Circondato

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Non dev’essere un bel momento per Walter Mazzarri. A dirla tutta non lo è da quando si è seduto sulla panchina dell’Inter, negli ultimi dieci anni forse quella in cui è più difficile essere mediocri: nel senso che o si vince tutto, come Mourinho, oppure si diventa un Gasperini o un Ranieri qualsiasi, per non parlare del nono posto di Stramaccioni. Il tecnico toscano sta riuscendo a distruggere anche questo mantra, perché il quinto posto dell’anno scorso e questo primo terzo (o quasi) di campionato disputato sotto le luci di San Siro sono l’emblema della mediocrità e di scelte estive (e non) sbagliate. Fateci caso, l’Inter ha sempre bisogno della giocata individuale per riuscire a segnare una rete: questo vale un po’ per tutte le squadre, ma per i nerazzurri in maniera particolare. Azioni corali che terminano con un giocatore davanti al portiere se ne vedono poche, spesso ci si affida quindi al lampo di genio del campione di turno per cercare di sbrogliare la matassa: è successo nell’ultima giornata, quando uno dei peggiori Palacio che io ricordi ha praticamente permesso a Icardi – sempre straordinario nel farsi trovare al posto giusto, nel momento giusto – di segnare la terza doppietta in Serie A con l’Inter, la seconda a San Siro. Era già successo col Bologna e, anche in quel caso, finì 2-2 con i nerazzurri rimontati nel finale.

Il Napoli di Mazzarri era mediocre contro le piccole tanto quanto lo è adesso l’Inter, però faceva delle ripartenze e della velocità uno dei suoi dogmi fondamentali: oggi Kovacic e compagni non improvvisano nemmeno un contropiede, ma si limitano al passaggio a un metro (se non addirittura al portiere) una volta recuperato il pallone. Sintomo che voglia di rischiare non ce n’è, forse anche per colpa di un pubblico che dopo dieci minuti, al gol di Toni, già fischiava come se la partita fosse finita: veggenti oppure semplicemente uccelli del malaugurio, pronti a inveire e scatenare quattro anni di delusioni contro il tecnico di turno? Sino all’incidente di Medel, ingenuo nel tenere il braccio così largo, l’Inter era praticamente sola in campo. E questo apre spazio a una riflessione importante. Per quale motivo una squadra con l’80% circa di possesso e predominio territoriale si trovava in pareggio a fine primo tempo e in vantaggio solo di un gol al momento del patatrac? Ogni squadra ha alti e bassi, le più intelligenti però riescono a far sfruttare il momento positivo in attesa, poi, di tenere duro quando la partita diventa difficile, specie se ogni tre giorni giocano più o meno gli stessi da un mese a questa parte. C’è stato il palo di Kuzmanovic, quello di Palacio, un paio di occasioni con Vidic e una marea di altre situazioni in cui hai sempre l’impressione che manchi quel qualcosa per arrivare a trentuno.

L’altro grosso errore è stato quello di voler a tutti i costi vincerla tatticamente, invece che limitarsi al semplice compitino da allenatore. L’idea di schierare un 5-2-1-1 è senz’altro ottima sulla carta, la spiegazione che ha dato Mazzarri nel post partita è quanto di più competente abbia sentito da un allenatore nella mia breve carriera da inviato: però quello che Walter ha immaginato nella testa (non voler difendersi a oltranza ma ripartire con due punte) non è ciò che è accaduto in campo. Gli esterni bassi hanno sì permesso di subire un po’ meno le offensive degli esterni, ma di fatto l’Inter non è più ripartita; Khrin non è esattamente una diga davanti alla difesa e, in fase d’impostazione, è stato mediocre tanto da perdere un paio di palloni scottanti. Palacio ha fatto ottimamente il ruolo di raccordo tra centrocampo e attacco, ma non dare l’illusione al Verona di volersi difendere sino alla morte è costata la partita. Perché di fatto l’Inter si è difesa comunque, senza trovare capovolgimenti di fronte ma andando vicina al gol solo su calcio piazzato, e con gli uomini sbagliati per erigere il muro. Per fare legna in mezzo al campo e al limite servire Icardi sui piedi, come avvenuto per tutto il secondo tempo, non andava bene un semplice centrocampista al posto di Palacio? A quel punto si potevano alzare gli esterni e, almeno, provare a ripartire sulle fasce, nella speranza che l’argentino tramutasse in rete un cross.

Gli alibi sono tanti perché, comunque, il pareggio è arrivato al 90esimo su uno svarione di Dodò che ha seguito l’uomo sbagliato su uno dei tanti tagli. Probabilmente lo stesso Mandorlini non ci ha creduto molto, dato che ha optato per il tutto per tutto soltanto a dieci minuti dalla fine: ma le occasioni prima non erano mancate. Il rigore di Toni, la girata mancina di Ionita all’altezza del dischetto, la traversa di Lazaros, la deviazione sottoporta di Toni uscita di un nulla proprio pochi minuti prima del gol di Nico Lopez. Sono ben cinque occasioni in quaranta minuti di inferiorità numerica concessa all’avversario: si può tranquillamente dire che l’apparente sfortuna finale era in realtà una gran botta di fortuna, perché il pareggio sarebbe potuto arrivare prima e l’Hellas non avrebbe assolutamente rubato nulla. Ora il rapporto con i tifosi è ai minimi storici, la stampa è talmente contro di lui che sui maggiori siti d’informazione girano video come “Dieci scuse di Mazzarri in venti secondi” e anche Thohir, dichiarazioni di facciata a parte, inizia a stizzirsi. L’accerchiamento attuale si trasformerà in un calcistico omicidio volontario in pubblica piazza?

Alessandro Lelli
Alessandro Lelli
Nato a Genova nel maggio 1992; è un appassionato di calcio, basket NBA e pallavolo (sport che ha praticato per molti anni). Frequenta la facoltà di Scienze Politiche, indirizzo amministrativo e gestionale.

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