ESCLUSIVA MP – I nuovi talenti: Simone Perilli

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Prosegue incessantemente la nostra rubrica dedicata ai giovani talenti del campionato di Lega Pro e torniamo questa settimana a parlare del Girone B. Dopo il centrocampista del Santarcangelo Giuseppe Ungaro, ci spostiamo a Reggio Emilia per parlare con uno dei migliori portieri e meno battuti dell’intera categoria, ovvero Simone Perilli.

Simone è nato nel gennaio del 1995 a Roma e da bambino ha vissuto ad Ardea. Possiede un fisico da gladiatore (196 cm per 95 kg) e interpreta molto bene il ruolo del portiere moderno: infatti, è molto bravo tra i pali, nelle uscite e non ha paura di giocarla coi piedi permettendo, all’occorrenza, alla propria difesa di giocare molto alta. Proprio le sue caratteristiche tecniche ci danno lo spunto per la prima domanda e ciò ci fa capire quanto sia un ragazzo umile e consapevole.

Simone, quali credi sia il tuo punto debole e su quali abilità credi di dovere ancòra lavorare per raggiungere grandi traguardi?

I miei punti deboli sono tutti e nessuno; nel senso che l’errore è sempre dietro l’angolo e quando un portiere sbaglia, prende gol il più delle volte. Non c’è un’abilità nella quale mi sento fortissimo e ho tanti punti deboli: potrei rispondere sulle palle basse perché sono alto, ma non sarebbe nemmeno del tutto vero perché sono migliorato tanto. Però, sono pur sempre alto quasi due metri ed essere un “gatto” anche sulle palle basse è molto difficile. Attualmente, sto lavorando molto sul gioco con i piedi perché il mister (Leonardo Colucci ndr) ci tiene molto e vuole che la manovra si imposti dal basso e, quindi, lavoro tantissimo con la squadra simulando possessi palla con i miei compagni. Non è facile perché indubbiamente ho i miei limiti, ma pian piano faccio sempre meno fatica.

Da bambino, quando ti sei scoperto portiere? O hai iniziato in un altro ruolo?

Considera che ho iniziato a giocare a quattro anni e giocavo in difesa, però non è che abbia avuto mai molta voglia di correre e per me è stata sempre una “tortura”. Quindi, mi hanno messo in porta perché ero già fisicamente più grande dei miei coetanei e quando mancava il portiere ero l’unico che poteva andare a mettersi tra i pali. In realtà, non avevo nulla per fare il portiere e, anzi, mi annoio pure; non ho mai giocato in porta con gli amici perché nove volte su dieci rischi di farti male: finiscono col tirarti pallonate addosso e non ho voglia; già ne prendo abbastanza in allenamento. Gioco in porta solo quando devo farlo, mentre nelle altre occasioni sto in mezzo al campo per divertimento.

Simone, calcisticamente parti dalle giovanili della Lazio e sappiamo che ne sei tifoso sfegatato però a un certo punto ti trasferisci nelle giovanili della Roma. Ci spieghi cos’è successo?

Sì, avevo dieci anni e vi racconto sùbito che quando mi hanno chiamato a casa abbiamo pensato che fosse uno scherzo di qualche collega di mio padre o di qualche amico di famiglia. Capitava spesso, infatti, di fare o ricevere scherzi di qualsiasi tipo alla fine di un derby vinto o perso. Per cui, quando ha chiamato la Roma dicendo che era interessata a prendermi, io, da tifoso sfegatato della Lazio, ho risposto di non prendermi in giro (in realtà gliel’ho detto in romano) e ho riattaccato. Poi, ci ha chiamato il padre di uno che giocava con me nella Lazio dicendoci che la Roma lo aveva contattato per il figlio e abbiamo capito che non si trattava di uno scherzo. Per farla breve, sono andato alla Roma perché il campo di allenamento era molto più vicino (un quarto d’ora circa in auto): sarebbe ed è stato tutto più semplice e ho risparmiato alla mia famiglia tantissimi sacrifici. 

Negli anni romani, chi ha lasciato il segno nella tua vita professionale?

Come allenatori in squdra ho avuto sia Montella che Stramaccioni; del primo ricordo bene la simpatia: uno che ama scherzare, ma poi in campo diventa serissimo. Del secondo, invece, ricordo che era molto puntiglioso con la tattica e con lo studio degli avversari; secondo me, il migliore allenatore che ho avuto nell’epoca delle giovanili è stato proprio lui. Per quanto riguarda i compagni di squadra, hanno legato molto le nostre famiglie che venivano al campo per vederci giocare: un nome fra tutti quello di Christian Anastasio.

Poi, ti sei trasferito in Emilia Romagna; cosa ti va di raccontarci di quel passaggio della tua vita personale e professionale?

Secondo me, è stata una fortuna perché allontanarmi da casa a 15 anni, nonostante il senso di solitudine, mi ha obbligato a crescere e maturare più in fretta. È vero, avevo quasi tutto a disposizione, ma molte cose ho dovuto imparare a farle da solo.

La prima esperienza in Lega Pro l’hai vissuta a Busto Arsizio con la Pro Patria. Cosa ti è rimasto di quell’esperienza?

Mi è rimasta la consapevolezza di dovermi allenare sempre al meglio e, purtroppo, in quel periodo non l’ho fatto, specialmente quando non ho giocato più da titolare. Devo ringraziare il mio allenatore dell’epoca (Massimo Macchi) e la mia compagna che mi hanno fatto capire che stavo solo facendo un dispetto a me stesso e ho messo la testa a posto. Purtroppo, tutti sanno delle vicende che sconvolsero la Lega Pro nella primavera del 2015 (inchiesta Dirty Soccer ndr) e io, sinceramente, sono ancòra incredulo perché ho vissuto dall’interno lo spogliatoio e non mi sono mai accorto di nulla. Io ho la coscienza pulita e questo, per me, è quello che conta.

L’anno scorso hai firmato con la Reggiana e sei stato fin da sùbito titolare giocando 34 partite, oltre le 14 disputate nella stagione in corso. Sarai felicissimo e soddisfattisimo di essere titolare inamovibile, ti aspettavi di esserlo?

Onestamente no; quando arrivai ero cosciente di dovermi giocare il posto con tutte le mie forze e devo ringraziare tutta la società per avere avuto il coraggio di scommettere su di me, che ero alla prima vera esperienza tra i professionisti. Reggio Emilia è una piazza fantastica, ma pesa tanto la responsabilità a soli venti anni. Devo dire che ho lavorato tanto e dimostrato, con le mie capacità, che non fosse necessario cercare altri portieri, magari con più esperienza, sul mercato. Qui mi trovo benissimo e sto “da dio”: Reggio è una città a dimensione d’uomo e la qualità della vita è quella che fa per me.

Il Girone B di Lega Pro è molto equilibrato con otto squadre in quattro punti. Cosa ne pensi?

Secondo me, è bellissimo e avvincente; dico spesso che la considero una sorta di Serie B2 perché non ci sono squadre materasso ed è un girone molto livellato verso l’alto. Anche quelle squadre che occupano posizioni di bassa classifica sono molto difficili da affrontare perché tutte giocano bene e non rinunciano mai a fare la propria partita.

Tra quelle affrontate, quale squadra ti ha colpito maggiormente?

A dire il vero non c’è una squadra che mi abbia impressionato in modo inequivocabile. Ciononostante, il Venezia dà la sensazione di essere la più forte e, del resto, è attualmente prima in classifica; ha una rosa di giocatori, comprese le cosiddette riserve, che sarebbero titolari in qualsiasi altra squadra e in qualsiasi altro girone. In generale, le prime dieci sono tutte fortissime.

E se ti chiedessi il nome di un giocatore, in particolare di un attaccante?

Non ho dubbi: Luca Cattaneo del Pordenone. È velocissimo e mette in difficoltà i miei compagni di reparto e se mette in difficoltà loro, si ritrova più spesso dalle mie parti. Certamente, uno dei più scomodi da affrontare.

A Reggio Emilia, con che compagno hai legato di più? Con chi stai in camera?

In camera sto con Davide Narduzzo, ma non ho problemi a legare un po’ con tutti. Mi adatto facilmente.

Da bambino, a quale modello di portiere ti ispiravi?

Da laziale, non posso che rispondere Angelo Peruzzi. Secondo me, uno dei più forti di sempre per la sua semplicità ed efficacia. 

Infine, la Lazio dove può arrivare, secondo te, quest’anno?

Spero che vinca lo scudetto (ride ndr). A parte gli scherzi, penso che possa arrivare tranquillamente nei posti che assegnano l’Europa, ma potrebbe salvarsi anche all’ultima giornata; l’importante è che vinca i derby (ride di nuovo ndr).

Hanno collaborato alla stesura dell’articolo Vito Coppola e Antonio Ioppolo.

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