Nazionali sì Nazionali no

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È questo il dilemma. Siamo alle solite, c’è chi dice si e chi dice no.  A questo punto del campionato i no battono i si con un plebiscito, tra società e tifosi bramosi di vedere i propri beniamini giocare solo con le proprie squadre di club. Se poi ci metti il pericolo infortuni e i lunghi viaggi in aereo che debilitano per settimane i pluripagati campioni allora non c’è storia. Il titolo dovrebbe essere: “Nazionali inutili, aboliamole!”. Eppure non è così. Perché?  Dovremmo chiederlo ai regnanti della sfera ormai colorata, ai vari signori che decidono dove, come e quando si giocano i mondiali o gli europei , a coloro che impongono criticabili formule di tornei. Le nazionali non costituiscono, di certo, un business per le proprie federazioni calcistiche, sono piuttosto una spesa.  Ma allora perché non eliminarle?

Ma le nazionali, si sa, hanno un valore sociale più che calcistico. Ogni due o quattro anni i popoli del globo si fermano, da quelli europei a quelli asiatici, per passare dall’Africa e le Americhe.  E’ come con la pax olimpica degli antichi greci, tutte le guerre si interrompevano (e ce n’erano di guerre allora), oggi i problemi vengono rinchiusi nel ripostiglio, la fame e la sete diventano problemi di secondo piano, c’è la propria nazionale che si gioca una coppa continentale, un mondiale.  Le diversità diventano una grande unione, sotto un’unica bandiera. Per questi motivi non si può eliminarle, le nazionali di calcio.

Certo che fa effetto, poi, accostare il concetto di fame e di sete ai grandissimi interessi economici dei paesi che le organizzano quelle coppe. Enormi introiti da Fifa e Uefa più gli ingenti  capitali che si muovono con il flusso di tifosi e turisti al seguito. Appalti milionari, politiche federali,  diplomazia internazionale e chi più ne ha più ne metta. Così poi, inspiegabilmente, ti vedi assegnare il prossimo Europeo a Polonia ed Ucraina, senza meriti alcuni.

Ma la voce dei tanti non chiede che le nazionali vengano abolite, la gente vorrebbe vedere solo i club durante l’anno e a giugno, ogni due anni, l’impegno delle nazionali. Senza estenuanti qualificazioni e noiose amichevoli per cementare gruppi e schemi. D’altra parte la palle è rotonda, le pedine sono 11, i convocati sono i più forti del paese. Se si è forti si vince. Tifare per la propria nazionale non ha paragoni, scendere in piazza a festeggiare con chiunque non ha prezzo. E’ una gioia che, una volta provata, non si dimentica.

Stavolta chiamiamo in causa i latini, a proposito di amichevoli e qualificazioni infinite: cui prodest? A chi giova?

Vito Coppola
Vito Coppola
Telecronista e opinionista radio/TV, già a SportItalia e addetto stampa di diverse società. Non si vive di solo calcio: ciò che fa cultura è la fame di sapere, a saziarla il dinamismo del corpo e del verbo.

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