Sconfitta, ma unita

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Era la partita del 150esimo dell’Unità nazionale, vero: preceduta dall’incontro al Quirinale, perdipiù durante una fase delicatissima della vita del Paese. Ma era anche uno degli ultimi esami prima degli Europei che dovranno segnare il nostro ritorno a buoni livelli dopo un Mondiale disastroso. «Siamo una popolazione e una Nazione ancora giovane e questo a volte ci fa cadere. […] Tutti noi attendiamo delle risposte per ripartire dopo momenti di grandissima difficoltà: noi cercheremo di fare il nostro sul campo e di onorare il nome dell’Italia sempre e comunque», aveva detto un emozionato Buffon, ricevendo i complimenti del Presidente.

A parte un paio di disattenzioni che potevano costarci caro (una proprio con Buffon “complice”) e qualche passaggio a vuoto, ieri sera i ragazzi di Prandelli hanno dato buona prova di sé. Se era un esame di maturità, non l’hanno superato; ma hanno dimostrato di potercela fare.
Oltre un anno fa, in un lungo sfogo (questo) avevo scritto: «Per il futuro, visti questi Mondiali, Prandelli (come Troisi) potrà ricominciare da tre: Buffon, Pirlo, Quagliarella. I primi due sono ancora insostituibili, il terzo merita di giocare un Europeo in una squadra vera». Eccettuato Quagliarella (dopo l’infortunio non si è più confermato), ribadisco in pieno: le letture di Pirlo sono insostituibili, e il capitano non si tocca.

Gli altri, ieri sera, hanno dato buona mostra di sé: Pepe è andato a sprazzi, ma con due fiammate brucianti; Balzaretti ha spinto come un dannato, e solo una smanacciata di Muslera gli ha impedito il gol del pareggio; Osvaldo ha fatto il suo dovere, presente di testa e nella manovra (e non era scontato, per una squadra costruita sulla coppia Rossi-Cassano); molto bene Balotelli, bene nello sfruttare la fisicità e il suo tiro teso, ma bravo soprattutto a provarci sempre e a non cadere nelle provocazioni, una volta tanto.
Perché era un’amichevole, e di prestigio; ma la partita è stata vera. L’Uruguay di Tabarez, pur privo della prima linea titolare, è una squadra che mi piace moltissimo: grande intesa tra i giocatori, con elementi esperti e molto smaliziati; squadra molto corta, compatta, in grado di chiudere tutti gli spazi; e un carattere che non lascia scampo: se si gioca, si gioca per vincere, a costo di prendersi cartellini a iosa anche in amichevole.

Ho detto che l’esame non è stato superato, ma non è detto che sia un male. Prandelli ha impostato un lavoro a medio-lungo termine, lavorando sul carattere e sul gioco, cercando di proporre una squadra inedita per queste latitudini. E siccome i troppi complimenti a volte fanno male, una sconfitta come questa può essere di lezione. Perché il gioco (a larghi tratti) c’è stato, la faccia tosta anche; ma ancora manca la continuità, mancano alcuni automatismi e anche l’istinto del killer — che l’Uruguay ha in dosi robuste.
Torniamo con i piedi per terra, consci delle nostre possibilità e anche dei nostri limiti. Non siamo una squadra di fenomeni, ma non siamo neanche così cialtroni da prendere gol su rimessa laterale (ecco, l’ho detto: e chi vuol capire capisca).

Lo sguardo fisso sull’obbiettivo, con determinazione, coraggio e anche un po’ di faccia tosta. Il cammino è ancora lungo, e anche giocando bene si può perdere una partita. L’importante è onorare gli impegni. E rialzarsi, rimanendo uniti, compatti («stringiamci a coorte»). Come tutto il Paese deve fare, come dice il Canto degli Italiani, e come dice anche il Presidente Napolitano.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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