Maradona non ha mai lasciato Napoli

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L’ultima volta che Diego Armando Maradona ha messo piede a Napoli è datata 16 gennaio 2017: il miracolo lo ha compiuto l’istrionico comico napoletano Alessandro Siani che, al Teatro San Carlo, allestì le due ore dello spettacolo ‘Tre volte 10’, per ricordare il primo scudetto del 1987 giunto al suo trentennale e, con esso, il suo eroe e artefice. Fu una serata spettacolare, un successo senza pari, cavalcato con ironia e nostalgia, ma anche la consapevolezza di aver scritto la storia. Non solo calcistica, ma di una città intera. Stiamo parlando di quattro anni fa, non della preistoria e Diego quella sera apparve in splendida forma. Come non mai. A pensarlo ora, non più nel mondo dei vivi, non ci si crede. Accolto quella sera, invece, dal calore della sua gente e divertito nel poter esibire quella sua anima da showman che, una volta abbandonato il rettangolo verde, poteva esprimersi su un palcoscenico.

Come quella volta (e ce ne sarebbero state tante, tante altre) che salì sulla pedana allestita al José Amalfitani, il campo di gioco del Velez Sarsfield, per incontrare la regina delle band in concerto: i Queen! Era l’8 marzo 1981, festa delle donne che tanto ha amato (bionde, soprattutto). Apparì in tutta la sua semplicità di ragazzo appena 21enne, poco prima del bis finale con “Another One Bites The Dust”. Indossò la t-shirt con l’Union Jack britannica e Freddie, in cambio, vestì la camiseta albiceleste dell’Argentina. Un anno dopo la guerra alle Falkland-Malvinas avrebbe reso quell’immagine stridente. Ma non divaghiamo e torniamo sul palco del San Carlo…

In prima fila, tutto emozionato, Lorenzo Insigne ascoltava rapito il racconto di Diego con la prima maglia che indossò al suo arrivo in Italia. Era il 5 Luglio 1984 quando emerse dalla pancia del San Paolo per essere travolto da un’ondata d’amore istantaneo. L’amore dei napoletani. Diego scelse Napoli, perché Napoli lo aveva già scelto e a nulla valse l’offerta faraonica di Gaspart per farlo restare a Barcellona: 5 anni di contratto al doppio dello stipendio. El Pibe non sopportava più il presidente Núñez, con cui le liti erano cominciate fin dal primo giorno. Questo e altri aneddoti, in una serata che quel pubblico non dimenticherà mai più.

Nonostante ciò, non è stata quella sera l’ultima vera volta che Maradona ha veramente lasciato Napoli. Perché, finché ha esalato l’ultimo respiro, Diego Armando la sua Napoli non l’ha abbandonata mai. Nemmeno per un istante. L’ha portata dentro di sé come una corazza, elisir energetico per tutto ciò che ha vissuto dopo. Nella sua breve esperienza da allenatore dei Dorados, in Messico, era solito raccontare alla squadra, e ancora con stupore, le sue vicende napoletane, l’amore immenso ricevuto. Racconti che riempivano i lunghi viaggi in pullman di quella modesta squadra di seconda divisione messicana.

Diego ha lasciato Napoli, e non solo, un anno fa esatto: 25 Novembre 2020. In piena seconda ondata Covid, nella città di Tigre (provincia a nord di Buenos Aires), il cuore del D10S del pallone ha smesso di battere e l’anima è volata via in cielo, all’alba dei suoi 60 anni appena compiuti. Portando via con sé la meraviglia e l’amore del mondo intero, compreso quello di Napoli. Un anno fa la città ai piedi del Vesuvio ha perso il suo figlio adottivo, scoprendosi per la prima volta fragile e indifesa. Senza quel punto di riferimento che per 36 anni ha riacceso la speranza in ogni bambino, adulto o anziano nei momenti di difficoltà. Più di San Gennaro o almeno alla pari.

La divinizzazione umana di Diego a Napoli è stata realtà quotidiana, non mito e folklore. In questo mese così triste, dopo un anno così buio, la Società Sportiva Calcio Napoli lo ha ricordato con la sua immagine stampata sulle divise di gara. Ma quel volto è già stampato sui muri e nei cuori di chiunque ami il calcio e abbia amato una figura capace di trascenderlo. Oggi i tempi sono cambiati, è tutto molto più liquido e i calciatori hanno altro a cui pensare. Non ne si fa certo loro una colpa. Di capipopolo come Maradona, però, difficilmente ne vedremo ancora.

Tra le tante iniziative che oggi si susseguiranno per celebrare il mito, emblematica è quella di una delle reti televisive italiane più importanti di trasmettere per intero una partita indimenticabile: no, non la finale di Messico ’86, non Napoli-Fiorentina del 10 Maggio o Stoccarda-Napoli del 1989 e nemmeno Napoli-Lazio del ’90. Bensì quella che consacra maggiormente l’animo generoso di Diego: l’amichevole giocata nel fango e nel freddo di Acerra (20km a nord-est di Napoli) contro la volontà di Ferlaino che temeva infortuni. Una partita sul campo dei dilettanti per raccogliere fondi da destinare a un bambino malato. Per tranquillizzare il presidente, fu lo stesso Maradona a versare di tasca sua i 12 milioni dell’assicurazione. Quel giorno, era il 25 gennaio 1985, il giocatore più forte del mondo si riscaldò in un parcheggio, in mezzo alle macchine e alle pozzanghere. Come un ragazzino povero qualsiasi, senza possibilità. Come lui era stato effettivamente nella sua infanzia a Villa Fiorito.

E non fu mica un’esibizione di plastica, tutt’altro: fu partita vera. Diego non si risparmiò, perché per lui il gioco è sempre stato sacro. Vale di più della cornice in cui viene esposto e va rispettato in ogni sua forma. Così, tutto imbrattato e bagnato, provò volée, dribbling, giocate e segnò un gol alla sua maniera: saltando tutti, portiere compreso. Alla fine la famiglia di quel bambino raccolse i proventi di quella sfida (ben 64 milioni di lire) e poté sostenere quell’operazione delicata in Svizzera. Oggi il bimbo si è fatto adulto, ha 38 anni, si chiama Luca Quarto, è sposato e vive la sua vita grazie a quel gesto caparbio di Maradona, idolo degli ultimi. Anche Ruud Gullit, che di Maradona fu uno dei rivali più agguerriti e importanti, sottolineò una volta in tv lo spirito maradoniano a ‘Che Tempo Che Fa’: “Diego è una brava persona, ci tiene ad essere amato da tutti e forse per questo, a volte, ha pagato caro alcune scelte fatte per buon cuore”. Una statua di Maradona dell’artista Christian Leperino è stata esposta recentemente al MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Un’opera in bronzo che campeggia in uno dei cortili della struttura, celebra le imprese del Pibe de Oro e resterà ad imperitura memoria.

Oggi è un anno che Maradona è morto, un anno che il mondo va avanti senza di lui. Che Napoli è costretta ad andare avanti senza di lui. Sognando uno Scudetto da dedicargli, per chiudere il cerchio emotivo della sua dipartita. Se il Pibe, però, è stato costretto prematuramente ad abbandonare questa vita e quel popolo che tanto ha amato, può star certo che la gente di Napoli non lo abbandonerà mai. Lo cullerà per sempre come un figlio, ne proteggerà il ricordo come il più grande amore della vita. Ed è stato, questo, un anno in cui tutti noi ci siamo sentiti un po’ più soli e tristi, perché Diego Armando Maradona ha alimentato i sogni e le speranze di riscatto del mondo intero. Un anno in cui il calcio ha chiuso il libro di poesie, ci ha messo il punto sopra. E da qui in poi, è tutta un’altra storia.

 

Roberto Tortora
Roberto Tortora
Laureato in Scienze della Comunicazione, a Salerno. Master in Giornalismo IULM, a Milano; Giornalista professionista.

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