C’era in Europa: l’ultimo atto della Stella Rossa

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Prima che la guerra insanguinasse la ex Jugoslavia, comportando anche la disgregazione indipendentistica degli Stati che ne facevano parte, la ‘federazione degli slavi del sud’ era da sempre stata un’inesauribile fucina i talenti, di cui la Stella Rossa di Belgrado è stata spesso portabandiera.

Tuttavia era sempre sembrato impossibile assemblare insieme tanti talenti e coagularli in un’unica squadra, che riuscisse ad arrivare sino in fondo ad una competizione. Era sempre stato così per la nazionale Jugoslavia e la medesima situazione si riproponeva a livello di club, dove il risultato più notevole era stata la finale di Coppa Uefa raggiunta proprio dalla Stella Rossa nel 1979, persa contro il Borussia Mönchengladbach.
Fu proprio alla vigilia di quel tragico evento, appena un paio di mesi prima che deflagrasse la situazione, che arrivò la vittoria più importante, conquistata da una Stella Rossa mai così ricca di giocatori straordinari.
Su tutti, due giocatori dotati di classe e capacità funamboliche degne dei migliori sudamericani: il “genio” Dejan Savicevic, poi stella del Milan, e Robert Prosinecky, calciatore che solo per infortuni e per pigrizia non raccolse quanto aveva in dotazione. Ma sarebbe riduttivo definire comprimari gli altri giocatori, visto che stiamo parlando del serbo Sinisa Mihailovic, dotato di eccezionali capacità balistiche, sia per potenza che per precisione, e Vladimir Jugovic, a lungo poi con Juventus, Lazio e Inter. In attacco, a finalizzare la manna che gli veniva servita, Darko Pancev, giocatore ricordato con ironia all’Inter, ma che all’epoca vinse perfino la scarpa d’oro. In difesa, almeno una menzione per il libero di origini romene, Belodedic.

La formula della Coppa dei Campioni, ancora ad eliminazione diretta oppose la Stella Rossa prima agli svizzeri del Grasshoppers, poi ai Rangers Glasgow, squadre che non costituirono ostacolo rilevante per i biancorossi di Belgrado.

Nei quarti di finale, la Stella Rossa passa il turno eliminando la Dinamo Dresda. Nella partita di ritorno a Dresda, con la Stella Rossa in vantaggio per 2-1, fu necessario interrompere il match per via di un fitto lancio di oggetti mentre Prosinecky si accingeva a battere un calcio d’angolo.

In semifinale, la partita più importante, contro il Bayern Monaco allenato da Jupp Heynckes, tra le cui fila militavano i tecnici Olaf Thon ed Effenberg, il danese Brian Laudrup e gli arcigni Kohler ed Augenthaler.
Nella partita di andata, il capolavoro della Stella Rossa, che riesce ad imporsi per 2-1 a Monaco di Baviera, ribaltando il gol del tedesco Wohlfarth con Pancev e Savicevic, autore di una fuga da centrocampo.
La partita di ritorno, disputata al Marakana di Belgrado, è una delle più belle che la storia della Coppa dei Campioni ricordi, scandita da continui capovolgimenti di fronte, profusione di gesti tecnici e un finale mozzafiato.

A due minuti dalla fine il Bayern, dopo aver ribaltato il risultato, conduce per 2-1, quando il centravanti tedesco Wohlfarth centra in pieno il palo. Sul capovolgimento di fronte, l’esperto difensore Augenthaler, in complicità con il portiere, confezionò un incredibile autogol. Era fatta, la stella Rossa in un attimo passò dall’inferno al paradiso.

L’allenatore della Stella Rossa, Petrovic, commenterà così il match: “Durante la partita dì ritorno con il Bayern sono morto e resuscitato più volte”. Vent’anni dopo, Heynckes e il Bayern avrebbero vinto la Champions.

La finale del torneo si giocò in orbita levantina, nello stadio di Bari recentemente inaugurato, davanti ad una nutrita rappresentanza di tifosi giunti da Belgrado e da tutta la Jugoslavia Nell’altra semifinale, l’Olympique Marsiglia aveva eliminato il Milan (dopo i famosi fatti del “Velodrome”, quando in seguito al malfunzionamento dei riflettori, Galliani fece ritirare la squadra dal campo, provocando la sconfitta a tavolino dei rossoneri). Nella squadra presieduta dal miliardario Bernard Tapie, giocavano ottimi calciatori, come Papin, centravanti in stato di forma prodigioso, il funambolico ghanese Abedì Pelè e l’inglese Chris Waddle. Con i marsigliesi, per ironia della sorte, giocava anche un altro giocatore della nidiata favolosa della Stella rossa, fino all’anno precedente capitano dei biancorossi: Dragan Stojkovic, mezzala non meno dotata di Savicevic e Prosinecky, ma reduce da un pesante infortunio. Per lui, ci saranno solo una manciata di minuti in campo. A fargli compagnia in panchina, Tigana, vecchia stella del calcio transalpino. Ad allenarli, un santone del calcio, il belga Goethals.
L’alta posta in palio da origine stavolta ad una partita noiosa, che termina ai rigori. Per i francesi, sbaglia il veterano Amoros, infastidito dal portiere prima del tiro. Nessuno degli slavi sbagliò il rigore. Fu Darko pancev l’ultimo a segnare. Era il 29 maggio 1991 e nel dicembre dello stesso anno, la Stella Rossa si aggiudicò anche la Coppa Intercontinentale per 3-0 i cileni del Colo Colo(doppio Jugovic e Pancev). Ma ormai, il conflitto era iniziato, e quei talenti si divisero per andare a giocare nelle grandi d’Europa. Finiva così con la vittoria dell’ultima Coppa dei Campioni, il sogno calcistico jugoslavo. Prosinecky era croato, Pancev macedone, Savicevic montenegrino, Jugovic e Mihailovic serbi. Fu il primo riconoscimento per una generazione intera di talenti e anche l’ultimo, prima della guerra.

Di seguito il tabellino della finale:

29 maggio 1991, Bari (stadio San Nicola)
Stella Rossa-Olympique Marsiglia 5-3 d.c.r. (0-0)
Stella Rossa (4-4-2): Stojanovic – Sabanadzovic, Belodedic, Najdosi, Marovic – Prosinecki, Jugovic, Savicevic (84’ Stosic), Mihajlovic – Binic, Pancev. All.: Petrovic.
Olympique Marsiglia (5-3-2): Olmeta – Amoros, Casoni, Mozer, B. Boli, Di Meco (111’ Stojkovic) – Fournier (75’ Vercruysse), Germain, Waddle – Papin, Abedi Pele. All.: Goethals.
Arbitro: Lanese (Italia).
Rigori: Prosinecki (+), Amoros (-), Binic (+), Casoni (+), Belodedic (+), Papin (+), Mihajlovic (+), Mozer (+), Pancev (+).
Spettatori: 57.000.

Qui, il video dei rigori

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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