Juve, arriva ora il difficile: non gettare il bambino assieme all’acqua sporca

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“Se qualcosa potrà andar storto, lo farà”. Con una semplicità e un fatalismo disarmante, la legge di Murphy è spesso nelle piccole disavventure della vita quotidiana chiamata in causa di ciascuno di noi, con un misto di sarcasmo e disappunto. Di recente però questo strampalato teorema sembra avere una simpatia particolare per le cose di casa Juventus: dalla sconfitta di Napoli, all’eliminazione in Champions League con il Porto fino ad arrivare al k.o. con il Benevento, infatti, una componente di “murphysmo” sembra contraddistinguere diverse degli ultimi inattesi rovesci bianconeri.

Andando oltre il tentativo di sdrammatizzare il recente periodo juventino, più nero che bianco, l’ultima domenica di Campionato si è rivelata a tratti grottesca per Cristiano Ronaldo e co.: compassata, spuntata e prevedibile, la compagine guidata da Andrea Pirlo si è infatti arresa a uno stoico Benevento corsaro in Piemonte con il gol di Adolfo Gaich. Inevitabilmente, la sconfitta con la neopromossa compagine campana ha acuito a dismisura il malessere del mondo Juventus per una stagione che incredibilmente (?) si fa sempre più complicata, vedendo ora messa a repentaglio per Madama anche la partecipazione alla prossima Champions League.  Con undici incontri ancora da disputare, comincia un torneo infuocato per la Vecchia Signora che deve trovare la forza di compattarsi verso il raggiungimento di un obiettivo minimo che fino a qualche settimana fa sembrava utopico mettere in discussione.

Una platea abituatasi, di recente, quasi a festeggiare con l’ausilio della matematica gli Scudetti a questo punto della stagione vive con sgomento il momento più critico della gestione Agnelli (perlomeno nella storia recente) ed è chiamata a un compito tanto impervio quanto fondamentale ragionando sul futuro: gettare via l’acqua sporca, ma non anche il bambino.

Il bambino, idealmente, è l’idea maturata nella primavera del 2019 che un cambio di registro sia oramai necessario. Che, pur contraddicendo secoli di storia, vincere non può più essere l’unica cosa che conta. Nell’aprile del 2019 la Juventus di Allegri e Cristiano Ronaldo subì una vera e propria lezione di calcio da parte dell’Ajax di Erik ten Hag che estromise in ordine Real Madrid e Juventus dalla competizione prima di arrendersi al Tottenham a cinque secondi dal raggiungimento della Finale del Wanda Metropolitano. Finale che, quell’anno, vinse il Liverpool di Jürgen Klopp iscrivendosi all’albo d’oro della competizione dopo il Real Madrid; dal successo dell’Inter di Mourinho (2010) vi sono riusciti Barcellona (2011 e 2015), Bayern Monaco (2013 e 2020), Real Madrid (2014, 2016, 2017, 2018), Chelsea (2012) e Liverpool (2019).

Cosa accomuna le Regine d’Europa post Triplete interista? Il fatto che se si esclude l’incredibile epopea del Chelsea di Di Matteo, i successi ora richiamati evidenziano quello che è il trend culturalmente dominante in questo momento storico: trattasi, infatti, di tutte squadre dall’animo prettamente offensivo, contraddistinto dalla volontà di voler sempre e comunque andare in gol e comandare le partite più che di avere un approccio conservativo e sparagnino alle partite. Oltre al fatto, inutile nascondersi, di essere imbottite di giocatori fenomenali. Ma, tornando sulla Juventus, proprio la veloce scorsa all’albo d’oro ci convince ulteriormente che la tante volte menzionata “rivoluzione culturale” è un obbiettivo che i bianconeri devono proporsi per tentare di entrare a far parte di quel novero di club che componga stabilmente l’élite del calcio europeo come da desiderata del club bianconero. Da questo punto di vista, come spesso ricordato su queste pagine, Andrea Pirlo ha dato l’impressione di voler tentare questo innesto pur non riuscendovi nel corso di quest’anno (se non per qualche raro frame) e, quindi, merita di avere la possibilità di lavorare; Roma, d’altronde, non è stata costruita in un giorno.

Mentalità come elemento comune, ma anche tanti giocatori dalla tanta qualità e dai tanti zeri impressi sul cartellino e sulla busta paga tra i Campioni d’Europa citati in precedenza. Inutile nascondersi, per la Juventus è difficile pensare di competere con i club principali del Vecchio Continente in termini di potenza di fuoco economica. Ma tra le altre cose “da tenere” e da incoraggiare in casa Juventus c’è il rinnovamento della rosa inaugurato negli ultimi 12 mesi: la linea verde inaugurata con le ultime campagne acquisti infatti (Chiesa, Kulusevski, Arthur, McKennie, de Ligt, Demiral, etc. etc.) pongono infatti le basi per la rigenerazione di una squadra giunta fisiologicamente in alcuni casi a fine ciclo e i nuovi innesti unitamente ai membri più validi della vecchia guardia (Dybala, di cui va capito il futuro, ma anche Bonucci, Cuadrado, Bentancur, Szczęsny per fare alcuni esempi) possono rappresentare il giusto mix a cui affidare le velleità di rilancio in casa Juventus.

A cosa, invece, sembra essere arrivato il momento di fare a meno? In primis di un’ambizione europea che il campo ha dimostrato essere totalmente fuori luogo in questo momento storico. La Juventus, infatti, da Cardiff in poi ha infatti gradualmente perso posti all’interno dell’élite europea subendo un (inconscio?) ridimensionamento tecnico che ai più è passato inosservato mantenendo quindi, anche per la presenza in squadra di Cristiano Ronaldo, delle velleità di Champions League che a uno sguardo più critico al valore della rosa risultano purtroppo infondate. Mettere da parte l’ossessione Champions League, e focalizzarsi sul percorso di ricostruzione che a tendere dovrà sfociare nel costruire una squadra che sarà nuovamente in grado di dire la propria (anche tramite la tanto decantata rivoluzione culturale) ai massimi livelli del calcio europeo.

Fare a meno, all’interno del sopracitato rinnovamento tecnico, di quei calciatori che nel completare il rinnovamento della rosa sembrano non poter essere così decisivi: da Bernardeschi a Ramsey, da Rabiot ad Alex Sandro passando per Bentancur, sono tanti i profili in casa bianconera su cui è giunto il momento di interrogarsi. In ultimo, importante anche il completamento di crescita professionale di Andrea Pirlo in un ruolo per lui del tutto nuovo: fisiologici e giusti gli errori del tecnico bresciano, che dovrà migliorarsi nella lettura e preparazione delle partite (o alcuni singoli momenti delle stesse) così come in tutti gli altri aspetti della vita professionale dell’allenatore.

Una considerazione a parte, in ultimo, la merita Cristiano Ronaldo. Tecnicamente sarebbe folle discutere il valore del fuoriclasse portoghese e del suo apporto alla causa juventina; meno folle, al contrario, valutare l’atteggiamento del lusitano in alcuni momenti chiave della stagione e, soprattutto, la sostenibilità economica del portoghese per la Juventus. Questo perché, stante anche una carta d’identità che fisiologicamente ha finito e finirà giustamente per rendere meno esplosivo il rendimento del portoghese nelle partite che contano, può in un’ottica di rivoluzione culturale e rinnovamento tecnico indurre il management juventino a scelte dolorose ma doverose nei confronti di CR7; che è destinato (per valore tecnico ed economico) ad avere voce in capitolo importante nella scrittura del proprio futuro e, in ogni caso, dovesse poter far parte anche della Juventus “rinnovata” rappresenterebbe un valore aggiunto dalla clamorosa importanza.

Michael Anthony D'Costa
Michael Anthony D'Costa
Nato a Roma nel 1989, si avvicina al calcio grazie all’arte sciorinata sui campi da Zidane. Nostalgico del “calcio di una volta”, non ama il tiki-taka, i corner corti e il portiere-libero.

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