Tifare “contro” è diventata una crociata avariata

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Il calcio degli anni dieci del duemila è decisamente cambiato, uno sport in continua evoluzione con alcuni spunti presi dal passato e altri completamente innovativi. Ma è cambiato anche il modo di seguirlo con un’offerta capillare per non perdersi alcun match dei professionisti, dalla Serie A alla C e alcune gare di Serie D.

Beati i campanili che portano al tifo e alle sane rivalità, questo sport si fonda proprio sulla competizione tra le tifoserie, spesso dettate da motivazioni geografiche o semplicemente da antagonismo per la conquista di obiettivi e vittorie stagionali. Non saremo certo noi a puntare il dito contro questo aspetto che poi non è altro che il fattore principale che alimenta il seguito e l’effetto domino che viene da esso scaturito, in ordine di business generico che non andiamo qui ad approfondire.

Questa sana rivalità, però, sta probabilmente prendendo una piega deviante, alimentata da chi ha capito di poterne trarre vantaggio. Negli ultimi dieci anni, come lo si fa per diversi ambiti nella sfera antropologica e in quella sociologica, c’è bisogno di far confluire il discorso nella variabile impazzita del social network. Questi, con la possibilità di pubblicare in pochi secondi uno stato d’animo, sono diventati un’arma capace di far scaturire infinite e inutili polemiche e che hanno acuito ancor di più le distanze tra le tante tifoserie.

Dalle fake news a replay catturati da prospettive ingannevoli, da fermo immagini spiazzanti all’odio misto a razzismo e disprezzo. Tutto questo non fa altro che avere l’effetto dello buttare benzina sul fuoco in un incendio di proporzioni indefinibili che faticherà ormai a spegnersi. Una rivalità che ormai è arrivata a incattivire il tifoso medio che abita i social più diffusi, tanto che il gusto e la gioia di vincere sono in stretta correlazione all’aver dato uno schiaffo morale all’avversario, ma non quello battuto sul campo bensì quello della squadre rivale. E così anche l’amarezza della sconfitta diventa potenziata dal dover chinare la testa agli sfottò (a volte pesanti) degli avversari. Diciamo che fino a qui il tutto è contenuto dalla rivalità, che se fosse sana o semplicemente scherzosa non sarebbe certo da condannare.

Il problema è che stiamo assistendo sempre più a un linciaggio continuo contro chi ama dire le cose come stanno, seppur non piacciano al tifoso interessato. E si è anche arrivati a criticare aspramente una consuetudine storica dei telecronisti di qualsiasi paese, quella di tifare per la squadra italiana impegnata nelle coppe contro squadre straniere. Che, secondo il tifoso esacerbato, va bene quando in campo c’è la propria squadra ma non quando quel tifo è rivolto ai rivali, alimentando crociate contro questo e quel telecronista di turno.

È vero che i tempi siano cambiati, la società è in evoluzione (o involuzione, se si preferisca) ma un po’ di nostalgia di qualche decennio fa ci affiora. Quei pomeriggi infrasettimanali in cui c’era la possibilità di guardare il calcio in tv per le “Coppe”, magari non c’era la propria squadra del cuore a giocare ma, da affamati di calcio, era l’unica possibilità di guardare una partita dal divano di casa. E allora si decideva di assistere a quel match con il proprio padre o con i propri fratelli e spesso l’adagio era “Dài, tifiamo le italiane“.

Vito Coppola
Vito Coppola
Telecronista e opinionista radio/TV, già a SportItalia e addetto stampa di diverse società. Non si vive di solo calcio: ciò che fa cultura è la fame di sapere, a saziarla il dinamismo del corpo e del verbo.

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