L’altra Olimpiade – 1. Il fratello buono

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Il rapporto tra giochi olimpici e conflitto è pieno di note e incertezze. Un po’ tutti sappiamo il significato profondo delle olimpiadi classiche: nell’antica Grecia, per quanto le varie città-stato fossero regolarmente accese le une contro le altre, durante una Olimpiade i conflitti si sospendevano. Una tregua accettata da tutte le parti, in nome di qualche ideale.

Venerdì il via ufficiale con l’inaugurazione (anche se, come sempre, il torneo calcistico in realtà si avvia prima). Ma in quale temperie, e con quali storie arriviamo a queste Olimpiadi di Rio?

Ci sarebbe spazio per parlare di internazionalismo, di sport e di valori morali, volendolo fare; ma onestamente non mi sembra che siano argomenti realmente caldi, ora come ora. Anzi, a parlarne si passa per persone fuori dal tempo. Fuori moda. E quindi parliamo di altro: per esempio, di come il conflitto si sia insinuato dentro alle Olimpiadi, e di come la manifestazione sia diventata il vessillo per tutt’altre storie.

Partiamo quindi con il terrorismo, perché Rio una storia particolare ce l’ha di sicuro. In questi casi si parla sempre del massacro di Monaco, alle Olimpiadi del 1972, ed è perlomeno beffardo ripensarci a pochi giorni da un’altra strage, durante un periodo drammatico; ma la realtà è che eventi del genere attirano sempre (non tutti si sono ricordati dell’attentato di Eric Rudolph, ad Atlanta 1996).

La storia di Rio, però, è più pittoresca. Si vive nella speranza che in Brasile tutto fili liscio e l’allerta sia dovuta allo zelo, non a un allarme effettivo; ma un campanello resterà acceso a vita dentro la testa di Mourad Laachraoui, atleta belga che gareggia nel taekwondo ed è campione europeo per la sua categoria di peso (a Rio gareggerà in quella di chi è inferiore a 58 chilogrammi). Ne ha scritto lo Spiegel, circa dieci giorni fa.

Perdere un fratello dev’essere terribile, di per sé. Perderlo per suicidio, ovviamente il quadro peggiora. E diviene insostenibile quando passi al gradino successivo: Najim Laachraoui, fratello maggiore di Mourad, si è suicidato cercando di uccidere altre persone; si è suicidato da terrorista, morto nella strage di Bruxelles e forse coinvolto negli attentati di Parigi. Proviamo a pensarci: quanti di noi sarebbero in grado di sopportarlo?

Il peso da portarsi va ben oltre i 58 chili della categoria, tant’è che Mourad, che non vedeva il fratello da tre anni, ha presto detto che la sua famiglia sospettava ci fosse anche Najim dietro agli attentati dello scorso novembre.

Personalmente, a stupirmi sono stati l’equilibrio e la fermezza di Mourad: che a caldo, in una conferenza stampa appositamente convocata, ha detto di non volere nemmeno provare a capire: vuole solo girare pagina.

Se Mourad riuscirà a estraniarsi da tutti quei pensieri, e se potrà portare i propri talenti al servizio di valori diversi, a prescindere dall’esito di Rio sarà in ogni caso una vittoria. È quello che dobbiamo sperare.

(1. – continua)

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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