Sacchi di polemiche per non cambiare mai

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“L’Italia è ormai senza dignità né orgoglio perché fa giocare troppi stranieri anche nelle Primavere: nei nostri settori giovanili ci sono troppi giocatori di colore”.

Queste le parole, pronunciate alla consegna del Premio Maestrelli, che hanno messo Arrigo Sacchi al centro di una bufera mediatica per il suo giudizio espresso nella riflessione sui settori giovanili italiani.

L’unica colpa del buon Arrigo purtroppo è quella di aver usato il termine “giocatori di colore” piuttosto che il temine “stranieri” , errore fatale che lo ha risucchiato nelle polemiche razziali tanto care al calcio italiano. Non è servito il tentativo dell’allenatore di Fusignano di correggere il tiro qualche ora dopo, subito Raiola, Lineker ed altri si sono scagliati contro le parole dell’ex tecnico del Milan e della Nazionale, sottolineando i termini piuttosto del concetto.

L’intento del mister non era certo denigrare i giocatori di colore, ma piuttosto sottolineare come i settori giovanili siano sempre più spesso poco italiani e infarciti invece di talenti stranieri. Inutile nasconderlo, ma la fisicità di certi atleti porta risultati e un certo business nel mondo giovanile, dove tecnica e finezza vengono surclassati da fiato e potenza.

Indignarsi per una constatazione corretta e piuttosto strumentalizzarla per occultare una pericolosa abitudine presa dal sistema calcio è perdere una occasione di riflessione e confronto. La realtà dice che il business nel calcio nasce già dai ragazzi. Circa il 20% delle rose Primavera è composto da stranieri, un flusso sempre più in aumento per varie ragioni quali: moda, costi di cartellino ridotti rispetto ai colleghi italiani, trasferimenti agevolati da altre federazioni, ecc.

L’esterofilia dei settori giovanili non colpisce solo le big, ma anche le piccole realtà come Parma e Chievo che attingono giocatori dall’est e dall’africa come tante altre squadre. Questo è sicuramente il risultato di uno scouting su vasta scala sempre più importante per una società e per il suo bilancio, scoprire il gioiello grezzo e venderlo a cifre importanti è la speranza di molti Presidenti.

Altro fattore che spinge a puntare poco sul Made in Italy è anche il fattore economico. La Figc chiede di garantire l’intera somma del cartellino di un giocatore al suo acquisto, mentre con altre federazioni invece è possibile fare accordi privati per rateizzare in vari anni il costo.

E’ inoltre vero che in Italia è aumentato il numero di lavoratori stranieri e di conseguenza il numero dei loro figli che trovano collocazione nelle squadre giovanili. Ragazzi che in quanto nati in Italia potrebbero diventare comunitari in caso si volesse investire su di loro e facilitarne il loro mercato e il loro impiego.

Insomma le parole di Sacchi volevano solo sottolineare la mancanza di identità del calcio italiano, che penalizza le squadre stesse e la nazionali che lo rappresentano in funzione della ricerca di denaro. Così sarà sempre più difficile rivivere storie come quelle di Bergomi, Maldini, Del Piero o Totti nel nostro paese, ragazzi cresciuti con la propria maglia come seconda pelle.

Il calcio italiano è da cambiare, ma sembra ogni volta che nessuno vuole sentirselo dire.

Francesco Filippetto
Francesco Filippetto
Nato nel 1977, da allora si nutre di calcio: una passione che pratica e insegna a Treviso nei settori giovanili. Ama i giovani talenti e il lato romantico di questo sport.

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