Una grossa delusione

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Facciamo sùbito un balzo indietro di qualche anno: siamo nell’estate del 2008 e Ronaldinho lascia il Barcellona, trasferendosi al Milan; i blaugrana perdono il giocatore che ha cambiato la storia di una società già gloriosa, un giocatore che in quegli anni è stato il simbolo dello stile del Barça, rendendo i catalani sinonimo di vittoria, ma soprattutto di spettacolo e divertimento. Se ne va un campione di 28 anni, che è riuscito a farsi applaudire dal pubblico del Bernabeu, alzatosi in piedi al cospetto della sua immensa classe. I tifosi lo salutano con molta malinconia, con enorme gratitudine, ma con un’innaturale serenità; il motivo è presto detto, si chiama Lionel Messi. I tifosi sanno, o quantomeno intuiscono, che quel ragazzino argentino può raggiungere i livelli di Ronaldinho in breve tempo. Quello che probabilmente non sanno è che Leo, in breve tempo, supererà il maestro. Lo sa però Guardiola che, per non rallentare la crescita di Messi, dà il benservito al brasiliano (e un anno dopo pure a Eto’o), mettendo la pulce al centro del progetto tecnico. Senza queste presenze “ingombranti”, Messi sboccia definitivamente, diventando il fiore all’occhiello di un’ottima squadra che gioca totalmente in sua funzione.

Anche Ronaldinho, nel momento in cui lascia il Barça, è sereno: sa di aver influenzato in modo perentorio e permanente lo stile di questa società e sa di aver lasciato questo patrimonio in ottime mani. Anzi, nelle migliori. Il modo più adeguato di spiegare l’importanza di questo prestigioso “passaggio di testimone” è, senza dubbio, riportare testualmente le parole del brasiliano, scritte in una lettera indirizzata a sé stesso da bambino:


La cosa che ti renderà più orgoglioso di tutte, in fondo, sarà quella di aver cambiato il modo di concepire il calcio nel Barcellona. Quando sarai giunto lì, in quel momento il Real Madrid sarà la super potenza del calcio spagnolo. Dal momento in cui lascerai il club, i bambini inizieranno a sognare di giocare “lo stile Barcellona”.
Ascoltami bene, il tuo apporto in questo cambio sarà molto più di quello che hai dato in mezzo al campo.
Al Barcellona, ascolterai voci su questo ragazzo della squadra giovanile. Indossa la numero 10 come te. E’ piccoletto come te. Gioca con il pallone come te. Insieme ai tuoi compagni lo andrete a vedere giocare nella squadra giovanile, subito capirai che sarà qualcosa di più di un grande giocatore. Il ragazzo è diverso. Il suo nome è Leo Messi.

Dirai agli allenatori di farlo giocare con te nella squadre maggiore. Quando arriverà i giocatori del Barcellona parleranno di lui come i brasiliani fecero di te.
Voglio dargli qualche consiglio.
Digli “Gioca con gioia. Gioca libero. Semplicemente gioca con il pallone”.
Anche se tu non sei più lì, il free style rimarrà a Barcellona grazie a Messi.

Facciamo ora un salto in avanti di qualche anno: siamo nell’estate del 2013 e il Barcellona acquista Neymar, il prospetto più interessante del calcio mondiale. Si tratta dell’ennesimo ceffone che la società azulgrana rifila ai rivali del Real Madrid, vincendo un’importantissima sfida di mercato che suggella la supremazia catalana sui blancos in questo determinato periodo. Nel panorama calcistico di quegli anni, Neymar è l’unico giocatore che, in prospettiva, può raggiungere il livello di eccellenza fissato in altissimo da Messi e Cristiano Ronaldo. Nell’immaginario collettivo, fin da sùbito Neymar è l’erede di Leo, destinato a portare avanti l’età aurea del Barcellona.

Arriviamo dunque al presente: estate 2017, Neymar decide di abbandonare il Barcellona e trasferirsi al Paris Saint-Germain. In questi 4 anni è diventato capitano del Brasile, ha vinto 2 scudetti e una Champions League (segnando anche in finale), si è confermato il giocatore più forte nato negli anni ’90. Eppure non è stato abbastanza, né per lui, né per il pubblico, né per la critica. Diciamolo pure, da Neymar ci aspettavamo qualcosa di più. Il suo talento cristallino aveva fatto pensare a un’ascesa più dirompente. La sua incisività, il peso della sua presenza in squadra e nelle partite è relativo: in 4 anni non è mai stato scalfito il ruolo di Messi come centro gravitazionale della squadra e spesso è stato Suarez il comprimario d’eccellenza. Neymar è sempre stato trattato come un predestinato e questo lungo periodo vissuto di luce riflessa ha ridimensionato la sua immagine. La colpa non è totalmente sua, non è degli allenatori che hanno sempre privilegiato il 10 argentino, semplicemente Messi (come Ronaldo) è di un altro pianeta, e Neymar si sta giocando il ruolo di “migliore tra gli umani”. I numeri parlano chiaro, Messi a 25 anni aveva già vinto 4 Palloni d’Oro, Neymar è salito una sola volta sul podio, per giunta sul gradino più basso.

È mancata la determinazione, è mancata la cattiveria, la voglia di superarsi e di superare chi gli stava davanti, è mancato un carattere all’altezza del tasso tecnico, o semplicemente l’umiltà nell’accettare di essere il numero 2, nella sua squadra; la scelta di trasferirsi al PSG ne è la conferma: andarsene dal Barcellona o dal Real, in questo decennio, significa inevitabilmente scendere di livello; andare a giocare in Francia, in un campionato tremendamente inferiore a quello spagnolo, in una squadra neanche lontanamente prestigiosa quanto il Barcellona, è senz’altro una sconfitta (e un’eventuale via d’uscita dal club parigino, un domani, sarebbe tutt’altro che semplice – per maggiori informazioni chiedere a Verratti). Significa aver rinunciato a confrontarsi con i migliori, significa non essere riuscito a sopportare la presenza di calciatori più forti e decisivi, significa non essere riuscito a portare avanti il sogno blaugrana, con il Barcellona che dovrà cercare altrove il 10 del futuro. I tifosi sono rimasti feriti perché vedevano comunque in lui il profilo migliore per portare avanti lo stile del Barcellona una volta che Messi si fosse ritirato. Ma come la storia ci insegna, e sembra quasi un ossimoro, la presenza della pulce e così ingombrante da eclissare pure i più grandi, da Ronaldinho a Ibra fino al classe ’92 brasiliano.

Caro Neymar, fare il fenomeno dove il livello non è competitivo ti farà sentire nuovamente il migliore, come quando eri in Brasile. Ma non sarà così, sarai solamente il più ricco e sarà dura migliorarsi. In Francia vincerai campionati e forse anche classifiche cannonieri, ma ricorda: là fuori, poi, ci sono i mostri. Quelli veri.

Stefano Tomat
Stefano Tomat
Nasce nel 1987 a Udine, gioca a calcio da quando ha 6 anni. Laureato in Relazioni Pubbliche e Comunicazione Integrata per le Imprese e le Organizzazioni.

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