Turkmenistan, l’ennesima dittatura che “cancella” il Coronavirus: torna il calcio, pure a porte aperte

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Più passa il tempo, più un’inquietante equazione comincia sempre più a prendere forma, creando un caso dietro l’altro: nei Paesi dove esistono dittature feroci e terribilmente oppressive di gran parte dei diritti umani, il Coronavirus non sembra esistere e lo sport può continuare indisturbato. O anche quando si ritiene che esista, nella propria popolazione non vengono registrati casi ufficiali, impedendo quindi di avere una chiara e reale mappa di diffusione del virus. Una storia che avevamo già visto in Bielorussia e in Tagikistan e che ora si presenta sempre in Asia Centrale, in un altro stato ex sovietico: in Turkmenistan.

Nei numeri riportati ufficialmente, infatti, la Repubblica presidenziale guidata dal 2006 in maniera autoritaria da Gurbanguly Berdimuhamedow (anche conosciuto in patria come Arkadag, “Protettore) non fa emergere alcun caso, sebbene confini con Iran, Uzbekistan, Kazakistan e Afghanistan, tutte toccate dal virus anche con statistiche molto importanti (solo in Iran risultano circa 500 mila casi, tra i più alti al mondo). È un Paese, però, in cui sono state adottate recentemente misure politiche e sanitarie contrastanti, che fanno emergere le vere intenzioni del governo: evitare lo scoppio di una pandemia che avrebbe effetti devastanti sulla fragile condizione sanitaria della popolazione, ma mostrando forti dal punto di vista politico agli occhi esterni.

In Turkmenistan sono emersi così enormi paradossi a livello sociale. In pubblico è proibito indossare maschere o altri mezzi protettivi, tanto da essere punibili persino con l’arresto, mentre sui potenziali casi di infettati arrivati negli ospedali o messi in quarantena viene mantenuto il massimo riserbo, senza far trasparire particolari notizie. Eppure, nonostante non sia stata mai dichiarata una vera e propria quarantena nazionale come accaduto in molti altri Paesi, Berdimuhamedow ha comunque adottato nell’ultimo periodo diverse misure per garantire la distanza sociale: ristoranti, bar, centri di intrattenimento sono stati chiusi, così come i voli e il trasporto ferroviario, mentre sulle strade sono stati installati dei punti di controllo tra le regioni.

Alle famiglie, tra l’altro, il leader turkmeno ha ordinato di disinfettare le proprie case con la Yuzarlik, una pianta perenne che dovrebbe uccidere il virus: una richiesta relativamente sorprendente per un presidente che ha scritto 11 libri sulle piante medicinali. Eppure, per le poche voci che riescono a svincolarsi dal regime nel parlare del proprio Paese, la situazione è tutt’altro che divertente: il sistema sanitario turkmeno è drammaticamente fragile, assolutamente incapace di trattare e contenere un’eventuale esplosione di una pandemia, il tasso di mortalità infantile e materno è elevatissimo, le statistiche mediche su alcune malattie come l’HIV sono nascoste o manipolate e risulta (secondo il Global Tuberculosis Report del 2019, preparato dall’European Centre for Disease Prevention and Control e l’OMS) tra i Paesi con il maggior numero di morti per tubercolosi tra Europa e Asia centrale.

Del prodotto interno lordo, soltanto il 5/6% viene utilizzato per investirlo nella sanità, anche perché generalmente i fondi vengono utilizzati per la costruzione di immensi palazzi e monumenti nella capitale e nei centri più importanti del Paese per mostrare una finta ricchezza all’esterno, senza invece reclutare personale medico qualificato. Ma, in tutto questo, che ne è stato del calcio?

Dopo appena tre giornate di campionato, in realtà, la stagione era stata interrotta anche in Turkmenistan, con l’ultima gara registrata che risaliva al 20 marzo. La federcalcio turkmena aveva infatti citato le raccomandazioni del Ministro della Salute e dell’OMS per prevenire eventuali diffusioni, decidendo di sospendere tutto almeno per un certo periodo. Oggi, però, la Ýokary Liga è ripartita regolarmente, persino con gli stadi a porte aperte, con la convinzione che il Covid-19 non abbia colpito nessuno: nello stadio da 20mila posti della capitale Ashgabat, sono state 300 le persone presenti per assistere a una sfida di alta classifica tra i campioni dell’anno scorso dell’Altyn Asyr e gli attuali capolisti del Kopetdag.

Nessuno portava la mascherina o qualsiasi altra protezione, mentre le persone intervistate da altri media internazionali si sono limitate a fare affermazioni deliranti, tipiche di un Paese in cui la libertà d’espressione è pura utopia e che risulta come il peggior Paese al mondo per la libertà di stampa, dietro persino alla Corea del Nord. “Lo sport uccide tutti i virus! Quando la tua squadra del cuore vince, aumenta la tua immunità.”

Domani si giocheranno le altre tre gare della massima serie, composta di per sé da soltanto 8 società. Il calcio non è nemmeno lo sport nazionale, visto che la domenica i principali canali sportivi preferiscono mostrare le partite di pallamano e lo stesso Berdimuhamedow non è un particolare fan. Ma anche questa può diventare una dimostrazione della presunta solidità e immunità del Paese, oltre a un’occasione per attirare l’attenzione dei media occidentali nel trasmettere e raccontare le partite. Come accaduto in Bielorussia e Tagikistan, d’altro canto, e di questo anche i nostri media hanno un’enorme, drammatica responsabilità nel fare pubblicità a un mondo che non è certo come riesce a mettersi in mostra.

Francesco Moria
Francesco Moria
Nato a Monza nel '95, ha tre grandi passioni: Mark Knopfler, la letteratura e il calcio inglese. Sogna di diventare giornalista d'inchiesta, andando a studiare il complesso rapporto tra calcio e politica.

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