La denuncia preventiva di Paolo Liguori

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Per dirla in gergo calcistico, Paolo Liguori l’ha toccata piano. Sembrava troppo bello, avere due squadre così diverse e così inarrestabili, destinate a scontrarsi in quel di Torino in un clima di pacifica lotta per la supremazia. Diciamo pure di sportività, se mi scusate la parolaccia.

Poi, appunto, Liguori, in uno di quei programmi in cui ci si parla tutti addosso e nessuno ascolta (oddio, non che i programmi “ordinati” siano meglio, spesse volte: anche quando si parla uno alla volta, c’è il rischio di sentire distintamente concetti irricevibili): Rizzoli «non sbaglia perché non è scarso, quando sbaglia è in malafede; no, ma non dico che è in malafede […]. Dovete farla finita nel calcio di dire “non è possibile che nel calcio ci sia la malafede”: nel calcio ce n’è di più che in altre attività umane. […] Che parliamo a fare, se è tutto santificato e beatificato per principio e per dogma? Poi caschiamo nell’imbroglio, e ci caschiamo con tutte le scarpe». E così via.

Al solito: parte la polemica, tutti urlano, noi invece preferiamo prenderci un po’ di tempo. Un minimo d’aria, un po’ d’ossigeno da far salire nel cervello. È notizia di ieri, poi, la presa di posizione dell’AIA nei confronti di Liguori: verrà promossa «ogni più opportuna azione giudiziaria a tutela dell’immagine e della reputazione dell’intera categoria arbitrale e dei suoi singoli componenti».

Un primo distinguo su Liguori: prima o poi capiremo come abbia fatto a passare da Lotta Continua (e le lotte di Straccio, suo soprannome di battaglia, contro i borghesi) a Tgcom24, che dirige dallo scorso novembre. Un secondo distinguo sugli arbitri italiani: parliamo di un altro periodo e un’altra dirigenza, ma non dimentichiamoci che a rappresentare la classe dei fischietti italiani, a Germania 2006, doveva essere De Santis (che, prima ancora che scoppiasse la bufera, era un arbitro ben più che discusso).

Che poi si ribatte sempre lì: Calciopoli. Complottismo contro negazionismo, e neanche noi che stiamo nel mezzo ce la passiamo proprio bene. Sono passati dieci anni, e ancora c’è chi rivendica i torti compiuti (sic). E qualcun altro che vede come sicuro, «matematico» un errore in favore della Juventus (lo dico prima: chi mi conosce sa bene che no, non ne sono tifoso). Una specie di profezia che si autoavvera in ogni caso: se davvero sbaglierà in favore di quella squadra, io ve l’avevo detto; ma, se no, si è solo trattenuto, grazie alla nostra denuncia. Ci si porta avanti nello scandalo, si fa voce e si fa notizia. Se si faccia anche un buon servizio, non saprei; nel mentre, Rizzoli si è pure infortunato, risolvendo il caso come un nodo gordiano.

Voglio essere chiaro: non si può essere certi che sia tutto pulito, sicuro, in regola. Così come non si può essere certi del contrario. Non ci sono schede SIM svizzere, non ci sono prove – né coincidenze. Meglio, una coincidenza c’è di sicuro: quella che vede Straccio fomentare, più che ricercare, la notizia. Liguori è giornalista di lunga data, l’abbiamo detto: se ha prove per ciò che dica, ci tiri su una bella inchiesta. Altrimenti sono solo chiacchiere e tesserino. E alla fine il vero miracolo giornalistico di questa uscitona di Liguori è che così ha fatto sembrare più sensato persino Giampiero Mughini. Non so se rendo.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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