Tra dar di matto e dar Di Matteo

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Abramovich voleva una scossa (e ne aveva ben donde, visto quanto scuce): la scossa è arrivata puntuale, ma forse sarebbe stato meglio pensarci due volte. L’addio a Roberto Di Matteo (fortunoso il suo approdo sulla panca dei Blues, ma decisamente ben segnata da due trofei la sua esperienza) ha portato a un cambiamento di rotta: 2 punti in 3 partite, un cammino da retrocessione.

Non me ne voglia Benítez, ma i dati delle sue ultime stagioni parlano chiaro. E anche gli avversari: Sir Alex Ferguson, dall’alto dei suoi trofei e della sua dinastia sportiva a Manchester (sponda United), ha sentenziato che il fresco allenatore del Chelsea potrebbe tra breve ritrovarsi con due Mondiali per club senza aver fatto nulla per costruire quelle squadre. Risulta difficile dargli torto.

Più che altro, stupisce il licenziamento di un allenatore che nell’ultima stagione, oltretutto da subentrante, ha portato a casa FA Cup e la prima Champions di sempre; e che comunque, fino a poche settimane prima, non se l’era cavata poi così male, se il Chelsea è ancora terzo pur mancando alla vittoria da più di un mese. Ma il mondo del calcio, si sa, è fatto così: la riconoscenza non sempre è un valore, e la memoria è pericolosamente corta.

Prendiamo un esempio di casa nostra: fino a un mese fa, reduce dall’avere espugnato lo Juventus stadium, Stramaccioni era il Vate del nuovo calcio, il successore di Capello come successi futuri, il Ferguson italiano (ma senza dovere impiegare sei o sette stagioni senza vincere nulla). Poi un punto in tre partite, e c’è chi dice che l’affermazione sul Palermo sia solo un brodino. Diciamocelo subito: non era un fenomeno prima, non è un brocco ora. Potrà diventare l’uno o l’altro negli anni a venire; ma diamogli tempo.

La stessa cosa andava detta per Di Matteo (che, lo ripeto, nel suo periodo proprio non è che abbia raccolto bruscolini), e lo stesso dovrebbe valere per Benítez, al netto di un subentro sostanzialmente ingiusto (ma non è colpa di chi arriva, semmai del padrone). E poi ci sono quelli che invocano il ritorno di Mourinho: come se a pagarlo fossero loro. (Peraltro, bisognerebbe pensare un’altra cosa: Mourinho sarebbe adatto a una squadra del genere? Sono portato a dubitarne con convinzione. Ci sarebbe una rivoluzione piuttosto costosa, e il rischio di uscire dai parametri del Fair play finanziario sarebbe più che concreto.)

Fossi un tifoso dei Blues, chiederei al proprietario di ripensarci e di dare a Di Matteo ciò che si merita: almeno il diritto di partecipare al Mondiale per club. Altro che chiedere Mourinho come regalo di Natale. Io ad Abramovich chiederei soltanto, più prosaicamente, se gli avanzano due spiccioli.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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