Vertigini d’alta quota

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Se la serie A si combattesse su due ruote, forse parleremmo di sindrome del gregario, ovvero quell’incapacità di mantenere il passo una volta raggiunta la testa del gruppo, e l’attesa anche inconscia di essere raggiunti dai consueti leader della corsa, ai quali consegnare il fardello onorifico del primato.
Un destino che sembra gravare su ogni squadra che stia manifestando l’ambizione di detronizzare la Juventus, non appena giunge ad inalare l’aria rarefatta d’alta quota.

L’ultima vittima di questa vertigine che tira verso il basso è stato il lanciatissimo Napoli di Sarri e Higuain. Mesi di costante ascese ardite e risalite in classifica, fino alla partita della verità contro l’Inter, una sofferta vittoria nello scontro diretto, l’ambita conquista della maglia rosa nella speciale classifica a squadre, per poi tonfare in quel di Bologna e dissipare in un battibaleno un sogno lungo meno di sette giorni. Come se Higuain fosse rimasto altri cinque minuti a dormire, in contemplazione delle proprie prodezze o Sarri avesse avuto un calo del desiderio, con l’avvicinarsi di quella che una volta avrebbe considerata quota salvezza.

Meglio è andata alla tetragona Inter di Mancini, arroccata nel quadrato napoleonico della propria testuggine difensiva, salda intorno ai generali Murillo e Miranda, Medel e Melo. Quatto “M” – o cinque con Mancini – in marcia verso una rinascita via via più credibile, malgrado le sconfitte intermedie con Fiorentina e Napoli. E tuttavia, nonostante la tendenza verso sorti progressive e la fiducia crescente, il rischio di un’improvvisa scioglievolezza di fronte a avversari più ficcanti, è lecito e sin qui comprovato.

Anche la Fiorentina, che ora alloggia al secondo posto solitario in classifica, ha vissuto il proprio “Momento Ok” qualche settimana fa, immediatatamente sublimato in Firenze sogna e memorabilia dei tempi di Batistuta: Ma poi, sarà stato l’appagamento vissuto dopo il premio della critica o la manifestazione di limiti sottostanti al maquillage del bel gioco, inevitabile è arrivato il ripiegamento interiore e l’abbandono del gradino più alto. L’importante è esser belli dentro, no?

Più complicata invece, la posizione della Roma. Sollevati ad antiche glorie dalla sconfitta impartita alla Juventus in avvio di stagione, i giallorossi sembravano la squadra più attrezzata, per organico e piazzamenti recenti, a carpire l’opportunità di occupare lo spazio lasciato libero dai battuti avversari e cogliere finalmente la prima mela. Ma da una parte la squadra che non ha saputo sigillare la propria dotazione tecnica in un patto per la vittoria, dall’altra una piazza forse distratta da polemiche societarie, hanno innescato la miccia di un circolo non tanto virtuoso, quanto piuttosto anulare e asfitticamente concentrico. Né certamente lo strascico di Barcellona, con quello che sembra essere diventato il tradizionale appuntamento con la goleada di Champions, ha incoraggiato l’insorgere di uno spirito di squadra o di uno slancio motivazionale che vada oltre la vittoria di un derby.

Ben diverso il discorso del Milan, relegato nelle periferie di metà classifica, che sembra avviato a ripercorrere la stagione di Inzaghi con altri mezzi.

Così, nel saliscendi sulla prima rampa dello scalone che porta verso la sala dello scudetto, le pretendenti inciampano nei loro vestiti, le distanze si riducono e l’un l’altra si riprendono. Ora, nemmeno la Juve è più così lontana. ma a differenza delle altre, la Juventus non soffre di vertigini, almeno questo, dovrebbe essere noto a tutti.

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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