Tra Euro2016 e la Brexit

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Secondo giorno di pausa degli Europei, dopo l’orda di partite dei gironcini (36 scontri per eliminare solo 8 squadre: credo sia un record). E, mentre Euro 2016 da domani entra nel vivo con l’eliminazione diretta, in giornata arriveranno i risultati di chi, isolato dalla geografia, forse vorrebbe autoeliminarsi dall’Europa.

Si potrebbe discutere a lungo sulle opportunità politiche dell’una e dell’altra decisione, del restare o dello sbattere la porta; o sulla rilevanza di una vittoria sportiva sull’esito del terzo referendum nella storia del Regno Unito (gli altri due nel 1975, ancora sull’Europa ed entusiasticamente vinto dal sì, e nel 2011 sul sistema elettorale: viste le abitudini nostrane, non c’è confronto). Ma non è questa la sede, e i miei cinque lettori (tenendo conto dell’inflazione, e della distanza qualitativa dall’originale) presumo perderebbero interesse.

E allora guardiamo al lato sportivo della questione: all’impatto dello sport, e del calcio in particolare, nell’unificazione del Vecchio Continente. Perché se l’affluenza (di giovedì!) alle urne è stata enorme, è anche vero che l’affluenza negli stadi europei non è da meno; e a volte, ironicamente, credo davvero che abbia realizzato un’unione più perfetta, per citare un’unione federale riuscita.

Faccio solo un esempio: a parte i supporter bianconeri, chi tifa la Juventus in Champions League? Quanti, piuttosto che la Vecchia Signora, preferiscono parteggiare per il Borussia Mönchengladbach, senza neanche sapere come si pronuncia?

E anche, si potrebbe dire: quanti di noi sono andati all’estero a “studiare” uno stadio come il Nou Camp, o il nuovo Wembley (dove peraltro si è tenuto il dibattito conclusivo della campagna elettorale)? La crescita della Champions League è dovuta anche alla libertà di movimento delle persone, dei tifosi (anche nel male).

Le conseguenze del passo indietro, poi, sarebbero tutt’altro che scontate. Anzitutto, la normativa sugli extracomunitari: in qualche modo si riuscirebbe poi a farli rientrare sotto qualche categoria strana (Bosman B, o ne inventiamo un’altra?); ma parallelamente dovrebbero cambiare le normative anche nel calcio inglese, che altrimenti verrebbe sommerso da una marea di permessi di lavoro (peraltro non sempre facilmente ottenibili: ce la farebbe Ranieri?).

La libera circolazione del talento: qualcosa che, in linea di principio, andrebbe incoraggiata; e per poter fare della libera docenza di tecnica, oltretutto. Perché lo sport dovrebbe essere (inno alla) gioia e applicazione; e perché la maggiore rilevanza del talento o della tecnica resta un rebus insoluto, come un referendum sul filo, con le parti troppo vicine per potersi sbilanciare in un giudizio.

Un grande statista disse, a guerra appena finita, che «We must build a kind of United States of Europe», dobbiamo costruire una forma di Stati Uniti d’Europa. Era Winston Churchill. Nel suo piccolo (e pur nel suo difetto di essere diventato troppo spettacolo e poco competizione), penso che il calcio abbia fatto la sua parte, anche se quel sogno di un’Europa priva di conflitti resta ancora lontano da venire. E, se mi chiedete chi vincerà tra Spagna e Italia, risponderò sempre e comunque «Too close to call».

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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