Il calcio a 11 maschile ha ancora senso alle Olimpiadi?

-

La fine della fase a gironi del calcio a 11 maschile alle Olimpiadi di Tokyo 2020 è coincisa con alcuni, abbastanza sorprendenti colpi di scena: Francia, Germania e Argentina, normalmente tre “big” di livello di questo sport, hanno già salutato il torneo, concludendo finalmente un’esperienza da dimenticare al più presto. Dovevano essere sulla carta tra le candidate principali alla vittoria, assieme a Spagna e Brasile, e invece si sono dimostrate autentiche delusioni, mai in grado di convincere davvero e di dimostrare di meritare anche soltanto un posto ai quarti di finale.

Un discorso che vale tanto più per la Francia, riuscita a conquistare appena tre punti con un faticosissimo 4-3 rifilato al Sudafrica arrivato ultimo nel girone, ma con un passivo complessiva di ben 11 gol subiti, a cui ha contribuito ovviamente anche l’ultima, umiliante sconfitta subita contro il Giappone per 4-0. Non è andata certo meglio alla Germania, arrivata terza con 4 punti alle spalle del Brasile e della sorpresa Costa d’Avorio, dimostratasi ben più vogliosa e decisa di proseguire il proprio percorso e onorare queste Olimpiadi. Così come ha sorpreso, infine, vedere l’Argentina già eliminata in favore del non certo irresistibile Egitto, seppur solo a causa di una peggior differenza reti.

Tre (dis)avventure unite da un comune fattore: nessuna delle tre Nazionali è sembrata davvero mai convinta di poter fare bene a queste Olimpiadi. Nelle rose di Francia, Germania e Argentina c’è stato spazio sostanzialmente per giovani più o meno sconosciuti, decisi a provare a sfruttare una vetrina in passato sfruttata da diversi futuri campioni (Messi, Neymar, Aguero, Di Maria, Marcelo, Tevez, Rossi, Gabriel Jesus, Gnabry, per citarne solo alcuni degli ultimi decenni), accompagnati da elementi di notevole esperienza alla ricerca di un’ultima scintilla con la propria Nazionale. Ma di talento se ne è visto ben poco, anche perché diversi club, di alcuni paesi in particolare (Francia e Germania su tutti), si sono opposti alla partenza di propri tesserati per Tokyo, con il timore di ritardare la preparazione, o peggio di ritrovarsi gli infortuni, dei giocatori più giovani e talentuosi in rosa a poche settimane dall’avvio della nuova stagione.

Il risultato delle diverse politiche adottate da Federazioni più o meno in pressione sui club e Nazionali è stato evidente: il calcio maschile alle Olimpiadi 2020 si è trasformato in un mix insapore di squadre estremamente ricche di elementi di grande qualità e decise a fare una bella figura e di Nazionali palesemente disinteressate, quasi come se la partecipazione al torneo fosse più un peso che un motivo d’orgoglio.

In questo senso, Spagna e Francia sono i casi emblematici di questi due fronti opposti. Da una parte, le Furie Rosse si sono presentate con una rosa carica di elementi prelevati direttamente dalla squadra scesa in campo agli Europei appena conclusi, la potenziale colonna vertebrale della Nazionale spagnola che verrà: Unai Simon, Garcia, Torres, Pedri, Asensio, Olmo, Oyarzabal. Senza dimenticare altri giocatori destinati a far parlare di sé come Cuccurella, Bryan Gil e Soler. Dall’altra, una Francia trascinata di fatto dal veterano Gignac e composta da un crogiolo di giovani provenienti da club di medio-bassa fascia della Ligue 1. E non che mancasse potenzialmente il talento ai Blues, considerando la possibilità di schierare giocatori già riusciti a imporsi a livello nazionale e internazionale come Camavinga, Saliba, Sarr, Caqueret, Lihadji. Ma il ct Ripoli ha dovuto fare i conti con il “no” dei club di appartenenza, vedendosi così costretto ad affidarsi ad altri elementi di minor spessore. Tutti giocatori che difficilmente vedremo in futuro con la maglia della Nazionale maggiore.

Difficile, insomma, dare torto a Gignac, quasi imbarazzato nelle interviste successive al doloroso poker subito contro il Giappone ieri: “Ci abbiamo provato, abbiamo dato tutto, ma le squadre sono pronte, collettivamente e fisicamente. Non ci sono scuse, ma abbiamo visto oggi una squadra che gioca in casa, che vuole vincere i Giochi e che ha portato un gruppo importante (il Giappone, ndr), così come il Messico. Spero che nel 2024, visto che giocheremo in casa, verrà allestita una squadra in grado di arrivare il più avanti possibile. Boicottare dei Giochi così e mettere in difficoltà il tuo Paese, non è proprio il massimo.”

Per non parlare della situazione della Germania, che a fatica è riuscita a convocare 22 giocatori, come lamentato anche dall’allenatore Stefan Kuntz. Anche in questo caso, la ragione è da ritrovare nella netta opposizione delle società, che non hanno concesso praticamente a nessuno di partire. E quando diciamo nessuno, è davvero nessuno: chiedere al Bayern Monaco, che ha imposto persino al proprio terzo portiere, Hoffmann, di volare in Giappone. Insomma, i tedeschi si sono così ritrovati a poter contare su una rosa qualitativamente limitata e senza troppi elementi di livello, quantomeno se rapportata alle squadre di Spagna e Brasile.
Ne emerge in generale un quadro demotivante, di un torneo che dello spirito di competitività, della passione e della fame di vittoria tipico delle Olimpiadi non ha di fatto niente, o quantomeno non valevole per tutti. Il calcio maschile è di fatto l’unico sport in cui le Nazionali non schierano i propri migliori rappresentanti, anche soltanto a livello giovanile, e questo modello ibrido obiettivamente convince poco. Non è un torneo di prestigio a livello giovanile, perché le Nazionali schierano, o si ritrovano a poter schierare per contingenze esterne, soltanto alcuni dei propri migliori talenti oltre a tre fuori quota alla ricerca di un momento di gloria personale a livello di Nazionale; non è nemmeno più un torneo con un nostalgico fascino basato sul modello di quanto visto fino a Seoul 1988, in cui si convocavano soltanto giocatori che non fossero mai scesi in campo in una fase finale del Mondiale, a prescindere dall’età. È una competizione come tante altre, se non inferiore; di certo meno appetibile per club e giocatori, anche e soprattutto da un punto di vista economico, e che fa mangiare ancora di più le mani ad altre Nazionali rimaste escluse e probabilmente più desiderose di sfruttare l’occasione delle Olimpiadi per mettersi in mostra.
C’è da chiedersi, insomma, quanto sia davvero interessante e competitivo un torneo in cui parte delle Nazionali arriva a schierare quasi la metà di una formazione andata a un passo dalla finale degli Europei e un’altra parte trova a fatica gli elementi per comporre una rosa di ragazzi alle prime armi. È un’esperienza che si trasforma di fatto in un peso, a maggior ragione in un mondo in cui la voce dei club è sempre più potente. Agonisticamente parlando, il calcio maschile diventa uno sport di secondo livello, di cui ben poco si parla e che è tutto sommato noioso da riportare. Niente fraintendimenti: di calcio si scrive e racconta anche fin troppo, persino nel periodo delle Olimpiadi. Ma, a questo punto, sorge un enorme punto di domanda su quale debba essere il futuro del calcio a 11 a livello di Giochi Olimpici e di come si possa renderlo più interessante e davvero sentito, dal punto di vista di atleti e tifosi.
O forse, è anche arrivato il momento di chiedersi se il calcio maschile abbia davvero un futuro nell’ambito delle Olimpiadi. È possibile oggi pensare di affidarsi a validissime alternative, per esempio puntando sui suoi “fratelli” meno al centro dall’attenzione mediatica, eppure potenzialmente non meno avvincenti ed emotivamente sentiti, a maggior ragione in occasione dei Giochi Olimpici: il Beach Soccer e, forse ancora di più, il calcio a 5. Due sport considerati ancora troppo spesso di nicchia, ma che hanno tutti gli elementi per garantire spettacolo e divertimento, ben di più di questa formula ibrida del calcio a 11 che non convince nessuno fino in fondo. Diventerebbe un’occasione in più anche per altri atleti di trovare spazio, far capire al mondo la bellezza di questi due sport e far appassionare i tifosi, che tendono a seguire i propri rappresentanti in quante più discipline possibili. Una vetrina, questa sì, davvero fondamentale per far crescere i movimenti anche a livello nazionale, ma anche per far recuperare quel fascino e voglia di vincere che questo calcio maschile, almeno come formulato attualmente, non sembra più garantire alle Olimpiadi.
Francesco Moria
Francesco Moria
Nato a Monza nel '95, ha tre grandi passioni: Mark Knopfler, la letteratura e il calcio inglese. Sogna di diventare giornalista d'inchiesta, andando a studiare il complesso rapporto tra calcio e politica.

MondoPallone Racconta… Sarri, Mancini e gli allenatori litigiosi

Ormai ha fatto il giro del web e della stampa, non solo in Italia. Suscitando commenti, anche i più disparati, e reazioni contrastanti. Il...
error: Content is protected !!