Quando la retorica non basta

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Lo spettacolo di ieri sera lo abbiamo visto tutti: una Juventus strabordante, trascinata da un Dybala sempre più sfavillante, ha fatto un sol boccone di un Torino inerme colpendolo quattro volte. Il Toro ha fatto un’enorme fatica anche perché ha dovuto giocare per ben 66 minuti in dieci (poco meno di tre quarti esatti di gara).

Insomma, una conclusione tragica per i granata, resa probabilmente ancor più amara dalla totale ritorsione delle parole della vigilia di Mihajlović, originariamente tese a caricare un ambiente che ogni anno si accosta con trepidazione a questa sfida ma che, contemporaneamente, ha anche preso a viverla come un tabù, vista la difficoltà abissale che ha avuto il Toro nel fare punti contro la Juventus negli ultimi anni. Il buon Siniša, comunque, aveva fatto tutto per benino, dal suo punto di vista, tirando fuori tutto il suo arsenale retorico dei bei tempi: un po’ di conflitto sociale pasionario ricchi-poveri buttato dentro alla rinfusa, differenze genetiche inconciliabili (che non mancano mai) un tanto al chilo, una puntina di celodurismo in stile Sparta-Leonida-trecento a condire il tutto – dopo tutto, stiamo pur sempre parlando di Mihajlović.

Il problema, però, è che non solo la Juventus ha vinto di larga misura rendendo di fatto una barzelletta le dichiarazioni del tecnico balcanico ma questo tipo di retorica ha infiammato fin troppo i giocatori ed esasperato una fetta decisamente consistente dei tifosi.

Il popolo del Toro è una gente effettivamente particolare che certo si identifica con la celebre immagine del “cuore” ma che, al contempo, soffre paurosamente la difficoltà nell’essere un ostacolo consistente per la Juventus, quando invece l’aspirazione minima sarebbe appunto quella (del tipo: “non posso lottare con te per lo scudetto ma posso farti vedere i sorci verdi a ogni benedetto derby”). E invece, come ben sappiamo, la realtà recente dice ben altro. È chiaro che dopo anni di vacche magre nella stracittadina, sorbirsi anche i proclami guerriglieri di Mihajlović alla vigilia può sortire sul pubblico l’effetto contrario rispetto a quello originariamente inteso: i tifosi del Torino preferiscono un profilo relativamente basso e dei risultati alle urla belluine seguite però da degli schiaffi paurosi. Rivendicazioni di altissima dignità calcistica condite da una sfida machista prima di un 4-0 rischiano solo di essere come sale sulle ferite e il popolo granata ne è arcistufo (giustamente).

Ma prendiamo poi l’altro lato del problema, cioè l’espulsione di Baselli: un anno esatto fa, il nostro Siniša stigmatizzava l’atteggiamento in campo del centrocampista bresciano sostenendo che non avesse “cattiveria”. Ieri il numero 8 granata s’è preso due ammonizioni che sicuramente denotano una crescita nella grinta ma anche tanta, tanta leggerezza – per non dire proprio stupidità (calcistica, ci mancherebbe). Vien da pensare che se questo tizio che non riesce ad avvalersi del suo ampio bagaglio tecnico per assistere in modo appropriato Rincón co-causando il primo gol di Dybala e a cui si chiude la vena già dopo 20’ è il Baselli «col fuoco negli occhi» che voleva vedere Mihajlović forse era meglio tenersi il giocatore timido e talentuoso che conoscevamo.

Insomma, a rileggere oggi il tentativo (maldestro) compiuto da Mihajlović non si può che pensare che tutta la brillante retorica del nostro serbo non solo gli si sia ritorta contro ma, pure, possa essere causa diretta di una crescente disaffezione nei suoi confronti da parte del pubblico. Forse è il caso che il vecchio Siniša si concentri sul comparto tecnico e lasci perdere il lato motivazionale. Almeno per un po’, almeno nel derby.

Giorgio Crico
Giorgio Crico
Laureato in Lettere, classe '88. Suona il basso, ascolta rock, scrive ed è innamorato dei contropiedi fulminanti, di Johan Cruyff, della Verità e dello humour inglese. Milanese DOC, fuma tantissimo.

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