Gattuso, un’uscita a testa alta

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Finisce dopo 18 mesi l’avventura di Gennaro Ivan Gattuso sulla panchina del Milan. Il tecnico calabrese ha deciso di dimettersi, rinunciando a ben due anni di stipendio: un gesto nobile, non da tutti, inusuale nel calcio d’oggi, che rende onore a un uomo di grande spessore. “La mia storia con il Milan non potrà mai essere una questione di soldi”: questa la frase rilasciata da Gattuso che, una volta in più, dimostra grande attaccamento al mondo rossonero e si conferma idolo dei suoi tifosi.

I motivi dell’addio sembrano essere due: il primo è l’eccessivo stress cui si è sentito sottoposto l’allenatore, catapultato dalla primavera alla guida di una squadra allo sbando, nel bel mezzo di un passaggio di testimone in società. Gattuso più di ogni altro ha sentito la pressione dell’ambiente, la responsabilità di non deludere un popolo già frustrato dalle ultime deludenti stagioni e che non vuole rassegnarsi a una vita da seconda fascia. In secondo luogo non c’è stata intesa con Gazidis sul progetto del Milan nell’immediato futuro: il tecnico volevo giocatori esperti che potessero aiutare i giovani a crescere, mentre il dirigente sudafricano sembra voler intraprendere totalmente la linea verde, puntando su talenti non ancora affermati da rivendere una volta valorizzati, per sistemare i bilanci della società.

In questo contesto è normale che Gattuso non abbia più accettato di metterci la faccia: lo ha fatto a oltranza per un anno e mezzo caricandosi sulle spalle tutti i problemi, prendendosi sempre tutte le responsabilità nei momenti bui ed elogiando i giocatori nei periodi in cui le cose andavano bene. Restare alla guida di un Milan ridimensionato negli obiettivi e nel valore della rosa avrebbe messo a rischio, alla lunga, il suo fantastico rapporto con tutto il mondo rossonero. Meglio farsi da parte ora, dunque, con la coscienza pulita e a testa alta: Gattuso ha raggiunto i migliori risultati delle ultime sei stagioni, ha lavorato duramente e chiuso il campionato in modo dignitoso, sfiorando una qualificazione in Champions League che forse avrebbe cambiato il futuro suo e della squadra.

Gattuso esce dunque rafforzato da quel tritacarne per ex giocatori che è diventata negli ultimi anni la panchina del Milan: il suo valore assoluto come allenatore è stato ampiamente messo in discussione da una grossa fetta della tifoseria ma l’uomo ha confermato il suo status di leggenda rossonera. Il rammarico rimane quello di non aver mai visto una squadra a sua immagine e somiglianza, che era ciò che in molti si attendevano: Gattuso ha voluto dissociare totalmente la sua figura di allenatore da quella del Gattuso giocatore, sposando un’idea di calcio in cui il possesso palla e la pazienza prevalgono su furore agonistico e ricerca della verticalità. L’impressione è che Ringhio forse avrebbe fatto meglio a puntare sui tratti predominanti della sua personalità, esaltando le sue doti più riconosciute, piuttosto che standardizzarsi all’allenatore medio contemporaneo.

Qualche sfuriata plateale, a bordo campo come in conferenza stampa, avrebbe forse risvegliato un gruppo molto spesso vittima dell’apatia. Gattuso non è riuscito a trasferire la sua enorme personalità a una squadra che ne aveva bisogno: gli occhi della tigre si sono visti raramente nei giocatori rossoneri, incapaci di andare a sbranare gli avversari nei momenti topici della stagione, quando le dirette concorrenti stavano agonizzando e si doveva infliggere loro il colpo di grazia. Fosse arrivata la qualificazione in Champions League grazie ai quattro successi inanellati a fine campionato, forse Gattuso sarebbe rimasto: la gratificazione avrebbe dato un colpo di spugna allo stress patito in questi mesi e il futuro, roseo in questo inesistente mondo parallelo che stiamo descrivendo, sarebbe potuto essere un’occasione per crescere insieme, squadra, allenatore e società.

Così non è stato e Gattuso non ha le forze mentali per prepararsi a una stagione che si preannuncia ancor più complicata di quella appena terminata. La sua mancanza di fiducia nel progetto di Gazidis non fa vivere sonni tranquilli agli appassionati del diavolo, destabilizzati dall’idea di un Milan in stile Arsenal, fucina di talenti da rivendere al miglior offerente: una squadra, come già detto, di seconda fascia. Dalla scelta del nuovo tecnico si potrà già capire qualcosa sulle reali ambizioni del Milan il prossimo anno e a campagna acquisti terminata si avrà il quadro completo.

È vero Gattuso, dicono che sei terrone, brutto, nero e scarso, ma è proprio così che hai conquistato la stima degli appassionati di calcio non solo milanisti ma di tutta Italia, come pochi giocatori legati fortemente una maglia riescono a fare (certo, il successo in Germania nel 2006 ha aiutato in questo senso). Al calcio italiano serve gente così, onesta con i propri giocatori, leale con gli avversari e rispettosa nei confronti degli arbitri (in tutti questi mesi mai una lamentela nei confronti dell’operato dei direttori di gara). Unendo questi valori alla carica agonistica che aveva da giocatore, Gattuso farà sicuramente ancora parlare di sé.

Stefano Tomat
Stefano Tomat
Nasce nel 1987 a Udine, gioca a calcio da quando ha 6 anni. Laureato in Relazioni Pubbliche e Comunicazione Integrata per le Imprese e le Organizzazioni.

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