifinale, la Cecoslovacchia eliminò altre due forti squadre dell’Est: l’Ungheria di Albert e la Jugoslavia di Sekularac e Skoblar.

Anche in finale, la Cecoslovacchia fece il possibile per opporsi ad uno strabordante Brasile, riuscendo perfino ad andare in vantaggio, con una rete siglata proprio da Masopust. Accadde al 15’, quando Pospichal avanzò sono al limite dell’area, infilò un filtrante per l’accorrente Masopost, che superò Gilmar in uscita. La Cecoslovacchia, per due minuti, fu campione del mondo. Fu infatti rapidissima la risposta del Brasile:complice un errore del portiere cecoslovacco, Amarildo pareggiò subito i conti con un tiro-cross beffardo. Nella ripresa, prima Zito, poi Vavá, li chiusero definitivamente.

Quell’anno, Masopust vinse il Pallone d’Oro. Così, lo stesso campione ricorda quel riconoscimento: “Per mostrare il trofeo ai miei tifosi, me lo portai allo stadio di Praga, in tram, dentro una busta di plastica”.

Di seguito, il tabellino della finale:
Santiago del Cile, Estadio Nacional, 17 giugno 1962, ore 14.30
Brasile-Cecoslovacchia 3-1 (1-1)
Brasile: Gilmar; D. Santos, N. Santos; Zito, Mauro, Zozimo; Garrincha, Didí, Vavá, Amarildo, Zagalo. Allenatore: Moreira.

Cecoslovacchia: Schroif; Tichy, Novak; Pluskal, Popluhar, Masopust; Pospichal, Scherer, Kvasnak, Kadraba, Jelinek.
Allenatore: Vytlacil.

Arbitro: Latychev (URSS)
Reti: 15′ Masopust (CEC), 17′ Amarildo (BRA), 69′ Zito (BRA), 78′ Vavá (BRA).Spettatori: 68.000.
Qui, il video della gara

Leggi anche le precedenti puntate di “C’era un Mondiale”:

1 Camerun – Colombia e i colori di Italia 90;
2 Uruguay 1930 e il primo gol della Coppa del Mondo;
3 Corea e Giappone 2002, un mondiale di… cose turche;
4 Germania 1974, “E tu dov’eri, quando segnò Sparwasser?”;
5 Italia 1934, il “Wunderteam” austriaco si arrende agli azzurri.

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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