Da Ibra a Del Piero, da Pirlo a Roberto Carlos. Storie di un Pallone d’Oro meritato, e mai arrivato

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All’una e cinquantacinque minuti, dopo mezzogiorno, del 20 Luglio 2020 la rivista France Football ha annunciato che, per motivi di mancanza di equità, il Pallone d’Oro non verrà assegnato, per la prima volta dal 1956. Effetti collaterali del Coronavirus che ha colpito il mondo intero. All’una e cinquantasei, dall’abitazione di Cristiano Ronaldo a Torino, si sono levate delle grida disumane e i vicini hanno sentito un pesante tonfo, come una caduta sul pavimento… Ovviamente stiamo scherzando, anche se neanche troppo, perché, se ci fate caso, la stagione in bianconero di CR7 ha preso una piega diversa dal giorno successivo a quello in cui Lionel Messi ha ricevuto il suo sesto Pallone d’Oro personale. Sorpassando il portoghese in questo decennale duello tra assi del pallone, che ha fagocitato qualsiasi altro possibile avversario. Nelle prime tredici partite, infatti, Ronaldo aveva realizzato cinque gol, più uno in Champions League contro il Bayer Leverkusen. Dal primo dicembre in poi, cioè quando la pulce blaugrana ha ricevuto il premio, CR7 ha dato un’accelerata degna del miglior Lewis Hamilton (il paragone con la Ferrari oggi, ahinoi, non regge). Venticinque gol in ventuno giornate, ultima la doppietta ai danni della Lazio, più due gol in Coppa Italia. È evidente che, oltre ai trofei di squadra, per Ronaldo in ballo c’è la rincorsa a Messi. Con una carta d’identità che avvantaggia quest’ultimo, lo juventino cerca di chiudere i conti della sua carriera almeno in parità e questa stagione poteva servire allo scopo, visti anche i problemi societari del club catalano. E invece, niente da fare. In ogni caso, Ronaldo può farsene una ragione, ha pur sempre cinque Palloni d’oro in bacheca. Negli ultimi trent’anni, campioni del suo calibro o superiori magari non ne hanno conquistato nemmeno uno, nonostante lo avessero meritato in più d’un’occasione. Lo stesso Ronaldo, il Fenomeno però, è soltanto a quota “2” e la differenza fa impressione. Proviamo, comunque, a tracciare un undici ideale di ministri del Pallone d’oro “senza portafoglio” o, in questo caso, senza trofeo. Considerando Pelè e Maradona fuori classifica sia perché la regola ancora non lo consentiva alle loro epoche sia perché vivono nella stratosfera del pallone. Meriterebbero il Pallone dell’Universo. Concentriamoci sugli ultimi trent’anni.

Scegliamo il modulo, un comodo 4-3-3 di “zemaniana” vocazione. In porta, sicuramente chi più è andato vicino a raccogliere l’eredità di Lev Jašin, unico estremo difensore capace finora di conquistare il titolo, è stato Gianluigi Buffon. Il russo vinse l’Europeo nel 1960, ma per aggiudicarsi il premio di miglior giocatore dell’anno dovette attendere il 1963. All’italiano non sono certo mancati gli allori. Non c’è la Champions League, ovviamente, e le tre finali perse del 2003, 2015 e 2017 fanno ancora male. E nel 2018 è finita in un “bidone dell’immondizia” del Bernabeu. Ci sono, però, ben 9 Scudetti, 5 Coppe Italia, 6 Supercoppe italiane, 1 Coppa UEFA, 1 Ligue 1, 1 Supercoppa di Francia, 1 titolo di Campione d’Europa Under 21 e, chiaramente…. la Coppa del Mondo del 2006. Sotto il cielo di Berlino l’Italia conquistò il suo quarto mondiale, alla fine dell’anno fu Fabio Cannavaro ad essere premiato per quell’impresa e, effettivamente, disputò 7 partite impeccabili. Buffon, però, non fu da meno e, anzi, compì diversi interventi contro Australia, Ucraina, Germania e Francia che valevano ampiamente il riconoscimento. La parata plastica sul colpo di testa di Zidane in finale era da sola meritevole di un premio. Forte tra i pali, coraggioso nelle uscite, perfetto nella gestione del suo fisico a quasi 43 anni, divide con Zoff la palma di miglior estremo difensore azzurro di sempre.

Difensori che meritavano il Pallone d’Oro ne abbiamo? I tifosi del Milan a stento trattengono gli improperi quando vedono nell’albo d’oro il nome di Matthias Sammer nel 1996 e non quelli di Franco Baresi e Paolo Maldini. Due tra i migliori calciatori, non solo difensori, della storia del calcio italiano e mondiale. Baresi ha cominciato con lo Scudetto della stella nel 1979 e da campione del mondo 1982, pur senza giocare, per poi inanellare una carriera al Milan a dir poco stratosferica. Il Milan degli Invincibili di Silvio Berlusconi ha portato in dote altri cinque titoli italiani, tre Coppe dei Campioni/Champions League, due Coppe Intercontinentali e tre Supercoppe europee, prima che Franco si ritirasse nel 1997. La sua maglia n.6 è stata ritirata, a dimostrazione della sua grandezza. E, se vogliamo, almeno in termini di palmarès, Paolo Maldini è stato ancora più grande. Capace di ricoprire tutti i ruoli della difesa, dotato di un’eleganza e di una classe innata, ha colto il testimone di Baresi portando il Milan ad altri trionfi, compatibili con la ridotta forza economica dei rossoneri ed il contemporaneo aumentare del livello di competitività del calcio italiano ed europeo. Sono arrivate altre due Champions League e quella di Manchester del 2003 contro la Juventus ha avuto il sapore particolare di un figlio che, con la maglia del Diavolo, ha sollevato la coppa dalle grandi orecchie al cielo, da capitano, quarant’anni dopo che il padre aveva compiuto il medesimo gesto a Wembley. È andato vicino al successo in Nazionale più volte, ma i rigori gli sono stati fatali per tutti gli anni ’90 e l’arbitro Byron Moreno ha messo la pietra tombale su ogni speranza nel 2002. Non si fosse ritirato, nel 2006 ci sarebbe stato anche lui e forse, anzi senza forse, lo avrebbe stra-meritato.

Altri nomi di difensori meritevoli? Roberto Carlos è stato il terzino sinistro più letale degli ultimi trent’anni. Nessuno ha dimenticato la sua “chicane” su punizione contro la Francia nel mini-torneo del 1997 e, successivamente a quella, ne sono arrivate tantissime altre micidiali. Dotato di un piede sinistro divino e di una velocità pazzesca, è stato l’idolo di tutti i maniaci di FIFA e PES alla Playstation e affini. Bastava schierarlo ala sinistra e la partita vinta era assicurata. Porta in dote 3 Champions League, 4 Liga Spagnola, 2 Coppe Intercontinentali e 1 Coppa del Mondo con il Brasile nel 2002. Aggiungiamo, per completare il pacchetto arretrato, un altro madridista, cioè Sergio Ramos. Non starà simpatico a molti, ma segna come pochi, è dotato di una tecnica da fantasista e ha vinto in carriera un palazzo di trofei. La decìma del Real porta la sua firma, il colpo di testa nei minuti di recupero contro i cugini rivali dell’Atletico è stata la scialuppa di salvataggio che ha condotto al trionfo nei supplementari di Lisbona. Quattro Champions League, cinque Liga, due europei e un mondiale, vinti di fila dal 2008 al 2012. Soltanto quest’anno ha segnato undici gol nel campionato spagnolo appena vinto, più due in Champions. In totale, ha messo a referto la bellezza di 97 gol in carriera con la maglia del Real Madrid ed ha toccato quota 100 compresi i 3 sigilli quando era al Siviglia. 72 sono le reti segnate soltanto nella Liga in 493 presenze, numeri da centravanti. Menzione speciale per Andy Brehme, altro terzino dai piedi di fantasia che ha deciso con un rigore la finale mondiale del 1990, vinto con l’Inter lo Scudetto dei record e rappresentato il prototipo dell’esterno di fascia moderno molto prima che il calcio acquisisse la velocità che ha oggi.

A centrocampo il discorso è semplicissimo, ci sono tre professori, tre accademici del calcio che in carriera avrebbero meritato non soltanto il Pallone d’Oro, ma addirittura un Premio Nobel per il football (se esistesse). Stiamo parlando degli spagnoli Xavi e Iniesta e del nostro Andrea Pirlo. I primi due hanno fatto la fortuna del Barcellona di Guardiola e della Spagna di Aragonès prima e Del Bosque poi. Hanno disegnato teoremi di pitagora e tiki taka sui campi di tutto il mondo, don Andrès ha deciso la finale di Coppa del Mondo 2010 con una splendida volèe contro l’Olanda a Johannesburg ed è stato il principale partener e innesco dei piani diabolici di Leo Messi. O c’era lui o c’era Iniesta, i loro duetti nello stretto al limite dell’area raramente non si tramutavano in occasioni da gol. Un tocco di palla divino per entrambi, Xavier Hernández Creus era la mente che scriveva lo spartito, 213 gli assist partiti dal suo piede in carriera e presto potrebbe ritrovarsi sulla panchina blaugrana, per trasmettere quelle idee ai registi del futuro.

Cosa dire, invece, del nostro Andrea Pirlo? Accostato per alcune caratteristiche al grande Gianni Rivera, ha cominciato la carriera da trequartista a 16 anni e 2 giorni nel Brescia. Ha studiato l’arte del calcio di punizione da Roberto Baggio e Juninho Pernambucano, diventando poi docente a sua volta. Con Mazzone, la vera svolta: arretra il suo raggio d’azione in cabina di regia, studia il ruolo dal compagno di squadra Guardiola e ricama calcio per la genialità del Divin Codino. Uno dei gol più belli della storia della Serie A porta la loro firma: 1 Aprile 2001, Stadio Delle Alpi di Torino. Andrea lancia con precisione astronomica, Baggio aggancia al volo, supera Van Der Sar e segna. Applausi a scena aperta. È al Milan che Pirlo consacra la sua arte da un altro suo papà calcistico, Carlo Ancelotti. Insieme a Seedorf, Kakà e al guerriero Gattuso compone un centrocampo sontuoso, capace di vincere 2 Champions League (più una finale persa, che era già vinta: vedi Istanbul 2005), 2 Scudetti, 1 Coppa Italia, 1 Mondiale per Club, 2 Supercoppe europee, 1 Supercoppa italiana. In Nazionale, è tra i migliori interpreti del trionfo mondiale del 2006, inaugurato proprio da un suo gol contro il Ghana e cesellato da uno dei cinque perfetti rigori calciati nella notte di Berlino. Più di tutti, però, resterà impresso il cucchiaio irriverente all’Europeo del 2012, nei quarti di finale contro l’Inghilterra ai danni del povero Hart. Sotto nel punteggio, il suo gol diede la carica giusta agli azzurri ed il nervosismo fatale ai britannici, per portare a casa nostra il risultato. Con la Juve, nella parte finale di carriera, si è regalato altri 5 Scudetti e, purtroppo per lui, altre due finali di Champions League perse. Con 73 gol fatti e 120 assist regalati, è di fatto il miglior regista che il calcio italiano abbia mai avuto finora.

Passiamo, infine, all’attacco e qui ci si può sbizzarrire. Di sicuro, ce ne sono due che, a cavallo tra gli anni Novanta e i Duemila avrebbero meritato il Pallone d’Oro più degli altri: questi corrispondono ai nomi di Raùl Gonzalez Blanco e Alessandro Del Piero. Il numero 7 madridista non ha avuto particolare fortuna con la selecciòn iberica, ma con la camiseta blanca ha scritto la storia. Tre le Champions League conquistate, la firma in una delle finali, quella del 2002 a Glasgow contro il Bayer Leverkusen in cui aprì proprio lui le marcature. Fu poi Zidane, con un capolavoro al volo, a sugellare il trionfo. Per sei volte è stato Campione di Spagna, segnando 229 gol nella Liga e ben 385 in carriera e detenendo a lungo il record di gol nelle competizioni europee (77), prima di essere scavalcato ampiamente dai mostri sacri Messi e Ronaldo. Gran qualità nei piedi, velocità mentale e rapidità d’esecuzione fisica ne hanno fatto uno degli attaccanti più mortiferi di un ventennio di Liga spagnola.

Alessandro Del Piero, beh… è Alessandro Del Piero. Ha raccolto il testimone di Roberto Baggio alla Juventus, ne ha dovuto condividere in azzurro una fastidiosa staffetta polemica che tanto piace alla stampa nostrana e, da subito, ha fatto vedere di che pasta era fatto. La Champions League conquistata a Roma dalla Juventus nel 1996 porta la sua firma, anche se non in finale. Nel torneo di quell’annata, però, nacque la fatidica “punizione alla Del Piero”, che seminò il terrore di mezza Europa: da Dortmund a Glasgow, passando per Bucarest. Ne hanno fatto le spese, ovviamente, anche la maggior parte delle squadre del nostro campionato, vinto da Pinturicchio in ben sei occasioni. Nel 2006, lui e Grosso ci hanno fatto “chiudere le valigie e andare a Berlino”, castigando al Signal Iduna Park la grande Germania padrona di casa e ci hanno consegnato la coppa, segnando entrambi un rigore nella decisiva lotteria finale contro la Francia. La standing ovation del Bernabeu a seguito di una sua doppietta al Real Madrid nel 2008, poi, è il certificato europeo d’eccellenza di Alex. Dieci anni prima, con Pippo Inzaghi aveva disputato un’annata fantastica in bianconero, intinta in uno Scudetto e che poteva essere arricchita da un’altra Champions League, se un gol in fuorigioco del madridista Mijatovic non gliel’avesse strappata. 778 presenze, 316 gol, 102 assist sono il suo lascito, pesante.

Per concludere, chi scegliamo come centravanti? Il più forte di tutti è stato Romario, lo avrebbe vinto il Pallone d’Oro nel 1994 se il trofeo fosse stato appannaggio anche dei sudamericani. In un mondiale che vide un Brasile non brillante, lui mise lo zampino in ben cinque occasioni. Dotato di una velocità supersonica e di una tecnica fuori dal comune, è stato uno dei giocatori che più ha fatto ammattire una leggenda come Paolo Maldini che ancora ricorda il gol subito dal brasiliano quando vestiva la maglia del PSV. Prelevato da Cruijff nel suo “drem team” catalano, ha composto con il bulgaro Stoichkov una coppia d’attacco da incubo per qualsiasi difesa. In tempi più recenti, l’inglese Wayne Rooney avrebbe meritato una chance, visto anche che il suo connazionale Michael Owen è riuscito nell’impresa nel 2001, a discapito proprio di Raùl. Compatto fisicamente, armonioso tecnicamente, spregiudicato in area di rigore, Rooney ha segnato una caterva di gol capolavoro. Uno su tutti, la sforbiciata da figurine Panini nel derby di Manchester contro il City nel 2011. Pesano, nella sua carriera, le due finali di Champions perse tra il 2009 e il 2011 contro l’insuperabile Barcelona di Messi. Ne avesse portata un’altra a casa, forse avrebbe potuto ambire al Pallone d’Oro. Cinque titoli di Premier League, 1 FA Cup e 1 Champions League sono, comunque, un bottino niente male.

E che dire di Zlatan Ibrahimovic? Probabilmente, quando taglierò il traguardo dei 50 anni, lui sarà ancora lì a giocare. Un’autentica macchina da calcio, un serial killer di Scudetti (11 vinti tra Olanda, Italia, Spagna, Francia e Inghilterra). Uno spavaldo guascone dal cuore tenero che, un po’ per far ridere, un po’ per terrorizzare gli avversari, nell’ultimo mese ha detto: “Peccato per Milan, se ero qua da primo giorno vincevamo Scudetto”. Un po’ come disse nel 2010, quando arrivò a fine mercato e venne presentato in pompa magna al Meazza: “Sono venuto qua per vincere e questo anno vinciamo tutto”. Capace di mandare a quel paese Messi, in carriera ha segnato e fatto segnare e raramente i suoi gol non sono stati da cineteca. Mancini gli deve uno scudetto, quello del 2008 che stava sfuggendo di mano a Parma all’ultima giornata. Poi entra Zlatan… e la storia cambia con una doppietta tricolore! Per scherzo del destino, ha inseguito una vita la Champions League, ma gli è sempre scappata di mano ed è forse il motivo principale per cui non lo troviamo nell’albo iridato del Balon d’Or. L’Europa League conquistata con il Manchester United di Mourinho non basta. Certo è che la rovesciata da metà campo e spalle alla porta con la Svezia contro l’Inghilterra è un fotogramma indelebile, ma anche le acrobazie con l’Ajax, i colpi di tacco nerazzurri, le galoppate bianconere, i colpi di forza milanisti, le sviolinate parigine, gli shots on target con i Red Devils e anche los goles blaugrana difficilmente verranno dimenticati nell’ultimo ventennio di calcio. Ha vinto meno di altri a livello europeo, ma, in quanto a talento, è secondo a pochissimi.

Se parliamo di centravanti puri, però, non possiamo evitare di nominare anche Robert Lewandowski, un autentico demolitore di porte da calcio. Destro, sinistro, testa, di potenza, di classe, in acrobazia: segna in tutti i modi il polacco. Nella classifica dei goleador europei ha superato Filippo Inzaghi ed è a 71 gol, a -6 dal già citato Raùl. Sta per vincere la Scarpa d’Oro, con 51 centri stagionali e per buona pace di Ciro Immobile, che ha ancora a disposizione quattro cartucce (partite) da sparare. Ha sollevato con le sue grandi braccia già 8 Meisterschale e insegue quella Champions League che darebbe un coronamento alla sua prolifica carriera di bomber.

Menzione finale per Paulo Futre, che nel 1987 compì l’impresa di portare il Porto per la prima volta sul trono d’Europa ed aveva tutte le carte in regola per vincere anche il trofeo individuale. I maligni (o i ben informati, chissà), però, sussurrano ancora oggi che Silvio Berlusconi fece molte pressioni affinchè il titolo lo vincesse Rudd Gullit, astro nascente del Milan degli Invincibili, “cervo che esce di foresta” come raramente abbiamo visto fare ad altri nella storia del calcio.
Sappiamo che ne stiamo eludendo tanti, ma… volendo dare un undici definitivo, diremmo: Buffon; Sergio Ramos, Baresi, Maldini, Roberto Carlos; Xavi, Pirlo, Iniesta; Del Piero, Romario, Raùl. In panchina: Casillas; Brehme, Nesta; Giggs, Seedorf; Lewandowski, Rooney, Ibrahimovic. La squadra dei “non-Palloni d’Oro”.

Roberto Tortora
Roberto Tortora
Laureato in Scienze della Comunicazione, a Salerno. Master in Giornalismo IULM, a Milano; Giornalista professionista.

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