E ora, chi ha il coraggio di mandarlo via?

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Sono passati circa nove mesi dal giorno in cui, esonerato Giampaolo, il Milan ha affidato la propria panchina a Stefano Pioli. #PioliOut era l’hashtag più in voga in quei giorni, ce lo ricordiamo bene: la scelta della dirigenza rossonera aveva destato perplessità in tutta la critica, sottoscritto compreso. Pur detestando la forma di protesta scelta da molti (il già citato #PioliOut, irrispettoso e maleducato nei confronti di un professionista che doveva ancora iniziare a lavorare), non ero per nulla convinto di questa scelta.

A quattro giornate dalla fine del campionato, seppur con l’obiettivo quarto posto già abbandonato da tempo, inizia a essere tempo di bilanci, e quello riguardante l’allenatore del Milan è da considerarsi molto positivo. Un cambio di rotta rispetto agli ultimi anni si era già visto, sin dall’inizio: nei primi mesi i rossoneri stavano iniziando ad assimilare il credo del nuovo mister, con prestazioni discrete ma risultati alterni. Da gennaio in poi, il Milan ha continuato la propria trasformazione, con alcuni volti nuovi: su tutti Ibra, ma anche Kjær e Rebić, quest’ultimo quasi mai utilizzato nel girone d’andata. Il gioco del Milan era in continuo miglioramento, offuscato però dai continui black-out che finivano per decidere, in negativo, le partite.

Non c’è paragone, però, tra l’ultimo Milan visto a San Siro pre-lockdown (sconfitta con il Genoa) e ciò che stiamo ammirando ora: 6 successi e 2 pareggi (affrontando, tra le altre, Roma, Lazio, Juventus e Napoli), 25 gol fatti in 8 partite e prestazioni da grande squadra. Cosa abbia fatto di magico Pioli in questa ripartenza del campionato non lo possiamo sapere, dunque ci limitiamo a pensare che, con il tempo, il lavoro di un bravo allenatore dà i suoi frutti. Se la squadra dimostra carattere, personalità e maturità, se il gioco risulta fluido e a tratti spettacolare, se ogni singolo ha migliorato nettamente le proprie prestazioni, il merito non può che essere suo. Çalhanoğlu, Kessié, Bennacer, Rebić, Kjær, Castillejo, Saelemaekers e chi più ne ha, più ne metta: Pioli ha avuto il coraggio di dare a ognuno di loro una possibilità e quasi tutti hanno elevato enormemente il loro apporto alla causa. Ora il Milan è una squadra forte, compatta ed equilibrata, potente a livello fisico e abile nel fraseggio. I rossoneri sono sbocciati proprio nel momento in cui il loro allenatore è stato ufficiosamente messo alla porta per quanto riguarda la prossima stagione.

E questa è la nota stonata in un periodo eccellente: il Milan sembra finalmente sulla strada della rinascita, con un’ossatura giovane e di grande prospettiva, ma intanto la proprietà prepara l’ennesimo ribaltone. Come tutti sanno, Maldini e Pioli sono destinati a salutare, con Rangnick pronto a subentrare e a imporre la propria legge. In questo momento sembra davvero una follia: sollevare dall’incarico Pioli nel momento in cui sta dimostrando di valere tanto, sostituendolo con un personaggio intrigante ma con ideali poco malleabili, potrebbe portare una forte ondata di malcontento all’interno dello spogliatoio. Un ambiente che dimostra di essere unito e di poter finalmente remare con grande forza nella stessa direzione non andrebbe sconvolto; ecco perché potrebbe prendere forma l’idea di avere Pioli in panchina anche ai nastri di partenza del prossimo campionato, con Rangnick dirigente, pronto a subentrare in caso di problemi. L’allenatore italiano avrebbe l’opportunità che si è guadagnato e il tedesco non rischierebbe di bruciare subito la sua immagine. Ve lo immaginate un Milan con Rangnick in panchina che stecca le prime quattro-cinque partite del campionato? Lo sconforto si impadronirebbe di tutto l’ambiente, e probabilmente assisteremmo a un nuovo hashtag, #PioliComeBack.

Occorre però anche ricordare che non è tutto oro ciò che luccica, quindi è necessario prendere in considerazione altri fattori nel giudicare il Milan dell’ultimo mese. I rossoneri sembrano fisicamente dominanti contro ogni avversario, quindi i risultati positivi potrebbero essere dovuti a una preparazione fisica milgiore rispetto alle altre squadre; l’assenza di pubblico, per assurdo, potrebbe essere un elemento che ha giocato in favore del Milan: molti giocatori, tra le fila dei rossoneri, hanno dimostrato in questi anni di patire il pubblico di San Siro, non riuscendo a reagire ai primi segnali di malumore dalle gradinate; liberi da questo fardello, tali calciatori potrebbero aver reso al di sopra della loro media proprio perché liberi mentalmente; analizzando la carriera di Pioli negli ultimi anni, poi, si può notare come abbia fatto sempre molto bene all’inizio di ogni avvenutura, per poi perdersi cammin facendo: è successo con la Lazio, con l’Inter e anche con la Fiorentina. Infine, è Pioli ad aver infuso la giusta mentalità al gruppo o è stato l’arrivo di Ibra ad aumentare la consapevolezza nei propri mezzi di molti ragazzi? Zlatan, lo abbiamo visto, è un allenatore in campo quando gioca e una sorta di ingombrante vice quando è in panchina. Sono molte le incognite che non ci permettono di captare limpidamente quale sia la reale dimensione di questo “nuovo Milan”, potrebbe trattarsi dell’inizio di un ciclo importante come un clamoroso bluff. Di conseguenza, anche se Gazidis dovesse scegliere di salutare Pioli e andare all in su Rangnick, la scelta non sarebbe da considerarsi completamente insensata.

A Stefano Pioli andrà comunque l’onore delle armi per essersi dimostrato un uomo tutto d’un pezzo, oltre che un abile allenatore. La sua educazione, il suo equilibrio e la sua determinazione non sono passati inosservati, soprattutto in un periodo in cui la stampa lo ha sempre dato per silurato a fine campionato. Le sue intuizioni di campo, poi, sono sotto gli occhi di tutti: Kessié e Bennacer, una volta educati tatticamente, sono diventati due centrocampisti di livello assoluto, Çalhanoğlu un trequartista capace di segnare e far segnare, Rebić un cecchino e lo stesso Theo Hernández sembra molto più maturo nel suo modo di giocare. Pioli ha saputo creare un legame con Ibra, facendo passare in sordina le sfuriate di Zlatan nelle partite in cui è stato cambiato. Dovesse vincere le ultime quattro partite e centrare il quinto posto, per la dirigenza rossonera sarebbe davvero difficile non riconfermarlo. Sicuramente, dopo questa stagione, non rimarrà senza lavoro: la lista di pretendenti sarebbe sicuramente lunga, anche se difficilmente potrebbe accasarsi in una società dal blasone paragonabile a quello del Milan.

Stefano Tomat
Stefano Tomat
Nasce nel 1987 a Udine, gioca a calcio da quando ha 6 anni. Laureato in Relazioni Pubbliche e Comunicazione Integrata per le Imprese e le Organizzazioni.

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