Super League e nuova Champions, coppe riflesso dei nostri tempi

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Dall’annuncio della nascita di questa nuova e, stavolta è il termine adatto pur essendo spesso abusato, rivoluzionaria Super League, il mondo si è diviso in due: i disgustati e gli entusiasti. Davanti a uno squarcio così netto, a sorpresa rispetto a federazioni e organizzazioni calcistiche internazionali, era inevitabile la polarizzazione, a maggior ragione in un’epoca in cui la tentazione di dividere il mondo in chiaro/scuro è sempre troppo forte. C’è chi parla di morte del calcio e di trionfo dei ricchi, mentre c’è chi vede in questa nuova competizione un’opportunità unica di spettacolo (e il calcio, che ci piaccia o meno, è questo già da tempo). Esiste anche una minoranza attendista, composta da tante correnti: quelli a cui l’idea piace ma la vorrebbero vedere realizzata diversamente, quelli che continuano a pensare che si tratti di una bolla di sapone destinata a scoppiare appena arriveranno gli accordi economici giusti, quelli che ormai sono talmente provati dal cambiamento del calcio degli ultimi anni da non sapere più dove girarsi. Mentre sui social o nelle interviste ognuno dice la sua, tocca ricordare una triste constatazione: in questa guerra tra giganti del calcio mondiale e UEFA, spazio per il parere dei tifosi non c’è.

Non che i tifosi non contino, anzi. Nei comunicati dei club ora conosciuti come “secessionisti” vi è un continuo riferimento al numero di sostenitori delle squadre partecipanti alla nuova Super League e come questo indirettamente si possa tradurre in business. Ma, appunto, i tifosi sono visti per quello che sono: fonti di guadagno. Chi crede ancora nel romanticismo del rapporto tifoso-giocatori, forse dovrebbe evitare di guardare tutte le serie importanti del calcio. I tifosi servono per fare atmosfera, creare il clima giusto, aiutare le casse della società con l’acquisto dei biglietti, ma alla fine anche questo supporto serve più alle logiche di mercato che a quelle del cuore: il calcio senza tifosi è obiettivamente uno spettacolo più triste e, quindi, meno allettante sul piano economico.

La Super League non è mai stato un progetto impossibile da pronosticare. Già nel 2009, Arsene Wenger aveva pronosticato la nascita di una competizione tra giganti nel calcio europeo nel decennio successivo, sperando si basasse più sul merito che sulla ricchezza. E, a vedere le varie dimissioni di queste ore dall’ECA, è evidente il lavoro alle spalle di questa contro proposta alla formulazione della nuova Champions League che l’UEFA presenterà oggi. Si parla già di tanti soldi, utili per riuscire a superare il periodo di difficoltà legato anche all’emergenza Covid-19, che alla fine ha semplicemente fatto saltare un sistema malato già da tempo e ricco di ingiustizie (bilanci gonfiati, debiti per centinaia di milioni di euro, cifre dei cartellini dei calciatori in continua lievitazione). Alla fine, raccogliamo ora i risultati di un processo che andava avanti ai nostri occhi da anni e che, tutto sommato, abbiamo alimentato anche noi come tifosi.

Viene da chiedersi se l’UEFA possa davvero fare la parte del “giusto” tradito da 12 club egoisti. Nell’acceso comunicato rivolto ai membri fondatori della Super League si parla di solidarietà, ma questo sistema ingiusto e contro cui ora è stata realizzata una reazione nasce anche dalle riforme dell’organizzazione guidata da Ceferin. La nuova Champions League, aumentando a 36 le partecipanti e a 10 il numero minimo di partite da giocare, era ispirata dagli stessi motivi della Super League: i soldi. Non abbiamo visto la stessa indignazione quando si è deciso di creare quattro posti fissi per le prime tre Nazioni del ranking, invece di dirottarne una a giocarsi i playoff allo stesso modo delle squadre ritenute di seconda, terza o quarta fascia.

Si punta a creare prodotti più spettacolari, veloci, tanti Bayern Monaco-PSG ripetuti nel corso dell’anno e non solo nel finale di stagione. Super League e nuova Champions League, alla fine, sono riflesso dei nostri tempi e non è un caso che, secondo alcuni sondaggi, l’idea di creare una competizione di sole giganti piacciano particolarmente agli under 40, comprendente due-tre generazioni che hanno vissuto pienamente il boom digitale che ha reso il mondo più piccolo e rapido, in continua evoluzione. Perez, Agnelli e gli altri protagonisti del calcio mondiale sono consapevoli della direzione che sta prendendo il calcio e di che cosa verrà cercato dai futuri consumatori. Restiamo comunque immersi in un mondo che cerca l’immediatezza e lo spettacolo in ogni angolo della nostra vita, permette di illuminare le nostre vite con le luci di star e grandi personaggi pubblici che possono comunicare con tutti in pochi secondi. Sono distanti e vicini allo stesso tempo, di fatto come accade con i grandi calciatori di oggi nelle grandi squadre.

Nessun giudizio morale (chi scrive fa proprie le parole che pronunciò circa vent’anni fa De André nel parlare di presunti giovani senza valori), ma una semplice constatazione di come il calcio stia semplicemente seguendo una strada che è stata costruita nel tempo e che, tutto sommato, si è sempre riusciti a far digerire ai tifosi. Le squadre di calcio sono oggi aziende di livello mondiale, talvolta quotate in Borsa, e devono ragionare per la propria sopravvivenza, anche se questa è stata minata da politiche da loro stessi portate avanti negli ultimi decenni. Il romanticismo non paga economicamente e le fondatrici della Super League (ma vien da dire, in generale, chi è stato alle spalle di tutte le recenti riforme del calcio mondiale) sanno quanto questo sport pesi nelle vite delle persone, rendendo difficili boicottaggi o il far saltare completamente il banco.

Che si chiami Super League o nuova Champions League, è un calcio che riflette i nostri tempi. Se tristi o felici, ognuno è giusto si faccia la sua idea: tra le nostre conoscenze, abbiamo sia entusiasti che scandalizzati. Di sicuro però, senza accorgercene, tutti abbiamo fatto nostro questo nuovo calcio e ne abbiamo permesso la costruzione di una piramide sempre più iniqua e dominata da giganti economici. Abbiamo accettato tutti i cambiamenti che ci hanno proposto, gli spezzatini del campionato, gli aumenti dei salari dei giocatori. Ora che si è capito che si può avere la torta intera, ognuno ragiona con logiche di mercato. E, in questa potenziale guerra civile del calcio, romanticismo e tifosi non avranno voce per davvero.

Francesco Moria
Francesco Moria
Nato a Monza nel '95, ha tre grandi passioni: Mark Knopfler, la letteratura e il calcio inglese. Sogna di diventare giornalista d'inchiesta, andando a studiare il complesso rapporto tra calcio e politica.

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