Gonzalo, passione, personalità e orgoglio ti si ritorcono contro

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.Aspettava questa partita dal momento in cui ha apposto la sua firma sul contratto che lo legava al Milan, Gonzalo Higuaín: la notte della vendetta, dell’orgoglio ferito, la gara in cui poter dimostrare a chi lo ha scaricato (senza pensarci su due volte) tutto il suo valore. Siamo sicuri che nel calendario del Pipita l’11 novembre, sin dal giorno dei sorteggi, è stato cerchiato con il pennarello rosso e da lì è partito il conto alla rovescia per quella che avrebbe dovuto essere, a tutti i costi, la sua serata. E così è stato, ma in negativo: i fari puntati principalmente sulla maglia numero 9 rossonera e Gonzalo Higuaín protagonista assoluto di Milan-Juventus, con una prova così negativa da riuscire a togliere visibilità a Szczęsny che ha parato un rigore, a Ronaldo che ha segnato il suo primo gol su azione alla Scala del calcio, a Mazzoleni che ha ha preso (e non ha preso) decisioni forse determinanti. Solitamente è l’ex più odiato che si prende la scena, perché deve affrontare un ambiente ostile, eppure Higuaín (che gode ancora della stima di gran parte dell’ambiente bianconero) ha totalmente oscurato la presenza di Bonucci a San Siro, con il senno di poi sagacemente messo a sedere in panchina da Massimiliano Allegri, che ha risparmiato al suo difensore una serata emotivamente complicata senza suscitare alcuna polemica (i tempi dello sgabello sembrano veramente molto lontani).

Gattuso aveva già esternato la sua preoccupazione per l’eccessiva tensione del Pipita prima di Milan-Juventus, eppure non è riuscito a entrare nella sua testa, non ha trovato il modo di gestire la sua esagerata carica emotiva. In questo senso Ringhio doveva prendere spunto dal suo mentore Carlo Ancelotti, che ha sempre sostenuto che le grandi partite vanno preparate calcando la mano più sull’attenzione che sulla tensione, perché quest’ultima è già alta e non va fomentata. Higuaín è stato criticato da più fronti in maniera aspra per l’espulsione rimediata, eppure il suo è un crollo a livello psicologico comprensibile e, per certi versi, accettabile. L’attaccante argentino per mesi ha covato un sentimento di rivalsa nei confronti della sua ex squadra, un sentimento così forte che lo ha portato inizialmente a elevare il Milan a un livello superiore (a inizio campionato sembrava praticare uno sport diverso rispetto a tutti i suoi compagni per quanto giganteggiasse sul rettangolo verde), salvo poi logorarlo dentro nel momento in cui si è reso conto che sarebbe stato un anno di enorme sofferenza a livello di risultati. La frustrazione negli occhi del Pipita si è vista per la prima volta a Cagliari, quando i rossoneri hanno ottenuto un solo punto sul campo di una piccola, e da lì non è più riuscito a scrollarsela di dosso.

Il motivo è semplice: Higuaín è un grande campione che negli ultimi 11 anni ha giocato con Real Madrid, Napoli e Juventus. Per lui giocare a calcio significa partire con l’obiettivo di vincere le competizioni in cui partecipa. Negli anni passati con le merengues, un pareggio come quello di Cagliari poteva costare il successo in Liga, perché con il Barcellona di Messi la quota scudetto era orientata verso i 100 punti. Con il Napoli ha vissuto la stessa situazione, dovendosi confrontare con una Juventus stellare. Arrivato alla corte della vecchia signora, poi, ha dovuto fare i conti con il Napoli di Sarri, tant’è vero che è servito proprio un suo gol nel finale di gara al Meazza contro l’Inter per decidere le sorti di un campionato in bilico fino all’ultimo. Il Pipita è abituato a competere per vincere e ritrovarsi in ambienti che accettano senza troppi rimorsi di perdere punti nei campi di provincia lo ha portato all’esaurimento. Probabilmente Higuaín, a inizio stagione, si era fatto qualche volo pindarico di troppo: arrivando in una società blasonata e intenzionata ad aprire un nuovo ciclo, rinforzata da personaggi del calibro di Maldini e Leonardo, con le spalle larghe di Elliott a dare sicurezza all’ambiente e molti giocatori di qualità in rosa (da Suso a Romagnoli, passando per Donnarumma e Bonaventura), Higuaín ha forse pensato che con il suo apporto si potesse tener testa alla Juventus e al Napoli. Infatti ha subito indossato le vesti del leader, sperando di far sbocciare la squadra e di ripetere un’altra stagione da più di trenta gol. Grandi aspettative hanno portato a una grande delusione, la carica positiva di inizio anno ha assorbito tutto il marcio dell’angoscia che andava crescendo di partita in partita e si è trasformata in rabbia. Domenica questa bomba a orologeria che si portava dentro non è stata più contenibile: prima l’errore dal dischetto, poi il gol di Ronaldo, proprio lui, la superstar acquistata dalla Juventus a peso d’oro per tentare l’assalto alla Champions League. La spesa folle fatta per portare la squadra ai vertici mondiali, un po’ quello che la stessa Juve aveva fatto due anni prima con Higuaín, che però non ha vinto né Champions né classifica cannonieri ed è stato brutalmente scaricato al primo acquirente che si è presentato con il valore del cartellino al netto dell’ammortamento, nulla di più. Vista così, l’amarezza del Pipita è più che comprensibile e quella crisi di nervi (scomposta ma priva di offese o improperi) fa più tenerezza che altro: un uomo dal grande orgoglio, che ci tiene a essere il numero uno, ma si rende conto di non aver sfruttato la sua grande occasione e non sa se ne avrà un’altra in futuro, mentre guarda tutti i suoi ex compagni vincere grazie a un nuovo, osannato centravanti.

La grinta e la passione dell’attaccante argentino, dunque, lo hanno portato in alto e lo hanno fatto cadere nei momenti per lui più frustranti: il cartellino rosso di Mazzoleni ha portato alla memoria l’espulsione rimediata con l’Udinese nella stagione 2015-2016, quando il Napoli venne sconfitto per 3-1 dai friulani. Quel giorno i partenopei andarono sotto di un gol, Higuaín trovò la rete del pareggio, ma poi i padroni di casa si portarono sul 3-1; anche in quell’occasione, tutta la tensione provata dal Pipita sfociò in una reazione isterica culminata con l’espulsione comminatagli dal direttore di gara, insultato in maniera veemente e vistosa. Lo stato d’animo di Higuaín era simile a domenica: aveva trascinato la sua squadra per una stagione intera con una valanga di gol, inseguendo un sogno chiamato scudetto, e nel momento in cui questo sogno andò in mille pezzi (quella sconfitta avrebbe portato la Juve a +6 a poche giornate dal termine) i suoi nervi cedettero e lui lasciò soli i suoi compagni per il resto della partita e nelle tre gare successive. Il suo impegno e la sua dedizione sono encomiabili ma è decisamente arrivato il momento, alla soglia dei 31 anni, di imparare a gestire le proprie emozioni per il bene suo e dei suoi compagni.

Se il cuore e l’orgoglio di Higuaín gli si sono ritorti contro più volte in carriera, lo stesso si può dire per la sua grande personalità. Ci vogliono gli attributi per calciare i rigori, soprattutto quando la palla sul dischetto pesa come un macigno per il risultato finale. Lui ha sempre avuto il coraggio di andare a batterli eppure, a conti fatti, per il bene suo e delle squadre in cui ha militato, avrebbe fatto meglio a fare un passo indietro, lasciando spazio a chi è davvero esperto in questa delicata specialità. I numeri sono impietosi: 6 errori dagli undici metri in 18 esecuzioni in Serie A, 9 su 31 in carriera. Praticamente, sbaglia un rigore su tre. E molti di questi sono risultati determinanti: prima della parata di Szczęsny, ricordiamo l’errore fatale contro la Lazio all’ultima giornata del campionato 2014-2015: al 76′, sul risultato di 2-2, Higuaín calciò alto il rigore del possibile vantaggio partenopeo e la gara finì 2-4 in favore dei biancocelesti, sconfitta che costò cara al Napoli, scivolato in quinta posizione e dunque fuori dalle posizioni valide per l’ingresso in Champions League. Nonostante i 18 gol in Serie A in quella stagione, il centravanti argentino fu decisivo in negativo con 4 rigori sbagliati su 8. Due mesi dopo la partita contro la Lazio, l’Argentina raggiunse la finale di Copa América e, ai calci di rigore, il Pipita calciò nuovamente alto sopra la traversa, un errore che contribuì al successo del Cile. Da ricordare anche il pesante errore agli ottavi di finale contro il Tottenham, con la maglia della Juventus: dopo aver realizzato una doppietta (la seconda rete proprio da calcio di rigore, con Lloris che riuscì a toccare la conclusione a incrociare tutt’altro che perfetta), Higuaín ebbe la possibilità di realizzare una tripletta nei primi 45′ ma colpì la traversa, offrendo il fianco agli inglesi che pareggiarono la partita nel secondo tempo.

In attesa del ricorso, il Milan dovrà affrontare la Lazio all’Olimpico senza il suo numero 9: in molti criticano ferocemente Higuaín per questo motivo ma personalmente non trovo corretto puntare il dito contro questo giocatore. Una pausa sarà salutare per lui, ha evidentemente bisogno di ricaricare le pile per tornare lucido e determinante. Lui in campo dà tutto, vuole vincere e la sua profonda emotività lo ha portato, talvolta, a sbagliare. Il calcio ha bisogno di giocatori così, che impazziscono (pur non andando eccessivamente oltre le righe in termini di gesti e linguaggio) quando non riescono ad esprimere il proprio potenziale, quando vedono gli obiettivi sfumare. Sono giocatori come Higuaín a fare breccia nel cuore dei tifosi, il suo volto quasi in lacrime nel momento di abbandonare il campo sta a dimostrare quanto questo atleta ci tenga a essere sempre al top. Andrò controcorrente ma un’espulsione del genere è più apprezzabile del piattume con cui molti altri giocatori accolgono vittorie e sconfitte, dimostra che quest’uomo vive il suo lavoro in maniera spassionata e non pensa solo all’assegno che verrà staccato in suo favore a fine mese. I suoi compagni dovrebbero trarre ispirazione dall’unico aspetto positivo di questo episodio, la mentalità vincente (anche se in questo caso esasperata) di chi non vorrebbe perdere mai, di chi vuole assolutamente calciare un rigore perché ha una voglia matta di essere decisivo, di chi è scuro in volto e non sa darsi pace dopo un pareggio in un campo di provincia. Solo in questo modo si possono raggiungere grandi traguardi.

Stefano Tomat
Stefano Tomat
Nasce nel 1987 a Udine, gioca a calcio da quando ha 6 anni. Laureato in Relazioni Pubbliche e Comunicazione Integrata per le Imprese e le Organizzazioni.

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