C’era in Europa: il Panathinaikos, secondo solo all’Ajax di Cruyff (1971)

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Quando nel 2004 la Grecia issò il proprio vessillo in cima all’Europa, in molti si accorsero di un movimento calcistico da tempo in crescita, al quale tuttavia era sempre mancato un’unica credenziale: la firma sull’almanacco dei trofei continentali. Quel che riuscì alla Nazionale ellenica allenata da Otto Rehhagel, era (ed è) infatti sempre sfuggito a livello di club, sebbene in una circostanza, il Panathinaikos ci andò molto vicino.

La squadra di calcio appartenente alla polisportiva greca di Atene (“il club atletico di tutti gli Ateniesi” è la traduzione della denominazione sociale per esteso), deve la sua originale maglia bianco verde, adornata da un trifoglio, all’idea di un suo giocatore, Michalis Papazoglu, che avendo visto la maglia dell’Irlanda alle Olimpiadi di Atene del 1906, nel 1911 suggerì tale divisa in luogo dell’originale biancorossa, risalente alla fondazione del club (avvenuta nel 1908). Da cui l’appellativo di “Tryfilli”.

Nella sua centenaria storia, il Panathinaikos oltre a non essere mai retrocesso, è anche l’unica squadra ad aver raggiunto una finale europea, per di più nella competizione più prestigiosa: la Coppa dei Campioni.

Accadde nel 1971. In quegli anni, la squadra poteva unire le caratteristiche temperamentali del calcio greco alle idee del proprio allenatore, che nel corso della propria carriera aveva giocato in una delle squadre più forti di tutti i tempi, unanimemente all’avanguardia per tattica e mentalità collettiva. Sulla panchina del “PAO” – nomignolo che i greci riservano al proprio club – sedeva infatti Ferenc Puskàs, la stella dell’Ungheria che meritò l’appellativo di “Squadra d’oro”, uno dei migliori giocatori di ogni epoca (forse il primo per quanto riguarda almeno l’Europa).

Il “colonnello” Puskàs, lasciato il calcio giocato a quarant’anni, aveva collezionato disparate panchine, con vocazione nomadica. Dapprima in Spagna, ad Alicante, provò poi l’avventura americana a San Francisco, si spostò in Canada a Vancouver, per tornare poi in Europa ed approdare ad Atene, dove in quattro anni riuscì a forgiare un’ottima squadra, capace di vincere il titolo nazionale tre volte tra il 1968 e il 1971.

Lungo la strada per la finale della Coppa dei Campioni, il calcio greco rappresentato dal Panathinaikos superò diversi confronti con le altre scuole continentali. Con facilità, la squadra di Puskàs e dei bomber Antonis Antoniadis (250 reti in carriera) e Mimis Domazos (capocannoniere in campionato con 20 centri), si sbarazzò dei lussemburghesi del Jeunesse d’Esch, con il punteggio di 1-2 e 5-0. nel turno seguente, sconfisse i cecoslovacchi dello Slovan Bratislava, formazione molto agguerrita e in forma in quegli anni, vincitrice della Coppa delle Coppe del 1969 ai danni del Barcellona (3-0 interno e sconfitta per 1-2 a Bratislava).
Nei quarti il confronto fu con l’Everton. In questo caso a decidere fu la differenza reti, dopo un doppio pareggio, per 0-0 ad Atene e 1-1 a Liverpool. A capitolare in semifinale fu un’altra squadra dell’est, la Stella Rossa di Belgrado al termine di un rocambolesco doppio confronto che vide il Panathinaikos soccombere per 4-1 fuori casa e ribaltare il risultato con un 3-0 interno.

Il 2 giugno 1971, a Wembley si disputò una finale che segnò l’inizio di un’epoca. Di fronte al Panathinaikos, un ostacolo insormontabile, anche per molti altri negli anni a venire: l’Ajax, con Rinus Michels in panchina e Johann Cruyff in campo. Idealmente, quella sera si consumò il passaggio di testimone tra due tra i più grandi uomini-squadra di sempre, Puskàs e Cruyff. Dopo il preludio suonato dal Feyenoord, il mondo stava per scoprire il “Total Voetbal”.

Dopo soli 5 minuti, l’Ajax andò in vantaggio con una rete dell’attaccante Dick van Dijk. Ma il Panathinaikos non fu uno sparring partner passivo e per buona parte dell’incontro provò a raggiungere il pareggio, capitolando solo a pochi minuti dal termine, quando un’autorete di Kapsis su tiro di Haan tagliò definitivamente le gambe agli ateniesi.

Per tre anni consecutivi, l’Ajax vinse la Coppa dei Campioni. Mentre l’attaccante greco Antoniadis si laureò capocannoniere dell’edizione con 10 centri.

La stagione del Panathinaikos, in seguito alla rinuncia dell’Ajax, ebbe una coda con la Coppa Intercontinentale, disputata e persa contro gli uruguagi del Nacional di Montevideo. Nel doppio confronto con cui si assegnava all’epoca il trofeo, il Panathinaikos dapprima pareggiò la sfida interna per 1-1. La rete di Filakouris venne prontamente pareggiata dal talentuoso Artime, in un incontro caratterizzato – come spesso succedeva in tali sfide – da un gioco molto duro, di cui fece le spese Tomaras, che riportò una gamba fratturata, dopo un’entrata di Morales (a fine incontro, l’allenatore del Nacional si offrì di risarcire al giocatore greco le spese ospedaliere).
Al ritorno, nello storico stadio “Centenario”, il Nacional s’impose per 2-1, con una doppietta sempre di Artime, cui rispose nei minuti finali ancora Filakouris.

In seguito, per due volte il Panathinaikos raggiunse le semifinali di Coppa dei Campioni, perdendo però nel 1985 con il Liverpool e nel 1996 di nuovo con l’Ajax.

Di seguito, il tabellino della finale di Wembley.

Ajax Ajax – Panathinaikos Panathinaikos 2-0
Marcatori: 5’ van Dijk, 87’ Kapsis (A)

AJAX: Stuy; Neeskens, Hulshoff, Vasović, Rijnders (Blankenburg); Suurbier, Swart (Haan), Cruijff; van Dijk, Mühren, Keizer Allenatore: Rinus Michels.

PANATHINAIKOS: Ikonomopoulos; Tomaras, Kapsis, Sourpis, Kamaras; Vlahos, Domazos, Eleftherakis; Antoniadis, Grammos, Filakouris Allenatore: Ferenc Puskás.

Arbitro: Inghilterra Jack Taylor
Spettatori: 90.000

Qui, un video della gara

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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